La “casetta” del boss e la spartizione dei lavori pubblici: così gli Alvaro “strozzavano” il territorio

Reggio Calabria Cronaca

Da Oppido Mamertina a Sinopoli, da Delianuova fino a Cosoleto, non si batteva ciglio se gli Alvaro non lo volevano.

Un controllo pervasivo, asfissiante del territorio, tanto che anche gli imprenditori della zona si rivolgevano all’agguerrita famiglia del mandamento tirrenico reggino, affinché li prendessesotto la propria ala, includendoli tra quelli che potevano fornire beni o servizi in importanti lavori pubblici.

Un sistema, questo, che di fatto riconosceva alla ‘ndrangheta locale un potere non indifferente, quello di regolamentare l’accesso ai subcontratti ma, soprattutto, di controllare le attività economico-produttive nei territori in cui si realizzava l’opera.

Uno spaccato inquietante quello ricostruito dalla Dda dello Stretto che stamani ha fatto scattare l’operazione Iris, che ha decimato la cosca Alvaro di Sinopoli, portando al fermo di 18 persone (LEGGI), ritenute appartenenti al clan e tra le quali spiccano anche i nomi non solo delle figure di vertice della famiglia, ma anche di un amministratore pubblico, il sindaco di Delianuova, Francesco Rossi, e due imprenditori, Rocco Rugnetta e Saverio Napoli.

Le accuse sono gravi: associazione mafiosa e, a vario titolo, estorsione, truffa aggravata, trasferimento fraudolento di valori.

I NOMI DEI FERMATI

I destinatari della misura sono: Raffaele Alvaro, cl. 65, detto “Pagghiazza”; Carmine Alvaro, cl. 59, “u bruzzise”; Giuseppe Alvaro, cl. 43, “u trappitaru”; Carmine Alvaro, cl. 71, “u limbici”; Domenico Alvaro, cl. 77; Carmelo Alvaro, cl. 60, “Carmine Bin Laden”; Paolo Alvaro, cl. 88; Giuseppe La Capria, cl. 71; Francesco Rossi, cl. 57; Rocco Rugnetta, cl. 83; Antonino Bonforte, cl.57, “u topu”; Saverio Napoli, cl. 68; Rocco Calabrò, cl. 68; Francesco Paolo Sergio, cl. 89; Domenico Rugolino, cl. 66; Giuseppe Foti, cl. 55; Sebastiano Callea, cl. 57; Giuseppe Alvaro, cl. 32, “u rugnusu” (arresti domiciliari)

IL CASOLARE DEL BOSS, LE MANGIATE E GLI ACCORDI

Le acquisizioni investigative più rilevanti ruotano intorno ad un casolare di contrada Scifà di Sinopoli: ubicata lungo la Statale 183, che collega Gambarie a Delianuova, “la casetta” - così come veniva indicata dagli indagati - sarebbe stata il luogo nevralgico per la cosca, dove vi si svolgevano continue riunioni, mascherate da cosiddette “mangiate”, e da un andirivieni costante di esponenti di tutti i mandamenti del reggino.

Monitorando la “casetta”, dunque, si è arrivati a ricostruire l’organigramma della cosca, confermando quanto già emerso nell’ambito dell’indagine “Provvidenza” (LEGGI) riguardo alla figura di Carmine Alvaro, 50 anni, detto u pulice”, ritenuto come l’indiscusso boss e arrestato nel gennaio del 2017 insieme ad esponenti dei principali clan della Piana di Gioia Tauro.

Altre figure di spicco sarebbero poi quelle dei cugini di Carmine, i fratelli Antonio, Raffaele e Carmine (u bruzzise) Alvaro, il cui compito sarebbe stato di coordinare le attività criminali degli affiliati ed organizzare gli incontri con i referenti mafiosi delle altre cosche che chiedevano di parlare con “u pulice”.

A questi si affiancavano poi altri numerosi presunti affiliati, alcuni dei quali già condannati per reati associativi in altri procedimenti, come Giuseppe Alvaro (“u rugnusu”), Giuseppe Alvaro (“u trappitaru”), Carmine Alvaro (“u limbici”), Carmelo Alvaro (“Carmine Bin Laden”), Domenico Alvaro, Paolo Alvaro (cl. 88), Antonino Bonforte (“u topu”), Rocco Calabrò, Francesco Paolo Sergio e Giuseppe La Capria.

