Massimo Ranieri fa il pieno al festival Euromediterraneo di Altomonte

Cosenza Tempo Libero

Dieci anni dopo (allora era il 19 agosto 2005), Massimo Ranieri torna ad “incantare” Altomonte calcando il palcoscenico del suo Teatro. Lo fa nel modo a lui più congeniale ottenendo un nuovo “sold out”. Lui, ovviamente, se ne compiace e ringrazia fin da subito: “Siete meravigliosi” dice al pubblico che lo acclama, lo osanna, gli grida a più riprese: “Sei unico!”.

Sì, quell’unicità che fa di Massimo Ranieri un artista “poliedrico” ed affascinante e che riesce a far emozionare in ogni frangente. Che sia la melodia o il ritmo, che sia la poesia o la macchietta napoletana, Massimo Ranieri incarna il suo essere “artista” nel vero senso della parola. E lo dimostra con un “fil-rouge” che tiene collegati tutti gli argomenti di cui parla, le canzoni che interpreta, le poesie che recita, i momenti di comicità degni del miglior “scugnizzo” partenopeo che rievocano Totò, Nino Taranto e Roberto Murolo. Il filo conduttore del suo “Sogno o son desto” è la parola “coraggio”. Coraggio che ci vuole nel fare la prima dichiarazione d’amore della propria vita; che ci vuole nell’ammettere il tradimento della propria amata; nel declamare un sonetto di Shakespeare, nel ricordare Giorgio Strehler, Oriana Fallaci e Alda Merini; nell’interpretare anche brani non suoi come quelli di Francesco De Gregori, Pino Donaggio, Teresa De Sio, Lucio Battisti, Pino Daniele e Domenico Modugno.

Non dimenticando di “dimostrare” a suo modo su come è sempre andata l’economia in generale; di citare il giornalista Giuseppe Prezzolini, che già nel 1921 divise gli italiani in “fessi e furbi”, ammiccando al fatto che la cosa è molto corrente; e ricordando l’attualissima frase di don Lorenzo Milani: “Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri miei stranieri”.

Un “istrione”, in altri termini, come in un certo senso si autodefinisce, quando propone la celeberrima canzone di Aznavour. La sua serata al Teatro “C. Belluscio”, parte e finisce, però, con aneddoti legati alla sua famiglia, dal padre al nonno, e quindi al “coraggio” di chiedere “un po’ di pasta” del papà nel momento in cui ottiene un contratto pubblicitario milionario con un noto pastificio italiano; oppure con il mare descritto dal suo progenitore come una cosa che “prima incanta e poi tradisce” e che fa capire come in alcuni momenti della vita bisogna sognare ma anche essere svegli.

Da qui “Sogno o son desto!”. Lo show - perché di questo si tratta - parte con una canzone del suo immenso repertorio ovvero “Vent’anni” e prosegue con il detto “Chi nun tene curaggio nun se cocca ch’e femmene belle” che poi è anche il titolo di uno spettacolo di Ranieri che fa da preludio al “coraggio” di cui si parla nella “Leva calcistica del ‘68”. Quindi, il pubblico si scalda e canta con lui il refrain di “Io che non vivo senza te” e s’appassiona letteralmente nella sua canzone-gag “Pamela”. Massimo Ranieri è come le stagioni, cambia quattro giacche nel corso della serata e soprattutto passa dal riso al pianto, dalla battuta alla riflessione con una semplicità che solo lui riesce ad esprimere.

Trascina il suo pubblico e lo trasporta dove vuole quando interpreta il famoso “Nicola Quagliarulo” ricordando, specie nelle movenze, il principe della risata Antonio De Curtis. Ma poi, di colpo, diventa riflessivo nel recitare il sonetto n. 75 di Shakespeare e riparte a tutto spiano con “Se bruciasse la città” che coinvolge ancora il numeroso pubblico. Il “refrain” della macchietta della “Signora” sul tram in giro per la città di Napoli, ricordando il “divino” Murolo, fa letteralmente ammattire dalle risate specie con la domanda “E allora?” che il pubblico reclama a gran voce. E le reminiscenze partenopee si mescolano allora con “Aumma, Aumma”, prima di un’altra chicca della musica italiana come “Io vivrò senza te”.

Dopo la pausa, necessaria visto il grande dispendio di energie sebbene Ranieri si dimostri ancora un giovanotto in tutto quello che fa, Massimo riparte alla grande con “La voce del silenzio”, celeberrima canzone che inebria gli spettatori. E fra un'allusione ed una metafora riprende a cantare con “Io te vurria vasà”. Il pezzo forte, comunque, arriva quando si sdraia letteralmente sul pianoforte e sulle note di “Je’ so pazzo” ricorda il grande Pino Daniele con una perfomance che parte dalle note del blues per cogliere – grazie ai suoi bravi musicisti che l’accompagnano – sfumature di jazz, funky e swing ed ottenendo davvero un’ovazione.

Dopo la frase di don Milani, Massimo Ranieri interpreta alla sua maniera “Amara terra mia”, quindi “L’istrione” e l’attesissima “Erba di casa mia”. Quindi, verso la fine, torna alle sue origini, mimando le movenze dei “pescatori” come faceva il proprio nonno che tirano “A’ rezza” ed accostando – sotto forma di precauzione – “Sogno o son desto” dalla quale prende spunto lo show. Il gran finale è tutto uno scrosciare di mani quando arriva l’immancabile “Perdere l’amore”. Poi, nel presentare la sua orchestra, Massimo Ranieri dà la sensazione di aver concluso la sua eccezionale serata, ma torna sulla scena, raccoglie un mazzo di rose da una signora in prima fila e di rimando dedica a tutti proprio: “Rose rosse”.