Decimata la cosca Cordì. Dal cimitero agli appalti era tutto “cosa loro”, e tutti lo sapevano

Reggio Calabria Cronaca

“Non c’è bisogno che parliamo… c’è bisogno solo che ci vedono…”. Pare stia tutta in questa frase, apparentemente banale, la sintesi del “potere” che la cosca dei Cordì avrebbe esercitato ed indiscutibilmente su comune di Locri. Una forza imposta con la paura, con le intimidazioni ma anche con fatti concreti, come i danneggiamenti.

Un controllo asfissiante dell’economia locale, piegata al pizzo, costretta - come dicevamo gli stessi affiliati - a “mettersi a posto” per garantirsi “protezione e sicurezza”, ovvero per non subirne le inevitabili ritorsioni: Un prezzo per stare tranquilli pagato anche 1500 euro al mese, finanche arrivando a quasi venti mila euro.

Questa dunque la conclusione a cui sono giunti oggi gli inquirenti, che dopo aver accorpato tre distinte e convergenti indagini, condotte da un lato dai Carabinieri e dall’altro dalla Guardia di Finanza, hanno fatto scattare le manette ai polsi di dieci persone, ritenute appunto far capo alla storica cosca locale dei “Cordì” (LEGGI).

A tutti e a vario titolo si contestano l’associazione di tipo mafioso, l’estorsione, il danneggiamento seguito da incendio, l’illecita concorrenza con minaccia o violenza, la violazione della sorveglianza speciale, la detenzione e porto d’ armi, con l’aggravante di aver agito per favorire gli interessi della ‘ndrangheta, lo stesso clan reggino.

I NOMI DEI FERMATI

Per i fermati si sono spalancate le porte della Casa Circondariale di Locri. Si tratta in particolare di Gianfranco e Cosimo Alì, rispettivamente di 37 e 62 anni; Vasile Iulian Albatoaei (detto “Giuliano”), 33enne romeno ma residente a Locri; Guido Brusaferri, 54enne nato a Lodi ma residente anche lui nella cittadina reggina; Domenico Cordì, di 40 anni e un altro suo omonimo di 28 di anni; Antonio Cordì, di 22 anni; Salvatore Dieni, 47 anni; Emmanuel Micale, 34 anni e, infine, Gerardo Zucco, di 48 anni.

“RISCATTO”. LA FORZA DEL BLASONE ‘NDRANGHETISTA

Come dicevamo l’operazione di oggi si è arrivati con l’unificazione di diversi filone investigativi. Uno è quello condotto dai Carabinieri che, in particolare, partendo da alcuni iniziali episodi estorsivi, hanno sviluppato un’articolata attività (denominata operazione “Riscatto”) su alcuni presunti sodali della cosca, collegati per diretti vincoli di sangue o da certificati vincoli associativi.

Il variegato contesto su cui si è poi operato avrebbe permesso di poter delineare una serie di estorsioni, consumate e tentate, facendo leva sulla forza intimidatrice che deriva dal blasone ‘ndranghetista del sodalizio d’appartenenza per convincere le vittime, come dicevamo a “mettersi a posto”, cioè a pagare per stare tranquilli.

In particolare, le indagini avrebbero consentito di ricostruire le pretese estorsive rivolte - con il coinvolgimento, a vario titolo, degli indagati Gerardo e Bruno Zucco, e di Domenico Cordì (di 48 anni) - ai danni di un imprenditore edile, affidatario di alcuni lavori banditi dal Comune di Locri.

Si tratta della realizzazione di un teatro in regione Moschetta, appalto del valore di 600 mila euro; della ristrutturazione dell’edificio scolastico Maresca, per altri 210 mila euro; del subappalto per la valorizzazione di Palazzo Nieddu Del Rio, da 150 mila euro, oltre che della manutenzione idraulica dei valloni che attraversano il territorio comunale (da poco più di 48 mila euro) e di appalti privati (come la ristrutturazione della “Casa Bennati” di Locri, commissionata dalla Diocesi di Locri-Gerace): qui le pretese del clan variavano dai 1.500 ai 18.000 euro in relazione al valore dell’appalto.

In un caso si sarebbe invece tentato di imporre all’imprenditore anche la cessione in subappalto ad una ditta locrese senza i requisiti di legge poiché non inserita nella white list prefettizia.