IL VIA VAI DI “SUPER BOSS”

Nel casolare di contrada Scifà è stata registrata la presenza di esponenti di cosche blasonate del reggino: dai “Pelle-Gambazza” di San Luca ai “Mollica” di Africo; i “Rugolino” di Catona, “Ietto” di Natile di Careri, “Condello” di Varapodio, “Callea” di Ortì, “Morabito” (“De Stefano”) di Archi, “Scopelliti” di Melia di Scilla, senza tralasciare cointeressenze con altri casati tra i quali quelli dei “Guadagnino” e i “Papalia” di Delianuova, i “Mazzagatti” di Oppido Mamertina e “Larosa” di Giffone.

Tra questi, in tre sono stati raggiunti dal fermo di oggi: Domenico Rugolino, ritenuto a capo dell’omonima cosca dei quartieri di Catona, Arghillà, Villa San Giuseppe, Rosalì e Spontone; e poi Giuseppe Foti, suo presunto subordinato, e Sebastiano Callea, considerato esponente di spicco dei “Condello-Imerti” del quartiere Ortì di Reggio Calabria.

A questi viene contestata pure una stretta vicinanza alla cosca di Sinopoli, che sarebbe attestata dalla frequente presenza nel “quartier generale” di contrada Scifà per condividere strategie criminali, concordare la spartizione degli interessi illeciti e le modalità di aggressione al tessuto economico del territorio.

LE OPERE PUBBLICHE E LE ESTORSIONI

L’indagine dei Carabinieri del Nucleo Investigativo avrebbe permesso di documentare gli interessi degli “Alvaro” e delle altre cosche con cui si erano accordati.

È il caso, in particolare, della riscossione del “pizzo” per i lavori di difesa costiera tra Cannitello e Santa Trada, in particolare in difesa del centro abitato di Porticello, a Villa San Giovanni, bandito dalla Provincia per un importo complessivo di 1,7 milioni di euro.

In pratica un lavoro di ricarica” della barriera soffolta già esistente e di realizzazione di nuovi tratti a protezione dell’abitato, che era particolarmente esposto alle mareggiate e all’erosione costiera.

Gli inquirenti, a tale riguardo, evidenziano in particolare un accordo documentato tra le diverse compagini ‘ndranghetiste: il pagamento del pizzo, in pratica, sarebbe stato spartito tra le famiglie mafiose che si estendono su un territorio vasto, che va da Sinopoli passando per Villa San Giovanni fino a raggiungere Archi di Reggio Calabria.

La tesi è che il protagonista della vicenda sia Domenico Calabrese, già coinvolto nell’indagine “Sansone” (LEGGI) e considerato inserito nella cosca “Zito-Bertuca” ma vicino agli “Alvaro”.

L’uomo viene ritenuto il diretto esecutore delle disposizioni impartite da Raffaele Alvaro per conto di Carmine “u pulice”, e avrebbe riscosso i guadagni dell’estorsione ad una ditta che si era aggiudicata l’appalto provinciale.

La quota parte della somma sarebbe stata poi consegnata materialmente alle famiglie” di Sinopoli e di Archi.

L’INFILTRAZIONE NEI LAVORI DELL’ELETTRODOTTO

L’episodio, però, che maggiormente testimonierebbe la capacità di infiltrazione degli Alvaro sarebbe quello sui lavori di realizzazione dell’elettrodotto Sorgente-Rizziconi, un’opera pubblica di interesse nazionale dato che aveva lo scopo di garantire la sicurezza della connessione della rete elettrica siciliana a quella peninsulare, per ridurre il rischio di black out proprio in Sicilia ed incrementando la capacità di trasporto tra l’isola e il continente.

Gli investigatori sostengono che in questo caso le mire imprenditoriali del clan siano state estremamente pervasive e rivolte direttamente ai settori più remunerativi - come il movimento terra, trasporto, fornitura di inerti, mezzi e manodopera - arrivando ad assicurarsi il controllo del cantiere ed ottenere introiti sia diretti che indiretti attraverso le ditte ritenute “riconducibili” al sodalizio ed incaricate delle varie forniture e dei numerosi noli.

Di fatto l’indagine evidenzierebbe l’esistenza di quello che viene definito come un vero e proprio “accordo tra la Roda Spa, l’impresa aggiudicatrice dei contratti da Terna Spa, e alcune ditte di Sinopoli, Sant’Eufemia e San Procopio, che si sospetta tutte collegate o riconducibili agli “Alvaro”.

Gli emissari della cosca sarebbero stati due imprenditori: Saverio Napoli (amministratore di fatto della Costruzioni Flores Eufemia) e Rocco Rugnetta (amministratore di fatto della RR Appalti & Costruzioni srl).

