Caos e governo del mondo dopo la guerra di Putin. La lezione di Nanni Arrighi

20 aprile 2022, 19:00 100inWeb | di Vito Barresi
Vito Barresi

Qual’è lo schema che governa e sostiene il mondo attuale che la guerra di Putin ha definitivamente distrutto? Tutti ne parlano, nessuno lo dice. Comincio dalla parola schema che trae il suo significato da un etimo sanscrito dalla radice sak che equivale a sostenere, rendere saldo. In greco σχῆμα-ματος (schema, schematos) vuol dire forma, aspetto, configurazione. Dunque, quale sarà la nuova forma che sosterrà e renderà salda la struttura del mondo che verrà dopo la battaglia ucraina, cioè la configurazione di un equilibrio universale tra nazioni diverse, popoli eterogenei, economie simili ma non eguali, globali ma anche continentali, che dovrà sostenere, il modello di una nuova coesistenza pacifica, fondata non più sulla guerra permanente come arma d’offesa per la risoluzione dei conflitti, bensì sulla pace e la giustizia?



di Vito Barresi*

Vediamo con netta evidenza la crisi profonda, orizzontale e verticale, dell’economia-mondo e di mercato. Certi commentatori con la chioma cotonata quando vanno in tv menano il can per l’aia senza confessare a se stessi che non è affatto vero che le guerre non devono e non possono finire, solo perché ci sono e ci saranno sempre 'i cattivi’ (cinesi, vietcong, russi, comunisti, islamisti, indiani pellerossa, ecc. ecc.) a minacciare l’ordine mondiale del libero mercato e della globalizzazione.

Più precisamente si dovrebbe ammettere che l’economia-mondo capitalistica si è da sempre sviluppata sulla base di guerre ricorrenti e di diversa portata distruttiva. Figuriamoci poi l'economia americana che contempla alle sue molto discutibili origini, non tanto la democrazia di Pericle ed Efialte, quanto lo sterminio di Toro Seduto, sei Sioux e degli Apaches, con il corollario forte della guerra razziale tra Nord e Sud.

Ora accade che l’unità organica e funzionale del libero mercato mondiale, cioè l’egemonia anglo-americana, impunemente imposta dopo la fine della Guerra Fredda, appare praticamente spappolata proprio come l’istantanea di un'industria a Mariupol ritratta da Andy Wharol, la ripresa aerea di una centrale nucleare a Chernobyl dipinta William Congdon.

Le immagini della guerra in corso, che si sta dolorosamente svolgendo lungo la linea che separa l’Est dall’Ovest, dunque il tracciato dello scontro bipolare libero mercato - armamenti - democrazia / pianificazione economica di stato - spesa militare - dittattura del proletariato di stampo sovietico, parlano con un’eloquenza enfatica che rispecchia lo stato del fallimento economico e finanziario del modello capitalistico imposto al pianeta, sia prima che dopo le sanzioni economiche contro la Russia.

La prima era della globalizzazione unipolare finisce in macerie a conclusione di un lungo periodo storico in cui le autosufficienze nazionali sono state profondamente ristrutturate in base a una nuova divisione internazionale, piuttosto disegnata e imposta con il monocolo degli anglo-americani e non in base alla visione asiatica di una diversa divisione mondiale del lavoro.

La guerra in Ucraina è la fine di un incantesimo, la denuncia di una colossale bugia dominante, materialmente basata su una bolla finanziaria gigantesca, il vuoto e il nulla di un’economia derivata, non più reale nè produttiva, che ha minato i pilastri di alcune storiche interdipendenze strutturali tra unità produttive e unità di consumo, ha distrutto i reticoli secolari che legano l’Asia con l’Europa, la Cina con il Pacifico, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna con il resto della terra.

Il vecchio schema che reggeva il mondo si è ridotto ad uno scheletro senza anima la cui portata non può più reggere la contraddizione strutturale tra la netta prevalenza delle risorse energetiche (naturali e umane) dislocate in Asia e in Africa e l’eccesso consumistico occidentale, una dissipazione devastante come ammonisce la minaccia ecologica, dispiegato in Europa e negli Stati Uniti, sempre più surrettiziamente sostenuto dalle unità produttive, monetarie e finanziarie asiatiche.

Nel frattempo, in questi ultimi trenta-quaranta anni, più o meno dalla fine dell’Urss, su uno dei due piatti della bilancia mondiale, cioè lo strumento-icona che serve a misurare secondo le curve dell’economia politica le ricchezze delle nazioni, non è per niente vero che ci si sia dati da fare soltanto dalla parte della nostra blasonata geografia, cioè quella capitalistico-occidentale, mentre dall’altra i trogloditi orientali, dagli Urali fino ad Hong Kong, hanno passato il proprio tempo a poltrire o inventarsi qualche stratagemma consultando il libro dei King.

Semmai è avvenuto e sta accadendo esattamente il contrario. Anzi, come insegna la lezione di Giovanni Arrighi (economista, sociologo, Milano, 1937 - Baltimora, 2009) questa guerra in Ucraina non nasce mica per caso.

Dopo la caduta del Muro di Berlino, tra il modello della cooperazione tra Stati, popoli e Nazioni e quello della concorrenza economica per la salvaguardia degli interessi e dei profitti delle grandi multinazionali e degli oligopoli militari anglo-americani ha prevalso, senza alcuna resistenza, soltanto quest’ultimo.

Ecco perchè sull’ipocrisia dei coccodrilli mediatici finirà per prevalere il realismo e la concretezza delle civiltà materiali che ci suggeriscono di prendere atto che il vecchio schema convenzionale tra la cooperazione internazionale, ricattata e dipendente dall’egemonia americana (si faccia più attenzione e trasparenza rispetto alla reale composizione organica di certe grandi Ong del soccorso e della solidarietà, di fatto succedanee alla guerra e alle catastrofi) e la concorrenza economica prevalente del libero mercato occidentale, è finito per sempre, anche per colpa di molti gentleman inglesi che si divertono a indossare parrucche biondo platino.

Tanto che a guardar bene la nostra vera paura non si nasconde dietro la ‘Z' pitturata sui paraccari dei blindati di vecchio conio sovietico, ma sta chiusa dentro noi stessi, intricata nell’angoscia di una sterminata plebe planetaria costretta a subire lo show-down della potenza egemone, non tra le barbarie di una 'guerra sporca' e la speranza di una pace giusta e subito, ma tra la minaccia della miseria occidentale e il crollo di molte posticce nobiltà a marchio euro-americano.


* storico sociale e delle identità culturali