Traffico di rifiuti nel campo rom di Lamezia. Interviene la Dda: eseguite 14 misure cautelari

Catanzaro Cronaca
Antonio, Simone e Massimo Berlingieri; e Antonio Bevilacqua

Quattro persone finite in carcere e altre dieci sottoposte all’obbligo di dimora nel comune di Lamezia Terme. I provvedimenti, emessi dal Gip del Tribunale di Catanzaro, ed eseguiti dai Carabinieri della città della piana, vanno a colpire altrettanti soggetti che erano già stati indagati nel giugno scorso con l’accusa di over organizzato un traffico illecito di rifiuti nel campo rom di Scordovillo (LEGGI).

A finire in arresto sono Antonio, Simone e Massimo Berlingieri, rispettivamente di 32, 31 e 39 anni, e Antonio Bevilacqua, di 32 anni.

I provvedimenti di oggi arrivano dopo la richiesta di rinnovazione delle misure cautelari avanzata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, che è competente per questo nuovo reato.

Si tratta infatti di una delle prime applicazioni in tal senso per contrastare le cosiddette “ecomafie”, ed introdotto nel codice penale con un decreto legislativo del marzo scorso (il n. 21 del 1° marzo) in vigore solo dal 6 aprile successivo.

Per questa tipologia di reato è prevista ora la reclusione che va da uno a sei anni, più le eventuali pene accessorie, per chi “… al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate – viene letteralmente previsto - cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti…”.

Il codice penale prevede poi la confisca, anche per equivalente, delle cose che siano servite per commettere il reato o che costituiscono il suo “prodotto” o “profitto”.

Stamani, così, è stato rinnovato anche il sequestro della “Beda Ecologia Srl”, la società di trasporto rifiuti che ha la sede operativa all’interno del campo rom lametino, e di tutti i mezzi utilizzati.

Un provvedimento che andrebbe dunque a confermare la ricostruzione della presunta filiera criminale al cui vertice gli inquirenti ritengono vi sia stata appunto l’azienda - il cui amministratore unico è Antonio Berlingieri - e presso la quale, come sarebbe documentato dalle attività tecniche, una serie di “microconferitori”, prevalentemente residenti all’interno del campo, dopo aver raccolto ingenti quantità di rifiuti di vario tipo, pericolosi e non, li avrebbe poi venduti.

Si tratta di materiali che, in violazione delle norme ambientali, sarebbero stati lavorati per essere poi trasportati presso altre società dello stesso settore nell’hinterland lametino.

Gli scarti della lavorazione, invece, sarebbero stati sversati lungo la via d’accesso all’accampamento dove periodicamente, date le considerevoli dimensioni che raggiungeva quella che è stata definita dagli investigatori come una vera e proprio discarica abusiva, venivano incendiati provocando però delle nubi tossiche che contenevano diossina, inquinando anche il suolo e non è escludibile anche la falda acquifera.