Cosca Franco, blitz della polizia: 16 fermi, colpo alla ‘locale’ di Pellaro

Reggio Calabria Cronaca

16 fermi di indiziato di delitto, emessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, sono in corso di esecuzione, dalle prime ore di questa mattina, contro la locale di ‘ndrangheta della frazione Pellaro del capoluogo e facente capo alla famiglia Franco. I reati contestati vanno dall’associazione mafiosa alla procurata inosservata di pena, all’estorsione di operatori economici. Eseguite anche numerose perquisizioni.

L’operazione di è stata denominata “Antibes”, dal nome della località turistica francese in cui, nel novembre 2013, venne catturato il latitante Giovanni Franco, nel corso di un blitz congiunto della Mobile reggina e della polizia francese, con il coordinamento dello Sco (il Servizio Centrale Operativo) e del Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia.


TELEFONI SPEDITI PER CORRIERE PER DEPISTARE INVESTIGATORI

L’indagine avrebbe consentito agli investigatori di individuare i soggetti che avrebbero aiutato il latitante a sottrarsi all’esecuzione di una pena definitiva ad 11 anni e 4 mesi di reclusione, per traffico di stupefacenti, dopo essere fuggito in Francia. Spiccata la professionalità dei fiancheggiatori che avrebbero raggiunto più volte il ricercato nel paese d’Oltralpe. Per sviare le indagini, durante alcuni viaggi, avrebbero spedito, con un corriere, i loro telefoni cellulari accesi, in una località turistica del Nord Italia che avrebbero raggiunto, con auto a noleggio, dopo aver incontrato in Francia il ricercato, mentre in altri casi avrebbero affidato i telefonini ad altri affiliati, per simulare la loro presenza a Reggio Calabria.


AL SUMMIT DEI 'BATTESIMI': “POCHI GIOVANI PER STRADA”

Oltre alla presunta rete dei fiancheggiatori che avrebbero favorito Franco in Costa Azzurra, le indagini avrebbero permesso ai magistrati della Dda - guidata dal Procuratore Capo Federico Cafiero De Raho - di contestare a 12 dei soggetti fermati il reato di associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti avrebbero preso parte, con ruoli specifici, alla locale di ‘ndrangheta di Pellaro, considerata un’articolazione territoriale dell’organizzazione criminale calabrese.

Nel corso delle indagini sarebbero state intercettate conversazioni sulle affiliazioni di nuove leve alla locale, avvenute con la benedizione del presunto boss Giovanni Franco dal luogo di latitanza in Francia. A margine del summit dei battesimi di ‘ndrangheta, alcuni affiliati si sarebbero lamentati, addirittura, della mancanza di giovani da mettere in strada.


GLI ARRESTATI

In manette sono finiti: Paolo Franco, di 36 anni; Vincenzo Cicciù, di 52 ; Cosmo Montalto, di 44; Domenico Nicola Dascola, di 45; Alessandro Pavone, di 37; Alfredo Dattola, di 63; Filippo Oliva di 62; Giuseppe Oliva, di 66; Antonio Giuseppe Franco, di 71; Natale Cozzupoli, di 70; Francesco Cuzzucoli, di 69; e Fortunato Pavone, di 74 anni, tutti nati a Reggio Calabria e accusati di associazione mafiosa.

Inoltre sono finiti in manette: Antonino Ambrogio, di 40 anni, nato a Montebello Jonico, accusato di procurata inosservanza di pena ed estorsione (consumata e tentata) aggravate dalle modalità mafiose; Domenico Ambrogio, di 41, nato a Montebello Jonico, accusato di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose; Davide Ambrogio, di 37 anni, nato a Melito Porto Salvo, accusato di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose; e Demetrio Ambrogio, di 42, nato a Montebello Jonico, accusato di estorsione aggravata dalle modalità mafiose.

I fermi nei confronti dei primi 12 soggetti sono stati eseguiti dalla Squadra Mobile, gli altri dall’aliquota della Polizia di Stato della Sezione di P.G. Nello stesso contesto operativo, sono stati eseguiti alcuni decreti di perquisizione emessi dalla Dda nei confronti di altri indagati.


FIANCHEGGIATORI INTERCETTATI IN AUTO

Gli esiti investigativi, acquisiti dalle intercettazioni ambientali eseguite sulle autovetture dei principali fiancheggiatori del latitante, hanno consentito di delineare anche i ruoli specifici rivestiti dai componenti della locale di Pellaro.

Giovanni Franco, Natale Cozzupoli, Fortunato Pavone e Antonio Giuseppe Franco, sarebbero stati i capi e promotori dell’organizzazione, con compiti di direzione, decisione, pianificazione e individuazione delle azioni e delle strategie della locale di Pellaro.

Il loro ruolo, secondo la tesi degli investigatori, consisteva nell’impartire - talvolta nonostante lo stato di detenzione o di latitanza - le direttive agli altri associati; nel dirigere ed organizzare il sodalizio, proponendo ed assumendo le decisioni più rilevanti, comprese le scelte relative all’affiliazione di nuovi sodali; nel comminare e proporre sanzioni agli associati subordinati; nel decidere e partecipare ai riti di affiliazione; nel curare i rapporti con le altre articolazioni della ‘ndrangheta e nel dirimere i contrasti insorti all’interno o all’esterno della “locale” di cui erano esponenti di vertice.

