Tra gioco del calcio e ‘giochi di potere’: gli arbitri protagonisti in cerca di un’identità

14 marzo 2017, 18:11 Trasferta Libera

Il gioco del calcio è tra gli sport in assoluto più seguito da sportivi e tifosi. La Nazionale, nei campionati europei e mondiali, ha il “potere” di fermare un paese intero e incollarlo davanti a un televisore per seguire l’evento. Cosa dire invece del campionato di calcio italiano?


di Cinzia Romano | Trasferta Libera

Ovviamente, l’attenzione è sempre concentrata su ciò che accade nella massima serie, nonostante, da molti anni, sia la Serie B a rendere spettacolare questo sport, non tanto per schemi e qualità dei giocatori, quanto per l’imprevedibilità della classifica finale.

La serie A, invece, che potrebbe realmente offrire al pubblico divertimento e gioco, rimane il campionato delle delusioni, dei veleni, delle discussioni e dei continui attacchi che società, tifoserie e addetti ai lavori imbandiscono sulle tavolate Tv.

L’argomento da sempre soggetto di polemiche è la moviola! Cosa avranno combinato oggi gli arbitri? Sono stati all’altezza del loro compito o hanno favorito-danneggiato l’una o l’altra squadra?

Puntiamo la lente di ingrandimento sulla figura dei direttori di gara.

Se si apre il sito della Figc (Federazione italiana gioco calcio), si descrive così l’arbitro: “un educatore funzionale, ossia colui che controlla il corretto svolgimento di una partita di calcio nel rispetto delle regole. Quindi, nell’ambito dell’evento sportivo, l’arbitro ha una funzione educativa”.

In uno sport come il calcio, dove si muovono milioni di euro, definire l’arbitro come educatore, è alquanto bizzarro. Soprattutto quando si permette ai calciatori di protestare per ogni singola decisione presa. A volte a giusta ragione, tante volte no. Ma a protestare sono sempre gli stessi, quelli che possono permettersi il lusso di alzare la voce, perché, nonostante la veemenza della protesta, nessun cartellino verrà mostrato loro.

La domanda che sorge spontanea è: quanto può essere determinante la direzione arbitrale all’interno di una partita di calcio?”

La risposta la si trova in maniera immediata se si vede la classifica che ogni anno il sito superscommesse.it, dedica agli errori arbitrali commessi in campionato, partita dopo partita.

Se si confronta la classifica dei punti reali con quelli virtuali che avrebbero le 20 squadre di serie A, alla 28a giornata, senza le “sviste” arbitrali, vedrebbe invariata la posizione dei primi dieci club, mentre nella zona calda della retrocessione il Crotone sarebbe quartultimo con 19 punti sopra Palermo a 15, Pescara a 14 e Empoli a 13 punti, quindi ipoteticamente salvo.

Secondo questa stessa classifica, nel campionato 2015/16 lo scudetto sarebbe andato al Napoli e il Carpi si sarebbe salvato. E invece, ha vinto la Juventus e il Carpi è retrocesso.

Dunque, riepilogando: 2 assistenti, 2 arbitri di area e un quarto uomo, messi in campo per coadiuvare il direttore di gara, invece di aggiungere visuali e angolazioni differenti per prendere la giusta decisione, incorrono in errori ancora più grossolani, come fuori gioco, rigori e “discrezionalità”.

Errare è sicuramente umano, ma perseverare nella volontà di non mettere nelle condizioni 6 uomini di operare nel rispetto delle regole, senza la possibilità di interpretazione, è diabolico. O forse è voluto?

Fino a due anni fa si stava ancora a recriminare sul gol fantasma, cioè il dover stabilire ad occhio nudo se il pallone avesse o meno varcato completamente la linea di porta innescando discussioni e contestazioni nei dopo partita. Nel 2008, dalla Francia, Michelle Platinì propone l’idea di introdurre un’altra figura che potesse aiutare arbitro e guardalinee nel loro compito. Così dopo due anni di sperimentazione, dal 2010 al 2012, si aggiungono i due arbitri addizionali d’area. Ma, nonostante ciò, non si era risolto il problema del gol-non gol finché finalmente, non si è introdotta la tecnologia in aiuto all’occhio umano: la Goal Line Technology nel campionato 2015/16.

