Gente d’Aspromonte. Ricerca UniBo svela i segreti del patrimonio genetico unico degli antichi Greci di Calabria

Una vista di Bova, al centro dell'area grecofona della Bovesia (Foto: Donata Luiselli)

Un’analisi genetica delle popolazioni dell’Aspromonte che ancora oggi parlano il greco calabro ha permesso di ricostruirne la ricca storia di migrazioni e scambi culturali: sono gli ultimi rappresentanti di un’area di influenza greca anticamente molto più ampia.


Secoli di isolamento geografico e culturale hanno portato le popolazioni che abitano le aree montuose dell’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, e che ancora oggi parlano il greco calabro, ad evolvere un patrimonio genetico unico, che si differenzia da quello delle altre popolazioni del sud Italia. Lo riporta, in un articolo pubblicato su Scientific Reports, un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna, che ha analizzato il DNA degli abitanti di queste comunità, ricostruendo così i processi migratori e demografici che si sono stratificati nella regione nel corso dei millenni.

"Con questa ricerca interdisciplinare, nata come prosecuzione del progetto ERC AdG LanGeLin (Language and Gene Lineages), abbiamo ricostruito l’eredità genetica delle ultime comunità ellenofone esistenti ancora oggi nella regione", spiega la professoressa Donata Luiselli, che ha coordinato lo studio. "Il territorio corrispondente all’attuale Calabria è sempre stato un importante crocevia di popoli e di culture, e la ricchezza del patrimonio genetico e culturale delle comunità che abitano sulle montagne dell'Aspromonte ne è una perfetta testimonianza".


L’origine del Greco Calabro


Il greco calabro (o grecanico) è una varietà unica di greco che viene ancora oggi parlata in una piccola regione della provincia di Reggio Calabria nota come Bovesia, sul versante ionico dell’Aspromonte. Ma da dove arrivi e quando sia nata questa tradizione linguistica è un tema su cui restano molti interrogativi. Un’ipotesi la fa risalire all’Alto Medioevo, portata dai discendenti dell’espansione bizantina. Un’altra ipotesi si spinge invece molto più indietro nel tempo, fino all’epoca della Magna Grecia. Più di recente è però emersa la possibilità che entrambi questi scenari siano corretti e che questa tradizione proseguita nel corso dei secoli possa aver ricevuto contributi dal greco di diversi periodi, rafforzata via via da diverse ondate migratorie. Possibilità che ora possono essere interpretate anche alla luce dell’analisi del patrimonio genetico degli abitanti della Bovesia.

"Dalla nostra analisi sono emersi strati genetici molto più antichi di quanto si potesse immaginare, e legami di lunga durata con il Mediterraneo orientale, risalenti fino al Neolitico e all’Età del Bronzo, che hanno caratterizzato la storia genetica di tutta l’Italia meridionale”, spiega la ricercatrice Stefania Sarno, prima autrice dello studio. "In seguito, poi, si sono susseguite molteplici migrazioni, tra cui quelle di persone di lingua greca durante l'era classica, in Magna Grecia, e quelle in epoca bizantina, che hanno verosimilmente mantenuto e in alcuni casi rinforzato scambi genetici e culturali".


Un patrimonio genetico unico


Per arrivare a ricostruire questa complessa storia di migrazioni e intrecci culturali, gli studiosi hanno analizzato il genoma di un campione di individui provenienti dalle aree dell’Aspromonte che conservano e parlano il greco calabro, mettendolo a confronto con quello di altre popolazioni provenienti dalla stessa area geografica ma che hanno da tempo abbandonato questa tradizione linguistica. Gli stessi dati genetici sono stati poi confrontati anche con altre popolazioni dell’Italia meridionale e con genomi antichi e moderni di popolazioni europee e del bacino del Mediterraneo.

"Nelle popolazioni dell’Aspromonte l’isolamento geografico, amplificato dalle differenze culturali nei gruppi che ancora oggi parlano il greco calabro, ha permesso non solo di conservare un’unica varietà linguistica, ma anche di evolvere un peculiare patrimonio genetico", spiega la ricercatrice Cristina Giuliani, che ha co-coordinato il lavoro. "Segnali di isolamento e deriva genetica rispetto alle altre popolazioni del sud Italia risultano infatti più elevati nelle comunità dell’Aspromonte che sorgono nei luoghi geograficamente più isolati e che conservano ancora oggi un certo numero di abitanti che parlano il greco calabro".


Testimoni dell’influenza greca


Nel complesso queste comunità dell’Aspromonte condividono legami genetici antichi con popoli dell’area dell'Egeo e dell'Anatolia, del Vicino Oriente e del Caucaso che si ritrovano anche in altre comunità del sud Italia. Ma l’isolamento geografico e culturale le ha portate nel corso dei secoli a differenziarsi in modo unico, emergendo oggi come le ultime rappresentanti di un’area di influenza greca che anticamente era molto più ampia. Il susseguirsi dei fenomeni migratori e i processi di isolamento che hanno interessato queste popolazioni hanno quindi lasciato un’impronta importante non solo da un punto di vista culturale - sono gli ultimi custodi di un'eredità linguistica del passato - ma anche nella loro struttura genetica.

"Il peculiare patrimonio genetico di queste popolazioni ha un immenso valore",conferma il professor Giovanni Romeo, tra gli autori dello studio. "Queste caratteristiche uniche possono infatti essere utili per ricerche di carattere biomedico, consentendo lo studio del ruolo di varianti genetiche rare, che possono trovarsi con alta frequenza in queste popolazioni per effetto dell’isolamento geografico".


I protagonisti dello studio


Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports con il titolo “Genetic history of Calabrian Greeks reveals ancient events and long term isolation in the Aspromonte area of Southern Italy”. La ricerca è stata condotta da Stefania Sarno, Paolo Abondio e Cristina Giuliani del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, e Donata Luiselli del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, con il fondamentale contributo di Rosalba Petrilli e delle comunità locali.

Per l’Università di Bologna hanno inoltre contribuito alla ricerca Elisabetta Cilli ed Andrea De Giovanni del Dipartimento di Beni Culturali, Davide Pettener, Giovanni Romeo, Alessio Boattini, Marco Sazzini, Sara De Fanti e Graziella Ciani del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, e Davide Gentilini dell’Università di Pavia.