Paolo Franco, Francesco Cuzzucoli, Vincenzo Cicciù, Alfredo Dattola, Filippo Oliva Ed Giuseppe Oliva erano dirigenti ed organizzatori del sodalizio, pertanto, sostengono gli inquirenti, “ricevevano e attuavano le direttive impartite - anche dal carcere o dal luogo di latitanza - dai soggetti di vertice della locale di appartenenza (comprese le scelte relative all’affiliazione di nuovi sodali); dirigevano e organizzavano il sodalizio, proponendo sanzioni agli altri associati subordinati; impartivano loro ordini e disposizioni, pianificando e coordinando le scelte più rilevanti ai fini del mantenimento e del rafforzamento della locale (compresa – con riguardo a Paolo Franco – la gestione dello stato di latitanza all’estero del padre Giovanni Franco); curavano la “formazione” dei nuovi sodali affiliati (e di quelli prossimi all’affiliazione); decidevano, organizzavano e partecipavano ai riti di affiliazione; curavano i rapporti con le altre articolazioni dell’associazione dirimendo, sulla base delle direttive ricevute ed in occasione di apposite riunioni ristrette, contrasti sorti all’interno o all’esterno del sodalizio”.

Cosmo Montalto, Nicola Domenico Dascola e Alessandro Pavone, ritenuti partecipi attivi del sodalizio, avrebbero avuto poi il compito di assicurare le comunicazioni tra gli associati (anche se latitanti); di aiutare Giovanni Franco a sottrarsi, anche all’estero, all’esecuzione al provvedimento giudiziario di carcerazione; di partecipare alle riunioni ed eseguire le direttive dei sodali aventi un ruolo di direzione ed organizzazione della locale di cui avrebbero fatto parte, riconoscendo e rispettando le gerarchie e le regole interne al sodalizio; di partecipare attivamente ai riti di affiliazione alla ‘ndrangheta, mettendo al contempo a disposizione (Alessandro Pavone) l’immobile dove periodicamente si svolgevano i riti.


LO “SCAPPOTTO”, DALL’AUTO ‘A RISCHIO’ A QUELLA ‘PULITA’

Antonino Ambrogio è accusato del delitto di procurata inosservanza di pena a favore del latitante Franco: avrebbe messo a disposizione dei familiari e dei fiancheggiatori del latitante l’area recintata –lungo la S.S. 106, nel comune di Montebello Ionico, dove insiste un’abitazione civile ed un capannone adibito alla vendita di materiale edile - all’interno della quale avveniva lo “scappotto” (ovvero il passaggio di persone e cose da un’autovettura oggetto di monitoraggio tecnico ad una “pulita”) ol la sosta temporanea delle autovetture successivamente utilizzate di volta in volta per i “viaggi”; nonché accompagnando, almeno in una occasione, Paolo Franco a ritirare presso una concessionaria, un’autovettura “pulita”, utilizzata per la trasferta organizzata dallo stesso Paolo Franco per raggiungere il padre Giovanni in Francia.

Ai risultati delle indagini svolte dagli investigatori della Squadra Mobile, si sono aggiunti quelli ottenuti dalla Sezione di Polizia Giudiziari, aliquota della Polizia di Stato, presso la Procura della Repubblica, su alcuni episodi estorsivi ai danni di un operatore economico del luogo da parte dei fratelli Ambrogio, uno dei quali (Antonino) è stato fermato anche con l’accusa di aver aiutato il latitante a sottrarsi all’esecuzione della pena.


LE ACCUSE DI ESTORSIONE

Antonino Ambrogio e Demetrio Ambrogio, invece, devono rispondere, in concorso tra loro, di estorsione aggravata (dal fatto di aver agevolato la ‘ndrangheta) per avere costretto, “con reiterate minacce, molteplici atti intimidatori e l’avviso che era necessario aiutare le famiglie dei carcerati”, dicono gli investigatori, un ristoratore del luogo (titolare di un bed & breakfast) a consegnargli 3.000 euro, in aggiunta a 2 mila dovuti come corrispettivo di una fornitura di sabbia e calcestruzzo; nonché altri mille euro per l’emissione della fattura, necessaria per scomputare il costo sostenuto per i lavori dal canone mensile di locazione versato al proprietario dell’immobile, fattura, in realtà, che non sarebbe stata mai emessa “nonostante l’indebita percezione dei 1.000 euro”.

Antonino Ambrogio, Domenico Ambrogio e Davide Ambrogio sono anche accusati di tentata estorsione continuata ed aggravata, in concorso tra loro, per aver tentato di costringere “con reiterate gravi minacce di attentati all’incolumità fisica, con diversi gesti intimidatori, con danneggiamenti ed asportazione di beni strumentali all’esercizio commerciale”, il titolare del bed & breakfast a versare periodicamente, a titolo di estorsione, la somma mensile di 500 euro per poter svolgere l’attività di ristorazione senza subire danneggiamenti e senza patire ripercussioni per l’incolumità propria e dei familiari, inducendo così la vittima a chiudere l’attività di ristorazione.

In forza della gravità indiziaria e sul presupposto che gli indagati potessero concretamente darsi alla fuga, la Direzione Distrettuale Antimafia ha disposto d’urgenza i provvedimenti di fermo di indiziato di delitto, eseguiti nella notte dalla Polizia di Stato.

(Aggiornata alle 13:52)