Storie di buona sanità. Oncologia di Crotone: dove si spera nell’insperato e si opera per l’improbabile

5 gennaio 2018, 17:20 Il Fatto
Tullia Prantera

A percorrere a piedi, piano per piano, le scale dell’Ospedale San Giovanni di Dio di Crotone è facile fotografare gente nei corridoi trasformati in sale d’attesa. Pazienti accompagnati dai loro cari, che aspettano il proprio turno per marcare visita, dopo svariati mesi di snervante attesa. Quanta confusione, ma tutti con la speranza di uscirne bene e poter raccontare se in quel reparto i medici siano stati bravi o meno.


di Giuseppe Romano

Le cose buone si dimenticano presto, quelle negative si esasperano al massimo. Il sesto piano si differenzia dagli altri: silenzio assoluto, è come dire: “c’è il reparto di Medicina Oncologica”, dove la fragilità della vita è al massimo, in quel piano si cerca di addomesticare la morte.

Percorso difficile intrapreso da Tullia Prantera, medico oncologico, “per aiutare una mamma disperata, alla ricerca di qualcuno che potesse somministrare i farmaci chemioterapici alla figlia di sette anni”. “Direi che ho iniziato quasi per caso. Facevo medicina interna, quando ho cominciato a ravvisare che a Crotone vi erano diversi pazienti oncologici. Ho avvertito che potevo mettere a frutto la specializzazione in oncologia, conseguita prima ancora di entrare a lavorare qui, se questo era il bisogno della popolazione”.

Succedeva nel 1990. Ora, eccola accanto a gente aggrappata a un filo sottile di speranza, con un sentimento comune: combattere il cancro, un male che si moltiplica senza limiti. Si fa in silenzio, tra emozioni negative e miraggi.

“Occorre sperare nell’insperato e operare per l’improbabile”, una frase di Edgar Morin che la dottoressa Prantera ha fatto sua nella consapevolezza di quanto sia difficile il controllo di una cellula impazzita e di come destabilizza la mente e lo spirito di quanti sono impegnati quotidianamente ad assistere il proprio caro.

Preziosa la presenza di suor Anna: una risorsa come infermiera che collabora a dare sostegno alle famiglie coinvolte, attraverso varie strategie. Il reparto di oncologia è affollato: persone adulte, anziani, giovani e tanti bambini. Suor Anna potrebbe dare risposte utili anche a noi, “ma il direttore di compartimento ha imposto protocolli rigidi”.

Sono molti i malati che sentono la necessità di emigrare in altre regioni, alla ricerca di grandi luminari, si cercano certezze.

La dottoressa Prantera è consapevole di questo peregrinare e delle difficoltà oggettive che s’incontrano sul piano economico e nei lunghi viaggi.

“Il senso di fiducia è andato via via aumentando, anche perché, spesso, vanno fuori per un secondo consenso e ottengono il consiglio di rimanere a Crotone e, spesso, confermano le terapie che abbiamo proposto. Solitamente se si chiede di andare fuori a fare un secondo consenso, sono anche abituata a scrivere una lettera al collega, che riceverà questo ipotetico paziente, in cui propongo cosa farei io. Se tornano con la conferma, per loro è come se avessero verificato che le cose vanno bene”.

“I protocolli e le linee guida sono nazionali. Non vi è fantasia nel fare certe cose e nell’uso dei farmaci, che sono molto ben indicati a secondo il tipo di patologia trattata. Vi sono farmaci che possono essere prescritti su autorizzazione del Ministero della Sanità, solo in una sorta di popolazione di pazienti che hanno un determinato difetto genetico. Noi prescriviamo farmaci con schede AIFA (l’Agenzia italiana del Farmaco, ndr.) questo sistema computerizzato dice se quel paziente è eleggibile o no per quel farmaco, altrimenti la farmacia non lo può neanche acquistare. Questo sistema garantisce che tutte le operazioni sono visionate a livello nazionale”.


“La migrazione sanitaria, qualche volta,

è dettata dalla scarsa conoscenza

di quello che si può e non è possibile fare.

Bisognerebbe fare più informazione”.


Ma la “fuga” continua, soprattutto per gli interventi chirurgici.

“Qui vi è una chirurgia che fa la sua parte: sono stati eseguiti diversi interventi sui tumori della mammella. Certo, la migrazione sanitaria, qualche volta, è dettata dalla scarsa conoscenza di quello che si può e non è possibile fare. Anche da ciò che si dice in giro. Bisognerebbe fare più informazione. Sotto questo punto di vista, forse, ci vorrebbe una conferenza dei servizi per diffondere cosa facciamo”

L’esperienza maggiore, rispetto alle fatiche che normalmente deve sostenere questa gente, qual è, oltre alla malattia in se stessa?

