Operai calabresi licenziati a Torino, protesta sul tetto del cimitero

Calabria Attualità

Stanno protestando da 11 giorni sul tetto della Chiesa del cimitero per riavere il loro posto di lavoro, Ilario Umbaca di Locri e Antonio Marchio originario di Crotone. I due ex dipendenti della cooperativa che gestisce il Cimitero Monumentale di Torino sono stati licenziato due anni fa, da allora non hanno mai smesso di protestare per riavere il lavoro. Fino a due giorni fa hanno portato avavnti anche lo sciopero della fame. "Ci è stato rubato il posto di lavoro, ce l'hanno estorto!", dichiarano i due sentiti telefonicamente oggi pomeriggio. Il licenziamento dei due fu disposto a cavallo del passaggio di competenze tra l'azienda municipalizzata e una cooperativa. L'accordo prevedeva che tutti i dipendenti fossero assorbiti dal nuovo soggetto che subentrava al precedente. Marchio venne licenziato qualche settimana prima dell'operazione, con il pretesto di una denuncia penale per furto ai danni del cimitero. Pochi mesi dopo anche Umbaca subì la stessa sorte, allontanato dal lavoro perchè l'azienda sosteneva che avesse truffato il budget dei suoi compensi, lavorando 10 ore in meno del dovuto. Umbaca e Marchio si sono sottoposti ai rispettivi processi penali, conclusi con l'assuoluzione di entrambi dalle accuse. Vente meno le ragioni che avevano portato al loro licenziamento, i due pretendono oggi di riavere il posto di lavoro. "Mi hanno licenziato perché hanno detto che sono mafioso - ci ha dichiarato Umbaca - siccome vengo da Locri, per loro devo essere mafioso per forza. Hanno anche pagato una ditta di investigatori privati per seguirmi e per trovare qualcosa di cui accusarmi". I sindacati avevano anche suggerito a Ilario Umbaca di sporgere denuncia per questo comportamento, che è stato accertato in tutta la sua gravità. “Volevano un scusa per buttarci fuori” ha aggiunto Marchio. I due uomini lamentano la perdita della propria dignità. "Siamo stati ingiustamente accusati di reati che non abbiamo commesso. E poi siamo stati anche assolti, non siamo noi a dirci innocenti: il giudice ci ha dato ragione. Ma allora perchè non ci ridanno il nostro lavoro?". Ma soprattutto lamentano la precaria situazione economica nella quale versano, entrambi padri di famiglia, costretti a chiedere soldi in prestito a fratelli e sorelle.