Blitz dei Ros, 26 fermi: colpiti i fiancheggiatori del ‘boss’ Condello

Reggio Calabria Cronaca

Dalle prime ora di questa mattina, i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Reggio Calabria stanno eseguendo un provvedimento di fermo emesso dalla Procura distrettuale antimafia nei confronti di 26 persone considerate affiliate alla cosca di ‘ndrangheta del capoluogo dei Condello.


Le indagini, effettuate dagli investigatori dell’Arma, avrebbero permesso di ricostruire la rete dei presunti fiancheggiatori di Domenico Condello, ritenuto “capo mafia” ed arrestato quattro anni fa, nel 2012, dopo oltre 20 anni di latitanza.

Nel corso dell’operazione, denominata “Sansone”, gli inquirenti ritengono di aver anche definito gli assetti delle cosche che operano nell’area metropolitana del capoluogo e che esercitavano un pressione estorsiva sul territorio definita “asfissiante”.

Il blitz è scattato all’alba ed i 26 soggetti sono gravemente indiziati, a vario titolo, di essere associati alla ‘ndrangheta ma anche di estorsione, detenzione illegale di munizioni ed armi comuni da sparo e da guerra rese clandestine, procurata inosservanza di pena e favoreggiamento personale, minaccia e danneggiamento seguito da incendio, tutti aggravati dalla finalità di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa.

I DUE “FILONI” DI INDAGINE

Il provvedimento di oggi costituisce l’esito di un articolato impegno investigativo coordinato dalla Procura Distrettuale e condotto dal Ros, che è stato incaricato sia delle ricerche di Domenico Condello (60 anni) detto “U Pacciu”, inserito allora nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità, che delle attività di contrasto all’assetto associativo della cosca omonima. I carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria si sono invece interessati alle dinamiche criminali delle cosche Zito-Bertuca e Buda-Imerti, attive nell’area di Villa San Giovanni, Fiumara e dintorni, nonché dei Garonfalo, operativi a Campo Calabro.

Le investigazioni sono state effettuate su contesti differenti ma complementari e, data la loro interconnessione, in sinergia dai due Reparti dell’Arma. Punto di contatto delle due indagini è costituito dall’influenza della cosca Condello nell’area di Villa S. Giovanni e dintorni, tanto che prima spiegare i risultati dell’indagine di oggi, gli inquirenti ritengono necessario fornire una prospettiva “di ordine contestuale” su eventi ed aspetti organizzativo e strutturali dell’organizzazione a cavallo del 1991, anno di conclusione della seconda guerra di ‘ndrangheta a cui andrebbero riferiti i più recenti risultati investigativi.

IL MATRIMONIO CHE “CEMENTA” I RAPPORTI TRA I CLAN

In relazione a ciò gli inquirenti spiegano che le vicende criminali della cosca Condello sarebbero strettamente collegate a quelle dei De Stefano ed Imerti-Buda. Originariamente, strettissimi sarebbero stati i legami esistenti tra i De Stefano, nella persona di Paolo De Stefano, ed i Condello, nella persona di Pasquale Condello (66 anni), detto il Supremo, essendo il primo testimone di nozze del secondo, insieme a Giovanni Fontana dell’omonima cosca.Pasquale Condello (66) grazie alle sue capacità nell’ambito criminale ed ai legami di comparaggio indicati – sostengono gli investigatori - aveva rapidamente assunto il ruolo di braccio destro del boss Paolo De Stefano. Gli equilibri tra i due casati mafiosi iniziarono però a modificarsi in prossimità della metà degli anni ’80” in conseguenza del matrimonio, nel 1983, tra Antonino Imerti detto Nano feroce, considerato esponente apicale della cosca Imerti/Buda, e Giuseppina Condello, sorella di Domenico U Pacciu e cugina di Pasquale il Supremo; matrimonio, questo, che avrebbe determinato la “cementificazione dei rapporti” tra i Condello e gli Imerti/Buda ed il rafforzamento della loro presenza nell’area di Villa S. Giovanni.

GLI APPETITI DELLA COSCA: IL DECRETO REGGIO E IL PONTE SULLO STRETTO

Un altro elemento preso in considerazione sono le attenzioni rivolte dai clan alle enormi contribuzioni pubbliche legate al Decreto Reggio ed ai suoi appalti milionari, nonché alla possibile costruzione del Ponte sullo stretto.

Le due circostanze avrebbero contribuito a far decidere ai De Stefano di pianificare l’omicidio di Nino Imerti, fatto che avrebbe portato allo sgonfiamento del potere dell’aggregato criminale ei Condello/Imerti/Buda nell’area di Villa, dove i De Stefano intendevano espandere la loro influenza.

Così il 10 ottobre del 1985 venne fatta esplodere un’autobomba che provocò la morte di tre persone, Umberto Spinelli, Vincenzo Palermo e Angelo Palermo, guardie del corpo di Antonino Imerti che rimase ferito insieme al suo autista, Natale Buda.

Il successivo 13 ottobre, a soli tre giorni di distanza, nel rione Archi di Reggio Calabria, avveniva il duplice omicidio del boss Paolo De Stefano, capo dell’omonima famiglia, e di Antonino Pellicanò: l’ideazione ed esecuzione materiale per gli inquirenti va ricondotta proprio a Domenico Condello.

