CO2 sotto i fondali della Riserva Marina? A Crotone Eni vorrebbe “riciclare” i giacimenti vuoti in bomboloni di greenwashing

26 luglio 2021, 18:40 100inWeb | di Vito Barresi

L’ipotesi è suggestiva ma anche urgente cantava a squarciagola Lucio Dalla che di Emilia e di Romagna ce ne capiva abbastanza. Da Ravenna a Crotone il passo è breve sulla rotta marittima che dall’Adriatico porta a Crotone. Come in Romagna giacimenti metaniferi crotonesi a corto di gas? Per Eni potrebbero, a breve, rimodulati per diventare grandi bomboloni da utilizzare come immensi contenitori dove stoccare la CO2 scaricata dalle fabbriche del Nord. Ma secondo il leader di Verdi Europa, Angelo Bonelli, si tratterebbe di una vera e propria minaccia ecologica per territori fragili e turismo, avvertendo il Ministro della Transizione Ecologica di non finanziare il progetto Eni, costo previsto 1,35 miliardi con fondi del PNRR.


di Vito Barresi

Metano esaurito nei pozzi di Crotone? Quando sarà, e a breve secondo alcune indiscrezioni, nessun problema. Insomma stiamo scialli Carmensita, chiudi il gas e vieni via. Così è se vi pare, dopo oltre mezzo secolo di sfruttamento del sottosuolo, l’Eni pensiero.

Di fronte ai giacimenti esauriti di gas metano, il colosso petrometanifero, che vorrebbe guidare a suo modo la transizione ecologica del governo Draghi, è pronto a “riciclare” le enormi cavità esaurite, utilizzandole per stoccare ben 500 milioni di tonnellate di anidride carbonica.

Si comincia da Ravenna dove la CO2 verrebbe portata con condotte a 2 o 3 piattaforme su giacimenti esauriti, e poi compressa fino a renderla liquida e iniettata a 3-4.000 metri di profondità.

Per Eni non dovrebbero esserci rischi di pericolose fughe di gas poiché si tratterebbe di sostanza “inerte”, eufemisticamente non pericolosa poiché a dire dello staff tecnico scientifico della multinazionale provocherebbe soltanto effetto serra.

Ciò a ragione del fatto che i giacimenti hanno immagazzinato metano per milioni di anni, con la protezione di strati di materiali impermeabili e in 60 anni di sfruttamento, sempre a loro dire, non ci sarebbero mai stati problemi sismici.

Dunque, lo scenario è allestito in barba a ogni altra opzione di sviluppo territoriale. Nonostante si tratterebbe di intervenire in aree a forte vocazione turistica e paesaggistica, la diversa destinazione d’uso del bene minerario dello Stato dovrebbe essere quella di contenere la CO2 prodotta dalle industrie italiane, che altrimenti continuerebbero a inquinare l’aria e a far salire il riscaldamento globale.

Un progetto apparentemente “geniale” nella sua semplicità tutto di marca Eni che sta già realizzando un impianto di CCS (Carbon Capture and Storage) in giacimenti esauriti al largo di Liverpool, dove la CO2 generata dalle industrie locali (acciaierie, cementifici, raffinerie, fertilizzanti, cartiere), verrà imprigionata e veicolata con condotte alle piattaforme offshore per essere iniettata nel sottosuolo.

L'investimento previsto per l’impianto di CCS a Ravenna sarebbe di oltre 1 miliardo di euro, a valere sul PNRR, con grosse ricadute occupazionali, mettendosi al servizio delle industrie della Pianura Padana, che emettono 40 milioni di tonnellate di anidride carbonica all'anno (su 70-80 complessive in Italia).

Ma i propositi dell’Eni a Ravenna (e in Calabria?) hanno fatto tuonare il leader e attuale co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli che annuncia burrasca contro tale iniziativa affermando che

“il deposito di CO2, servirà a Eni per continuare a estrarre idrocarburi e poter certificare il taglio di emissioni, un’operazione di greenwashing inaccettabile. L’immagazzinamento della CO2 nel fondali marini al largo di Ravenna è un enorme rischio perché non sono noti gli effetti sismici, considerato che la costa di Ravenna è un’area fragile, dove sono in corso significativi fenomeni di subsidenza.”

Se ne parlerà presto, prossimamente sui nostri schermi.