“La sofferenza sta nella malattia in sé per sé, perché, chiaramente, cambia la vita completamente. Sottoporsi a ore di attesa in day hospital o lungaggini di chemio terapia, che durano anche dalle cinque alle sei ore; essere obbligati a venire tutte le settimane a controllo. La sofferenza, in realtà, sta nella malattia stessa, non è determinata da noi e dalle condizioni ambientali che la possono solo un po’ aggravare qualche volta e, forse, alleviare se ci trovano col sorriso anziché nervose”.

È una terapia importante quella del sorriso e della buona accoglienza. Ci vorrebbero ampie sale attrezzate e un’assistenza per i familiari dei malati. La dottoressa Prantera ha la cultura della condivisione e dell’incontro.

“Abbiamo cercato di allestire al meglio la sala d’attesa. Prima era anche più carina, c’era più spazio, speriamo di ingrandirla, arricchirla con quadri alle pareti. Abbiamo già una ricca biblioteca con oltre 1200 libri donati da privati. Si vorrebbe far trovare un ambiente di famiglia, meno stressante. Tutte le oncologie fanno questo: sono quelle cose che fanno la ‘parrucca’. Wanda Ferro sta chiedendo alla Regione di fare in modo che tutte le donne soggette a chemio possano avere la parrucca, in maniera non gratuita, ma con qualche agevolazione, l’ho letto di sfuggita. Sono quei piccoli segni che fanno sentire il paziente meno solo”.


“Geograficamente Crotone e tutto il distretto sono disagiati.

Un paziente che viene dalla provincia

incontra disagi notevoli prima di arrivare al day hospital”.


Quanti “pazienti” provengono dai paesi limitrofi? Le distanze sono enormi e difficili i collegamenti.

“Il disagio è forte, geograficamente Crotone e tutto il distretto sono disagiati. Un paziente che viene da Pallagorio, San Nicola dell’Alto, Savelli, incontra disagi notevoli prima di arrivare al day hospital. Non è facilissimo: una persona anziana deve trovare chi lo accompagna. Una volta che sono andata a Cirò, ho pensato alla fatica che fa il paziente a venire da noi, d’altra parte non si può avere dislocata in tutti i centri un’oncologia. Si richiederebbe un collegamento diverso. Vi sono dei tentativi da parte dell’Azienda, ma i Comuni potrebbero agevolare il progetto, dando possibilità di qualche trasporto.”

“C’è un tentativo con l’ospedale di San Giovanni in Fiore per favorire molti pazienti del Sangiovannese nella propria sede. In realtà per preparare i farmaci, per motivi protezionistici, abbiamo la cappa per la manipolazione dei farmaci e loro no. Perciò, i farmaci vengono preparati da noi e li mandiamo nella stessa mattinata a San Giovanni in Fiore. È un tentativo molto voluto dall’Azienda e decollato da quattro mesi circa, sebbene ancora in embrione funziona già. I medici di famiglia sono motivati e interessati a sapere cosa succede. Anche questo è un sintomo di crescita”.

Appare che nel nostro territorio sia più elevata l’incidenza tumorale rispetto ad altri centro. È una verità o esasperazione dettata da convinzioni errate?

“Penso che sia un fatto generale perché, parlando anche con gli altri colleghi e dai registri tumori, dalle altre casistiche, siamo più o meno nella media nazionale. Non so con certezza, ma potrebbero esserci caste di popolazione più complesse. Per esempio, conosco famiglie in cui c’è stato più di un caso di tumore e magari per un’esposizione ambientale, ma possono verificarsi a Crotone come altrove. I dati più certi possono venire dal registro dei tumori. C’è già qualche indicazione da parte del dottor La Greca, ma da quello che io riscontro, l’utenza aumenta, ma non è sempre un aumento d’incidenza, a volte, può essere anche un aumento di prevalenza, perché, per esempio, un tumore del colon prima aveva una sopravvivenza media di sei-dodici mesi, adesso con i nuovi farmaci ha una sopravvivenza anche di quattro-cinque anni”.

“Quindi, quello stesso paziente viene al day Hospital per cinque anni di seguito. In questo caso, il numero dei pazienti aumenta, ma il paziente è sempre lo stesso. La prevalenza non è l’incidenza, sono due termini che per gli statistici, per gli epidemiologi e anche per noi oncologi, sono diversi, bisognerebbe studiare oltre che l’incidenza anche la prevalenza. L’ospedale è organizzato per il ricovero, di 30-50 malati non soggetti ad assistenza o terapie continue, ma ruotano circa settecentocinquanta pazienti, che vengono al day hospital: duecentocinquanta si sono ammalati l’anno scorso o prima, e ancora continuano a venire perché fanno trattamenti. Non si può, quindi, desumere dal numero 750, che sono settecento casi incidenti. Perciò, si tratta di settecento casi di tumore ma non di nuovi tumori”.

Il centro oncologico di Crotone, voluto dalla dottoressa Tullia Prantera, dà risposte positive nel campo della ricerca e degli interventi. Avrebbe bisogno di un supporto psicologico maggiore, soprattutto per i familiari che si trovano quotidianamente a dover assistere i propri cari, perché il male è parte dell’intera famiglia.

G.R.