Quest’ultimo episodio avrebbe di fatto inaugurato la seconda guerra di ‘ndrangheta e sancito definitivamente la scissione dell’allora nascente cosca Condello-Imerti-Buda dallo schieramento Destefaniano, di cui Paolo sarebbe stato il leader indiscusso. Gli omicidi rappresenterebbero l’inizio della carriera criminale di Domenico Condello nelle file del nuovo «federamento» anti Destefaniano, il cui potere si è progressivamente accresciuto a seguito degli arresti di Nino Imerti nel 1993 e di Pasquale Condello, nel 2008. In tale contesto la cosca Imerti/Buda andrebbe ricollegata allo schieramento Condelliano.

LA FINE DELLA GUERRA E LA NUOVA GEOGRAFIA CRIMINALE

La seconda guerra dindrangheta si protrasse fino al 1991, anno in cui tra gli opposti schieramenti venne siglata una pace che, attribuendo aree di influenza alle varie famiglie mafiose, ridisegnò la geografia criminale della provincia reggina ed i rapporti di forza tra le consorterie di ‘ndrangheta, decretando - per quanto attiene al territorio di Villa San Giovanni - l’operatività di entrambi gli schieramenti, tra loro in rapporto di reciproco riconoscimento.

Passando all’indagine Sansone gli investigatori sottolineano che questa ha portato il 10 ottobre del 2012 al rintraccio del latitante Domenico Condello ed alla individuazione della rete di supporto logistico e dei più stretti collaboratori che oggi sono destinatari del provvedimento restrittivo.

Sotto il profilo associativo le indagini condotte dal Ros sul conto dello schieramento Condello - che, come detto, ha influenza anche nella zona di Villa San Giovanni per via dei collegamenti con i Buda/Imerti - si sono intersecate con quelle svolte dal Comando Provinciale ma a carico dello schieramento Zito-Bertuca, pure operante a Villa e Fiumara.

Ciò per una presunta interazione tra i due schieramenti a causa delle criticità nate sulla suddivisione delle attività estorsive. Le indagini metterebbero così in luce la presenza, nell’area villese, di una forte pressione estorsiva e di un controllo criminale esercitato congiuntamente da più cosche, in modo capillare. Situazione questa che può essere efficacemente riassunta nelle parole di Pasquale Bertuca che nel corso di un colloquio in carcere con la sorella Felicia e con il nipote Vincenzo Sottilaro, il 23 agosto del 2010 invitava i familiari a riferire a Alfio Liotta, soggetto incaricato della riscossione dei proventi estorsivi, di «non lasciare scampo a nessuno» con la precisazione di un imprenditore cui doveva rivolgersi che doveva «… essere il primo che glieli deve portare!».

IL CONTROLLO ASFISSIANTE DEL TERRITORIO

Il controllo esercitato sul territorio sarebbe stato così ampio e penetrante che gli esponenti delle cosche, oltre a condizionare la vita economica del territorio (l’avvio di iniziative economico-imprenditoriali doveva ricevere il placet degli esponenti dei vari clan) erano in grado di risalire agli autori di furti in abitazione o di veicoli, di danneggiamenti, e di attivarsi per la restituzione dei beni ai legittimi proprietari, anche dietro il pagamento di una somma di denaro. Entrando più nel dettaglio, gli inquirenti spiegano poi come nel settore delle estorsioni, i rapporti tra le cosche Zito-Bertuca e quelle Condello-Buda-Imerti fossero caratterizzati da “logiche spartitorie dei proventi estorsivi che si sono dipanate non senza momenti di criticità derivanti dalla duplicazione delle richieste estorsive tali da determinare, in alcuni casi, incontri diretti tra i referenti dei due schieramenti”.

Particolarmente eloquenti sarebbero allora le parole di Pasquale Bertuca che, lamentandosi col fratello Vincenzo dell’eccessivo attivismo estorsivo del condelliano Andrea Carmelo Vazzana nell’area di Villa S. Giovanni, specificava che Alfio Liotta gli avrebbe dovuto riferire «che le indagini sopra di noi non le può fare nessuno! Altrimenti glielo mando a dire con Mico! Perché… tutte le volte che hanno portato… una brioche se la sono mangiata pure loro!» specificando che, quando entravano nell’area di loro pertinenza, «gli devi dire che prima di andare a Cannitello devono “bussare” però!».

Nel complesso le attività di indagine hanno permesso di documentare ben venti episodi estorsivi - consistiti nella pretesa di ingenti somme di denaro – ai danni di numerose imprese che operano nei settori della raccolta dei rifiuti solidi urbani, delle costruzioni, del movimento terra ed impegnate nello svolgimento di servizi ed opere sia private che di interesse pubblico, ed i cui proventi sarebbero stati suddivisi tra le stesse cosche.

Le relazioni tra i clan nel campo estorsivo avrebbero consentito conseguentemente di delineare gli assetti associativi non solo dei Condello-Buda-Imerti e Zito-Bertuca ma anche della cosca Garonfalo, operante nel comune limitrofo di Campo Calabro.

(aggiornata alle 11:45)