La ‘ndrangheta in Umbria, blitz dei Ros: 61 arresti e sequestri per oltre 30 milioni

Crotone Cronaca

Un blitz dei carabinieri del Ros di Perugia ha portato all’esecuzione di 61 arresti e al sequestro di beni per un valore di oltre 30 milioni. Gli investigatori ritengono di aver così colpito un sodalizio criminale radicato in Umbria e ritenuto diffusamente infiltrato nel tessuto economico locale, con “saldi collegamenti” con le cosche calabresi.

Nel corso dell’operazione denominata “Quarto passo”, sarebbero state documentate le modalità “tipicamente mafiose di acquisizione e condizionamento di attività imprenditoriali”, in particolare nel settore edile, con l’utilizzo di pratiche intimidatorie ai fini estorsivi, quali ad esempio gli incendi.

I REATI CONTESTATI, su richiesta dalla Procura distrettuale antimafia di Perugia, vanno dall’associazione di tipo mafioso, all’estorsione, usura, danneggiamento, bancarotta fraudolenta, truffa, trasferimento fraudolento di valori, traffico di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione. I militari del Ros stanno eseguendo gli arresti sia in provincia di Perugia che in altre città della Penisola. I beni posti sotto sequestro sarebbero riconducibili agli indagati e ritenuti provento dei reati.




11:29 | L'operazione di stamane scaturisce da un'articolata manovra investigativa nei confronti di un'organizzazione di 'ndrangheta che sarebbe collegata alla cosca Farao Marincola di Cirò, nel crotonese, e capeggiata da Natalino Paletta attiva a Perugia dal 2008. Le ordinanze di arresto sono state eseguite in provincia di Perugia, Roma, Crotone, Cosenza, Arezzo, Siena, Ancona, Macerata, Viterbo, Caserta, Bologna e Varese, e in Germania.

IL PROCURATORE: UNA HOLDING CRIMINALE

il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, in conferenza stampa ha parlato di una "autentica holding criminale”. I soggetti provenienti dalla zona di Cirò e Cirò Marina avrebbero avuto, secondo le indagini, collegamenti “dimostrati” con le cosche dei luoghi di origine. Lo stesso procuratore conferma anche il cosiddetto "principio della sostanziale unitarietà della 'ndrangheta". "Mi preme sottolineare - ha detto Roberti - che l'intervento è stato estremamente tempestivo perché questo gruppo era in espansione in termini imprenditoriali. Mi ha colpito l'interesse, ad esempio, nel settore del fotovoltaico. Questo - ha sottolineato - è un aspetto molto delicato e noi come procura antimafia siamo molto impegnati per fermare le infiltrazioni delle organizzazioni della criminalità nei settori più avanzati". "Anche l'indagine di oggi - ha aggiunto il comandante del Ros dei carabinieri Mario Parente – ha conferma la capacità della 'ndrangheta di infiltrarsi in territori diversi dalla Calabria riproponendo quei modelli criminali tipicamente mafiosi legati ai territori di origine".

L'attività del sodalizio criminale avveniva, ha spiegato sempre Parente "mantenendo saldi i legami con le cosche di riferimento, infiltrando il tessuto imprenditoriale, praticando diffuse attività estorsive, usuraie". "Anche in questo caso - ha concluso Parente - possiamo vedere come l'Umbria, una regione nell'immaginario collettivo immune da questi fenomeni sia stata interessata".

Un appello alla popolazione a mantenere "attenzione, massima attenzione" verso fenomeni che richiamano alla criminalità organizzata è stato lanciato dal procuratore di Perugia, Antonella Duchini. "Vivendo in un territorio definito 'isola felice - ha detto Duchini - quando vi accade una cosa del genere l'unica cosa è di andare a denunciare, è inutile subire malversazioni e minacce per 5-6 anni". "Mentre in un primo momento gli imprenditori non hanno avuto la forza di denunciare a fronte di violenze - ha aggiunto il procuratore - quando le indagini sono iniziate e sono stati convocati dai carabinieri tutti hanno parlato. È una cosa che ci rende felici".

ESTORSIONI E USURA, COSÌ “CONTROLLAVANO” LE AZIENDE

Il sodalizio criminale, avvalendosi delle condizioni di intimidazione e assoggettamento tipiche delle associazioni mafiose, si sarebbe dunque radicato nella provincia di Perugia consolidando così, progressivamente, la propria influenza sul territorio, infiltrandosi nel tessuto economico anche con una diffusa attività estorsiva ed usuraria nei confronti degli imprenditori locali. Secondo gli investigatori inquirenti, sarebbe stato accertato come alcuni di essi siano stati costretti addirittura ad emettere false fatture per dissimulare i pagamenti illeciti o a cedere le proprie aziende agli indagati o loro prestanome. In altri casi, pur rimanendo proprietari, le vittime sarebbero state sostituite nella gestione da esponenti del gruppo criminale che, dopo aver privato l'azienda delle sue linee di credito, ne provocavano la bancarotta fraudolenta.

MATERIALI E MACCHINE RUBATI E RIVENDUTI AD IMPRENDITORI CALABRESI

Il gruppo sarebbe poi stato dedito a truffe, furti e traffico di droga. Le truffe accertate erano ai danni di fornitori di materiali edili che venivano poi rivenduti a ricettatori calabresi, titolari di imprese, che li avrebbero reimpiegati nelle costruzioni di edifici e fabbricati in Umbria, Toscana e Calabria. Un'altra parte del gruppo che avrebbe fatto riferimento all'affiliato Francesco Pellegrino sarebbe stata dedita invece alla commissione di numerosi furti di materiale edile e macchine operatrici nelle Marche, che venivano poi rivendute sul mercato legale o cedute a ditte calabresi di ritenute di riferimento. Sarebbe stato accertato anche il coinvolgimento della cosca nei traffici di cocaina reperita in Calabria o mediante un gruppo criminale collegato, composto da soggetti albanesi.

I considerevoli proventi illeciti del sodalizio criminale, secondo quanto accertato dagli inquirenti, sarebbero stati reimpiegati per acquistare beni immobili e attività commerciali nel settore dell'intrattenimento e del fotovoltaico, anche intestati a prestanome, allo scopo di dissimulare la reale riconducibilità dei beni alla cosca. Il patrimonio individuato nel corso delle indagini è stato colpito da sequestri preventivi, finalizzati alla confisca. Disposti dal Tribunale su richiesta della Dda, riguardano beni immobili, mobili, conti correnti e società nelle disponibilità degli indagati, per un valore complessivo di 30 milioni di euro.