In un altro episodio, poi, sarebbero state documentate compiutamente delle condotte simili da parte di un altro indagato, Emmanuel Micale, che facendo leva sul timore indotto dalla sua “vicinanza” alle note famiglie di ‘ndrangheta dei Cordì e degli Alecce avrebbe ripetutamente tentato di costringere il titolare di una rivendita di tabacchi a “mettersi a posto” anche lui, pagando 1.500 euro al mese per garantirsi “protezione e sicurezza per sé e per il proprio locale”.

Il tentativo però non andò a buon fine a causa delle difficili condizioni economiche del tabaccaio, tra l’altro già vittima di una estorsione da parte di un altro indagato, Salvatore Dieni.

IL MONOPOLIO SUL CIMITERO DI LOCRI

I militari hanno scoperto anche diversi episodi, verificatisi a sempre Locri, ed apparentemente estranei ai contesti della criminalità organizzata, ma in realtà ritenuti “ragionevolmente imputabili ad un’unica matrice”, riconducibile a componenti della famiglia Alì di Locri che da anni avrebbero esercitato un’incontrastata egemonia delle attività di gestione dell’area cimiteriale, come le onoranze funebri e la vendita al dettaglio dei fiori proprio nei pressi del camposanto.

La tesi degli inquirenti è che gli Alì, in particolare Gianfranco, abbiano acquisito il controllo del settore delle attività cimiteriali cittadine, imponendo un regimedi fattomonopolistico utilizzando gravi azioni intimidatorie e danneggiamenti, di cui sarebbero state vittime le di ditte concorrenti ma anche privati cittadini e amministratori pubblici.

In particolare, tra il 29 maggio del 2017 ed il 27 giugno scorso, tra tutte le vittime e gli Alì si sarebbero verificati a una serie di episodi accomunati dal contrapposto interesse economico nella gestione delle attività cimiteriali:

“con una tempistica che non lascia margine di incertezza - hanno spiegato gli investigatori - coloro che svolgevano attività concorrenziale agli Alì o gli amministratori pubblici che avevano adottato atti volti a contrastare o, comunque, ad attenuare quel monopolio, subivano danneggiamenti e minacce gravi arrivate fino all’incendio dei mezzi di lavoro, al posizionamento di un ordigno dinanzi all’abitazione di un funzionario comunale e, da ultimo, alla minaccia rivolta al Sindaco Giovanni Calabrese di non fargli più ritrovare le spoglie dei suoi parenti sepolti nel cimitero di Locri”, e in quest’ultimo caso indicativa una un’intercettazione: “Giovannoni domani dirò dov’è sepolto qualche tuo parente da tantissimi anni”).

“MILLE E UNA NOTTE”. IL PANE IMPOSTO E LE ONORANZE FUNEBRI

Le indagini svolte invece dalla Guardia di Finanza locale, denominate “Mille e una notte”, sono partire dal fenomeno dell’assenteismo degli impiegati comunali di Locri, segnalato anche dallo stesso sindaco in numerose interviste pubblicate su giornali locali e nazionali.

Al termine delle investigazioni sarebbe così emerso che i Cordì, grazie ad una fitta rete di associati ed affiliati, controllasse tutto il territorio comunale, anche tramite le intimidazioni o vere e proprie perlustrazioni quasi giornaliere, con lo scopo di monitorare le diverse attività commerciali della zona.

Le fiamme gialle, difatti, sostengono che la cosca esercitasse “un potere incontrastato” nell’intero territorio, soprattutto nel settore della consegna e della vendita del pane, imposto senza possibilità di reso ad ogni singolo negoziante, così come in quello dell’organizzazione delle onoranze funebri.

La pericolosità ed il controllo del territorio da parte dei Cordì sarebbe anche confermato dalla disponibilità di armi e munizioni, così come è emerso dalle investigazione della Gdf, che è arrivata a sequestrare alla ‘ndrina tre fucili semi-automatici e con canne mozzate, tutti con la matricola abrasa, oltre a cospicuo munizionamento.

Il tutto era stato nascosto abilmente, avvolto in dei sacchi di plastica, dentro due tubi di cemento che si trovavano in un fondo pubblico,

L’operazione di oggi è stata condotta dai militari dei Comandi Provinciali e dalla Guardia di Finanza, con il supporto in fase esecutiva dei militari dello Squadrone Eliportato “Cacciatori Calabria”, dell’8° Nucleo Elicotteri dell’Arma e della Sezione Aerea lametina delle fiamme gialle.

Il fermo di indiziato di delitto è stato emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, diretta Giovanni Bombardieri.

Le indagini sono state invece coordinate dall’Aggiunto Giuseppe Lombardo e dai Sostituti Giovanni Calamita e Diego Capece Minutolo.