La sensibilità ‘archeo-abortista’ del sindaco Falcomatà tra libere vele per la vita e inquietante caso Castorina

15 febbraio 2021, 15:50 Il Mastino dei Baskerville

S’alza il vento dello Stretto, una vera bufera che si scaglia sulle vele, anche abbastanza sproporzionata visti i recenti accadimenti giudiziari che hanno scosso la vita del Consiglio comunale di Reggio Calabria. Quasi un diktat che si spera non sarà pogrom contro i sostenitori di una legittima campagna di propaganda in difesa dei diritti della vita, per cambiare la legge 194, la stessa che ora permette financo la pillola del giorno dopo. E ci si chiede, ovunque in Calabria, perché così tanta paura, quasi un rigurgito di furore repressivo, per non scrivere proibizionista, verso le idee e le opinioni contro l’aborto, promosse dall'associazione Pro Vita & Famiglia, all’insegna dello slogan "#stopaborto per la difesa del bambino nel grembo"?


Sono tante le donne, i giovani, le ragazze, i cittadini in Italia che professano, e vorrebbero farlo senza timore di essere aggrediti talvolta non solo verbalmente, la propria convinzione antiabortista, cosa che di per sé non è reato, approvando la comunicazione promozionale, da più settimane in vista su decine e decine di camion vela e centinaia di manifesti affissi sui muri da Milano a Bologna, da Firenze a Napoli, da Bari a Reggio Calabria, superando ormai ben 100 Comuni italiani.

Particolarmente degne di attenzione sono poi le vele che stazionano su alcune delle principali piazze della città di Reggio Calabria, collocate sullo sfondo di beni architettonici, patrimonio comune e bene di tutti di prima rilevanza europea e mondiale, come il Castello Aragonese e la splendida Cattedrale di S. Giorgio.

Su queste si sono abbattuti gli strali di Giuseppe Falcomatà, persona stimabilissima e rispettabilissima, politico in grande spolvero di carriera, anche in quanto vincitore di concorso al Comune di Milano, che forte dei sacri principi forgiati nella giovanile militanza Gd, in seno alla formazione del Partito Democratico che fu anche di Antonino Castorina, prima delle più note vicissitudini giudiziarie che hanno portato all'arresto di quest’ultimo, ha inteso comunicare, tramite social noblesse oblige, di aver ordinato l’immediata rimozione dei manifesti Pro Vita e Famiglia, affissi negli spazi consentiti dal Comune, in cui si vede una giovane donna con un cartello con su scritto a pennarello: “Il corpo di mio figlio non è il mio corpo, sopprimerlo non è la mia scelta #stopaborto”.

Come è nostra abitudine, in quanto segugi fedeli alle tecniche in uso nell’ufficio del famoso investigatore Sherlock Holmes abbiamo affidato a un anonimo Dottor Watson dello Stretto l’analisi logica e quella grammaticale delle più recenti dichiarazioni in merito, esternate dal sempre fashion sindaco del ben noto, quasi quasi mi faccio uno shampoo..., per fare poi nostre le sue conclusive deduzioni possibili, quando afferma quanto segue:

“Ho chiesto di far rimuovere questi manifesti perché lì reputo lesivi della libertà personale di un individuo. Mi avevano risposto che non si può fare perché non ci sarebbe nessun messaggio violento scritto. E invece sì.

È una violenza impedire a una persona di scegliere, in modo consapevole e responsabile, nel rispetto della legge. È una violenza non consentire a una persona di avere un’altra idea, un’altra opinione, un altro punto di vista.

È una violenza ancora maggiore esporre questi manifesti vicino le scuole, luoghi di educazione, di istruzione, di cultura, luoghi in cui si forma la coscienza di ogni individuo e si impara il rispetto per la dignità di ogni individuo.

È violenta una pubblicità il cui messaggio è che non sei padrona di te stessa. Non si può fare - mi è stato detto - ci esponiamo al rischio di finire in tribunale. Ho risposto - conclude - che sarò contento di spiegare a un giudice perché quel messaggio è violento. I manifesti saranno rimossi, già dalle prossime ore”.

Elementare Watson, semplice vaniloquio o vaneggiamento di obsoleto archeo “abortista” di ultima marca gender, in cui non compare, neanche per scambio, dicasi almeno una, la parola “donna” che dir si voglia libertà della donna insieme alla sua dignità?

Non avendo ancora concluso la nostra indagine, davanti a tale prosa stagnante, non possiamo che attenerci al minimo sindacale dello stupore, a cui - se vi va - aggiungerete voi lettori un pizzico di contenuto sconcerto, misto a quanto basta di democratica e civile indignazione, atteso che il Sindaco della città più importante della Calabria, una tra le più moralmente e politicamente sconquassate d’Italia, ricolma come un cannolo siciliano di immondizia e rifiuti solidi urbani, glassata come una pignolata messinese di corruzione e infedele politica, abbia “motu proprio” deciso di esternare una dichiarazione quanto meno discutibile.

Con grandissimo rispetto per l’avvocato Falcomatà, vincitore di concorso al Municipio del capoluogo lombardo e compagno di partito del consigliere Castorina, reputare la libera manifestazione del pensiero altrui in formato 70/100 lesiva della libertà sua e della Cirinnà, sembrerebbe a dir poco esuberante.

Consapevoli dell’artificio polemico, la legittima domanda che sorge spontanea, persino nella vicina piazza Ciccio Franco, è sapere quale corso Falcomatà imboccherebbe se qualcuno, poniamo un oppositore appartenente ad altra partitica, lui che s’indigna e si ripicca di fronte a un simile manifesto tanto inoffensivo e persino candido, cosa farebbe al sodo dinnanzi a una vela ideata e messa in giro per le città dai creativi GD, giovani del Partito Democratico, che perorasse la non discutibile innocenza, fino a sentenza definitiva, di un noto Consigliere comunale che con i suoi voti lo ha fatto eleggere, prima arrestato e ora sotto accusa di voto di scambio.

Ovvero, con espressione che piace ai democrat, “come dire”, ne disporrebbe, forse, l’ingiusta e immediata rimozione?