Accusato di “passare” notizie alle cosche di ‘ndrangheta, arrestato poliziotto crotonese

Crotone Cronaca
Nicola Lelario

Gli uomini polizia di Crotone probabilmente non avrebbero mai pensato di trovarsi davanti un collega da ammanettare, ma purtroppo così è stato e le accuse non sono affatto leggere per l’agente ritenuto - a questo punto - “infedele”: gli si contesta infatti il concorso esterno in associazione mafiosa.

I dettagli del suo arresto sono stati resi noti personalmente dal capo della Squadra Mobile pitagorica, Nicola Lelario, che ha spiegato tutti i contorni della vicenda.

Non solo il poliziotto ma anche una seconda persona è finita in carcere e su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro.

L’agente è Massimiliano Allevato (52 anni), sovrintendente della polizia già in forza alla squadra Mobile locale, al momento in stato di aspettativa e formalmente assegnato ad un’altra sede.

L’altro destinatario è invece Francesco Monti (34), noto pregiudicato della provincia crotonese, considerato appartenente alla Cosca Megna di Papanice, e che è anche nipote del presunto boss “Nico” Megna.

Quanto al poliziotto, il capo della Mobile ha voluto puntualizzare il fatto che si trovi attualmente in altro incarico, ribadendo che l’indagine era partita da tempo (e concretizzatasi ieri).

Sull’agente si erano accesi i riflettori, in pratica, non appena emerse delle evidenze nel corso della nota operazione Tisifone, che nel dicembre dell’anno scorso inferse un duro colpo ai nuovi equilibri” e “assetti” criminali che si stavano costituendo tra le famiglie di ‘ndrangheta storicamente radicate nel crotonese, in particolare sull’asse geografico compreso tra i comuni di Isola Capo Rizzuto e Petilia Policastro e la frazione di Papanice di Crotone (QUI).

I MESSAGGI SUL CELLULARE

In quel frangente, in fase di esecuzione dell’operazione, su 23 destinatari delle misure d’arresto ne vennero rintracciati solo 21.

Allora si sottrassero al fermo Rocco Devona e Antonio Nicoscia. Il primo si costituì spontaneamente il giorno successivo, mentre il secondo, pressato da un’incessante attività della mobile, si consegnò alla polizia nel giorno dell’epifania di quest’anno (QUI).

Sempre durante l’operazione Tisifone (QUI), in particolare per quanto riguarda l’allora irreperibilità di Devona, vennero effettuate delle perquisizioni per rintracciarlo, e proprio in quel frangente venne ritrovato un telefono cellulare all’interno del quale vi erano una serie di comunicazioni intercorse tra lo stesso e l’agente oggi arrestato.

Questo fatto, ha spiegato ancora Nicola Lelario “è stato poi approfondito, eseguendo un’analisi tecnica da parte della Procura Distrettuale Antimafia, che ha permesso di corroborare questo dato che, nell’immediatezza, c’è sembrato assolutamente rilevante dal punto di vista investigativo”.

Il sospetto, insomma, è che vi fosse una concomitanza tra il fatto che durante il blitz Devona non si trovasse dove si era andato a cercarlo, e questa serie di messaggi sul telefonino avvenuti tra l’allora ricercato ed il poliziotto oggi arrestato.

Messaggi, ha ancora dettagliato il capo della Mobile, “che riguardano una serie di notizie che sono state ‘passate’ a Devona e che hanno portato di conseguenza alla contestazione al collega dell’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa … e quella della rivelazione di segreto d’ufficio aggravato dal 416/bis”.

In quell’occasione al sovrintendente vennero già mosse delle contestazioni formali che portarono il Questore di Crotone ad allontanarlo per “incompatibilità ambientale”.

LA “COMPLESSA VICENDA” DI MONTI

Quanto a Francesco Monti, la sua - stando sempre alla parole di Lelario - è unavicenda complessa nella sua intelaiatura che ha portato poi a spiccare il provvedimento restrittivo”.

La misura eseguita oggi a suo carico è il frutto infatti di una serie di convergenze investigative portate avanti dalla Mobile di Crotone.

Il riferimento è ancora all’indagine Tisifone, quando emersero degli elementi che fecero ritenere agli investigatori una partecipazione di Monti a quello che era un “battesimo” di ‘ndrangheta che, al tempo, vide coinvolto anche Devona.

Da qui gli investigatori contestarono l’associazione mafiosa a Monti, ma che però non fu ritenuta sufficiente per farlo rientrare tra i 23 arrestati durante il blitz.

Lelario spiega che successivamente sarebbero emersi altri elementi che avrebbero per così dire consentito di “rivitalizzare la posizione di Monti”, anche sulla scorta di quanto appurato in un’altra operazione, la Hermes (QUI), contro la cosca crotonese dei Foschini-Barilari.

Durante le indagini svolte in quel contesto sempre dalla Mobile, anche assorbendo elementi assunti dai Carabinieri, emerse una sorta di papello, una cosiddetta copiata”, in pratica un elenco di presunti appartenenti alla ‘ndrangheta, tra cui anche Monti.

A queste “informazioni”, si sono poi aggiunti ulteriori elementi assunti dagli investigatori nel corso di un altro procedimento penale che avrebbe visto coinvolti sia Devona che Monti, “certificando dei rapporti - ha sostenuto Nicola Lelario – esistenti tra i due e che hanno quindi portato, sostanzialmente, a ricostruire e a ritenere sussistente e sufficientemente provata … l’appartenenza di Monti all’associazione”.

In sintesi, quella dell’agente ritenuto “infedele” e quella del secondo arrestato sono sì due diverse vicendema che trovano il collante nella figura di Devona”, ha ribadito sempre il capo della Mobile.

Quanto a quest’ultimo, infatti, vi sono poi delle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, che avrebbero confermato come il sovrintendente avrebbe rivelato la presenza di attività investigative nei confronti di alcuni esponenti delle cosche locali. E i suoi colleghi presumono per un tornaconto economico.