Inchiesta tangenti in Lombardia: da mercoledì Caianiello e Tatarella tornano liberi

Calabria Cronaca

Il gip di Milano, Raffaella Mascarino, ha notificato un provvedimento che rimette in libertà gli indagati nell’inchiesta della Dda del capoluogo su un presunto sistema di tangenti e spartizione di appalti in Lombardia.

Ritornano liberi, dunque, l’ex coordinatore di Forza Italia di Varese Gioacchino Caianiello, l’ex consigliere comunale azzurro nonché candidato alle Europee Pietro Tatarella, e Mauro Tolbar, ritenuto uno dei collettori di mazzette.

Il giudice per le indagini preliminari ha infatti rigettato la richiesta avanzata dalla Procura di sostituire con una misura meno afflittiva, come l’obbligo di dimora o di firma, la misura detentiva e ha quindi dichiarato l’inefficacia per scadenza termini, a partire dal prossimo 6 novembre, per quattro persone.

L’unico a restare ai domiciliari è l’imprenditore Daniele D’Alfonso: gli è stata contestata l’aggravante di aver favorito la ‘ndrangheta e pertanto per lui la misura scadrà nel maggio 2020.

L’inchiesta, eseguita il 7 maggio scorso, aveva fatto esplodere un vero e proprio terremoto giudiziario, con 43 coinvolti e 28 persone finite in arresto (una dozzina in carcere) tra cui spiccarono i nomi di esponenti politici, amministratori pubblici e imprenditori (QUI).

La Dda di Milano li accusava di corruzione, di finanziamento illecito ai partiti politici, di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, di false fatturazione per operazioni inesistenti, di auto riciclaggio e abusi d’ufficio.

L’indagine prese il nome dal modo dal modo con cui alcuni degli indagati chiamavano un conosciutissimo ristorante nei pressi della Regione Lombardia e dove, appunto, sarebbero avvenuti gli scambi di “bustarelle”.

Secondo gli inquirenti vi sarebbero stati dunque due gruppi criminali, uno attivo nella provincia milanese e l’altro in quella di Varese, implicati nel giro di corruzione per spartirsi e aggiudicarsi gli appalti pubblici. Il reato associativo è stato contestato a 9 delle ben 95 persone indagate complessivamente.

L’ombra della criminalità calabrese nell’inchiesta si era affacciata proprio per uno degli indagati centrali dell’inchiesta, D’Alfonso appunto, imprenditore del settore dei rifiuti e delle bonifiche ambientali a cui si contestò di aver favorito il clan dei Molluso facendone lavorare uomini e mezzi negli appalti.