Per gli inquirenti sarebbe stati loro due a tenere i contatti con i rappresentanti della Roda Spa e ad aver materialmente imposto le ditte subappaltatrici, i fornitori di ferro e calcestruzzo e i servizi di cantiere in genere, assegnati, su disposizione del clan, a ditte “gradite” e ovviamente a prezzi e condizioni più sfavorevoli rispetto a quelli di mercato.

L’IMPRENDITORE GARANTE DELLA “SICUREZZA AMBIENTALE”

Rugnetta, in particolare, avrebbe assunto il ruolo di garante della “sicurezza ambientale”,proteggendo” le azienda Terna e Roda - rispettivamente committente e appaltatrice - da eventuali danneggiamenti o intimidazioni.

L’uomo sarebbe stato anche il mediatore” con la pubblica amministrazione per la risolvere problemi legati a delle violazioni di carattere amministrativo che erano state riscontrate dal Comune di Sinopoli nel cantiere, intervenendo e, in definitiva, facendo distruggere i relativi verbali di accertamento e di contestazione di alcune infrazioni elevate alla Roda Spa.

A conferma dell’elevata caratura criminale raggiunta dagli “Alvaro” sarebbe proprio il fatto della totale assenza, nel corso dei lavori relativi all’appalto, di danneggiamenti e atti intimidatori; aspetto, quest’ultimo, ritenuto più emblematico se si considera l’alta densità mafiosa dell’ampio contesto territoriale interessato dall’appalto.

Infatti, spiegano gli investigatori, in più occasioni sarebbero le ditte della zona a rivolgersi agli Alvaro per chiedere di essere incluse nelle imprese interessate dalle forniture di beni e servizi, riconoscendo così e di fatto alla ‘ndrangheta il potere di regolamentazione dell’accesso ai subcontratti e, più in generale, il controllo sulle attività economico-produttive nei territori in cui insiste la realizzazione dell’opera pubblica.

LE INGERENZE A DELIANUOVA E LA RICHIESTA DEL SINDACO

Le indagini avrebbero poi documentato la capacità della cosca d’influenzare le scelte del Comune di Sinopoli (come spiegato per il caso di Rugnetta e della presunta distruzione di verbali di contestazione elevati alla ditta impegnata nella realizzazione dell’elettrodotto) e, soprattutto, di quello di Delianuova.

In quest’ultimo sarebbe centrale la figura di Francesco Rossi, all’epoca vicesindaco e assessore ai lavori pubblici, ed oggi sindaco di Delianuova e consigliere della Città Metropolitana di Reggio Calabria.

Gli inquirenti affermano che il primo cittadino fosse uno dei frequentatori di contrada Scifà e ne portano un esempio: nell’ottobre del 2013 avrebbe partecipato una riunione in cui si sarebbero affrontate con gli Alvaro - in un clima definito “di piena sintonia e unità di intenti con i vertici del sodalizio” - questioni relative agli appalti e finanziamenti pubblici e, più in generale, a problematiche del centro urbano di Delianuova su cui la cosca esercitava la sua influenza mafiosa.

In particolare, Rossi avrebbe richiesto un intervento della cosca su alcuni soggetti che ostacolavano la sua gestione amministrativa, adducendo delle presunte violazioni dei patti pre-elettorali da parte dell’allora assessore nella definizione del piano regolatore e della lottizzazione della zona di Carmelia; il tutto per portare a far cadere il governo locale e nel tentativo di porsi poi in prima persona alla guida dell’Amministrazione comunale.

“Rossi, in pratica - affermano gli investigatori - avrebbe deciso di portare sul tavolo dei suoi interlocutori mafiosi le diverse questioni che avevano generato gli attriti in seno all’amministrazione comunale, affinché le figure apicali della cosca Alvaro si esprimessero nel merito, rinnovando il sostegno a Rossi e interrompendo le condotte ostruzionistiche dei suoi oppositori”.

In definitiva, l’allora vicesindaco e assessore avrebbe incarnato il ruolo di "referente politico del clan" nel Comune di Delianuova, e sarebbe stato collocato” nella carica dalla ‘ndrangheta "per farne gli interessi".

I BENI SEQUESTRATI

Nell’ambito dell’operazione è stato eseguito il sequestro preventivo di due società, la R.R. Appalti e Costruzioni Srl e la Costruzione Flores Eufemia Srl, con tanto di patrimoni aziendali, quote e conti correnti e che si ritiene riconducibili agli indagati. I sigilli sono stati apposti anche al casolare usato dalla famiglia mafiosa.

L’indagine - avviata nell’estate del 2013 - è stata condotta dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Reggio Calabria con il coordinamento del Procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci e del Sostituto Giulia Pantano.