Gli introiti che ruotano attorno al mondo del calcio sono oramai sotto gli occhi di tutti, si parla di milioni di euro, divisi tra sponsor, diritti televisivi, stipendi ecc… E gli arbitri? Chi sono? Chi li paga?

Arbitri si diventa già maggiorenni e, se tutto va bene, dai campetti polverosi si arriva nella massima serie in media intorno ai 34-35 anni, età in cui, solitamente, un calciatore si ritira. Questo perché c’è un preciso percorso di “maturazione” imposto dall’AIA, fino ad arrivare, attraverso i voti di valutazioni degli osservatori, a fare il salto di categoria. Fare l’arbitro non è un mestiere, anche se profumatamente retribuito nel campionato della massima serie.

Ogni arbitro guadagna 3800 euro lordi a partita più i rimborsi (spese di viaggio, vitto e alloggio), gli addizionali e gli assistenti mille euro e il quarto uomo 500. Nonostante questi compensi, quella di arbitro resta considerata una passione e i mestieri di questi signori si diversificano tra avvocato, ingegnere, impiegato, architetto.

Le “giacchette nere” pesano sulle casse della FIGC circa 3,8 milioni per le 38 gare di Serie A. E a contribuire nella copertura delle spese ci sono gli sponsor. Attualmente lo sponsor tecnico è Pum, mentre i top sponsor sono Tim, Fiat, Eni a cui si aggiungono i premium sponsor, i luxury e gli official partner. Inutile mettere in evidenza come ci possano essere conflitti di interesse.

Valutato che anche una sola posizione in classifica, oggi, determina un introito differente dei diritti Tv diviso tra le società, si capisce bene come un fuorigioco non chiamato, un gol regolare annullato, un fallo da espulsione non sanzionato, moltiplicati per un intero campionato, possono fare la differenza sia in termini di classifica finale che economici per ogni società.

Gli arbitri sono considerati tesserati e professionisti, possono partecipare alle votazioni per le elezioni del presidente della Figc, ma non possono rilasciare interviste sul loro operato come fanno allenatori e calciatori. In particolare, la carriera dei fischietti è determinata anche dagli errori commessi in una gara.

Come dimenticare la sospensione dell’ex arbitro Mauro Bergonzi, reo di aver assegnato in un Napoli-Juve, un rigore inesistente ai partenopei? Fermato per oltre 2 mesi e mezzo dalla serie A e per 2 anni non ha più diretto la Juventus. È evidente come un errore commesso a discapito di una grande squadra, venga vivisezionato nelle trasmissioni e rimarcato dagli addetti ai lavori, influenzando designatori e osservatori. Altrettanto non succede quando ad essere danneggiata è una piccola società, perché come si sente troppo spesso dire “tanto anche senza torti perderebbe comunque contro le big”.

Sicuramente un arbitro vuol far carriera e, dal momento che gli anni a disposizione non sono tantissimi, quando si troverà nel dubbio di dover scegliere cosa e per chi fischiare, continuerà ad optare per il male minore

Dunque, se si vuole veramente rendere competitivo, avvincente e incerto fino all’ultima giornata, il campionato di serie A, dove i valori in campo devono assolutamente essere solo i calciatori, si deve introdurre a supporto delle direzioni di gara la tecnologia, la tanto attesa VAR, eliminando il più possibile la discrezionalità di un arbitro, che in quanto uomo, non avrà certo lo stesso spirito nello scendere in campo al San Siro, allo Juventus Stadium, all’Olimpico, al San Paolo piuttosto che all’Ezio Scida, all’Adriatico, al Castellani o al Mapei Stadium.