La sfida delle ‘donne contadine’ strategia vincente per la nuova agricoltura calabrese

16 ottobre 2021, 14:30 100inWeb | di Vito Barresi

Demetra è donna come da millenni è stata l’agricoltura nel bacino del Mediterraneo. Ora non più. Perché, diversamente dal passato, uno degli effetti del progresso economico e civile, l’impatto della meccanizzazione delle colture spesso devastante per il paesaggio agrario, l’esito della scolarizzazione di massa con la conseguente contrapposizione tra manualità e intellettualità che ha incoraggiato la fuga delle ragazze dalle famiglie di campagna, è stata anche quella di ridimensionare il ruolo femminile nell’assetto tradizionale dell’economia agricola.


di Vito Barresi

L’espulsione delle donne dal mondo agricolo è, purtroppo, una realtà socio esistenziale che da decenni è rimasta del tutto inosservata, anche se rappresenta un aspetto non irrilevante nella desertificazione delle contrade e nell’abbandono della montagna e della collina.

Era qui, nello scenario di questo meraviglioso, ma anche difficile e complesso ecosistema geografico, antropologico, sociale, economico e storico che le donne contadine, da millenni, sono state un “pilastro” fondamentale della vita rurale.

In Calabria e nel Mezzogiorno, specialmente nel secolo scorso, molte donne semplici, umili, povere e sfruttate hanno scritto pagine di martirio e di eroismo di inestimabile valore umano, spirituale e politico.

Basta ricordare il sacrificio di Giuditta Levato, l’indifesa ma indomita bracciante agricola, prima vittima della lotta al latifondo baronale in Calabria, uccisa il 27 novembre 1946 a Calabricata di Albi; e di Angelina Mauro colpita a morte durante i fatti di Melissa il 29 ottobre del 1949.

A loro si deve ancora oggi l’attenzione, per il vero non del tutto adeguata alla rilevanze delle positive opportunità, verso la questione dei diritti delle donne in agricoltura, in quanto presenza essenziale per le strategie e i progetti di sviluppo sostenibile nel settore primario regionale.

Nonostante tutte le trasformazioni avvenute nel quadro agricolo tradizionale, secondo i dati della Commissione Europea, le donne “contadinesvolgono circa il 35% del tempo lavorativo complessivo, il 53,8% del lavoro a tempo parziale e il 30,8% del lavoro a tempo pieno, tale che il loro contributo alla produzione della terra resta molto importante.

Tanto che la presenza nelle aziende verdi della quota femminile, parte del nucleo familiare, si staglia in forma di un vero e proprio “lavoro invisibile”, carente di un adeguato riconoscimento professionale, condizione che impedisce alle lavoratrici l'iscrizione alla previdenza sociale, la perdita di diritti come il congedo di malattia e di maternità, essenziali per garantire una concreta indipendenza economica.

Per la Calabria, sarebbe utile e intelligente puntare sulla sfida delle donne in agricoltura, con adeguati provvedimenti strategici basati sull’inclusione femminile e delle ragazze nell’istruzione e nell’apprendimento permanente, incoraggiando in particolare la correlazione proficua tra terra e scienza, agricoltura ed ecologia, campi e tecnologia, attività aziendale e ingegneria, collegando le università e i centri di ricerca e sperimentazione con l’imprenditoria rurale e agroalimentare.

Conoscere adeguatamente la storia delle donne nell’agricoltura calabrese, far sì che si scopra e si ponga in risalto il loro contributo al radicamento e allo sviluppo delle aziende agricole, attraverso quei contributi diversificati e geniali che sono frutto dell’opera femminile, significa attuare adeguate politiche ecologiche, sostenibili e paritarie che consentirebbero di valorizzare il fattore di coesione sociale intrinseco al genere femminile.

D’altronde, si tratterebbe di dare il giusto posto al loro contributo di base che va oltre la mera quantificazione della produzione agricola, poiché permetterebbe di apprezzare non solo il valore marginale del lavoro femminile quanto il valore aggiunto di qualità e originalità, specie nell’ambito delle tipicità locali e territoriali calabresi.