Unico Parco per i Boschi in Calabria. Stop a ladri di foreste ed “ecologisti” dell’assistenzialismo

17 gennaio 2021, 15:30 Il Fatto

L'inaudito si fa piccola cosa sempre in Calabria. Invece di unificare, concentrare, integrare per migliorare il patrimonio e le eredità biostoriche, questa è una regione in cui i Parchi Forestali si moltiplicano come i funghi porcini nella splendida enclave di Lorica sul lago Cecita quando si fa primo autunno. Si sciolgano subito gli enti di beneficenza ambientalista e si istituisca una sola Fondazione di scopo, aperta ai contributi europei e internazionali, mediterranei.


di Vito Barresi

Next Generation Ue è prima di tutto una grande sfida ecologica. Che non vuol dire che sarà un'opzione anti-produttiva, anzi dovrebbe essere l'expo delle nuove idee industriose, il fulcro attorno al quale, una volta si diceva il volano per trasformare qualitativamente il paradigma manifatturiero regionalista. Particolarmente al Sud, nel Mezzogiorno continentale e isolano, dove dovrebbe essere una nuova frontiera per non sprecare le nostre migliori risorse nella risacca del turismo croceristico.

Per coltivare un bel giardino di rose c’è sempre bisogno che i giardinieri abbiano assicurato il pane quotidiano.

Tuttavia, le cose non sono più quelle del passato. Quando in Calabria si decise di combattere la disoccupazione agricola aumentando il numero di operai forestali con un affollamento di forza lavoro da record per centimetro quadrato. Bisognerebbe prima di tutto capire se quello della 'piena occupazione' del bosco sia stato l’unico effetto 'keynesiano' della regionalizzazione delle risorse naturali in Calabria.

O se ve ne siano stati altri... tipo 'accumulazione originaria' di ricchezze illecite, spalmate su tutta la scala socio economica locale, a partire dal controllo palmo a palmo del territorio impenetrabile e irraggiungibile, trasformato in retroterra del tutto di più...

Evidentemente no, se oltre a queste possibili ipotesi, anche lo 'Stato è stato' presente.

Pensiamo all’istituzione di ben tre parchi nazionali, Sila-Aspromonte-Pollino, alla separazione di una legame millenario bosco-agricoltura sotto il segno degli enti di beneficenza clientelare, persino all’inglobamento della Guardia Forestale nel corpo dei Carabinieri, alla scomparsa delle Comunità Montane, ecc. ecc.

Tanti eventi, nuove presenze e soggettività transuenti, che dovrebbe indurre e domandare se tutti i calabresi conoscano precisamente quanto è accaduto tra Sila, Aspromonte, Pollino, Serre, ecc. tra forestazione, grandi incendi, riforestazione, nei decenni che vanno dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi.

E, dunque, se il bosco in questa Regione è diminuito o aumentato, dopo la devastazione inglese che volle riscattare i danni e debiti di guerra, tagliando tra il 1950 e il 1960 quasi per intero il patrimonio forestale della Calabria, e la riforestazione pubblico-privata che tanto ha cambiato il volto dell'antropocene calabro-appenninico.

Poi le opere di difesa e tutela forestale, la grande pianificazione del Ministero dell’Agricoltura con la Riforma e la colonizzazione del bosco, gli incendi, le infrastrutture, le opere pubbliche e le inziative dell’industria idroelettrica.

L’avanzata della foresta è storicamente un'ottima notizia, come ogni rinaturalizzazione durante l'Antropocene, per un territorio inquinato e saccheggiato. Ma fino a che punto?

A parte i soliti soloni sempre pronti a sfornare la loro ultima novità editoriale, su carta nemmeno riciclata, i catoni censori con la toghina appesa sulla bella bibliotechina di libri illustrati in cui si raccontano le loro ossigenanti passeggiate in posti esclusivi, in Calabria non vi sono veri esperti appassionati della difesa del patrimonio forestale.

Dalla ristretta casta di notabilotti che se la spassano a fare i finti 'radical chic’ del week-end in montagna, pseudo ambientalisti che hanno da circa cinquant'anni monopolizzato le più importanti sigle associative 'naturaliste', tra cui quelli che hanno fatto carrierismo bieco nei parchi nazionali, vere e proprie greppie del clientelismo ecologista-sinistrista calabrese, mai nessun vero e proprio progetto, confronto, campagna di difesa, impegno politico regionale a favore di un patrimonio forestale tanto grande e con urgentissimo bisogno di gestione.

L’uso del Recovery Plan dovrebbe andare prima di tutto in direzione dell’accorpamento in una sola istituzione di scopo degli attuali carrozzoni clientelari finto ambientalisti, su cui si continua a giocare lo scambio famigerato di un certo ceto politico di sinistra che ha impedito in ogni modo presenza e affermazione delle forze verdi, superando la dispendioso ed errata trièartizione dei parchi, come pure la netta distinzione, dunque, senza, alcun vincolo di controllo, tra sfruttamento economico e tutela della foresta.

Un buon programma di nuovo regionalismo, insieme alla Sanità, dovrà dare impulso a una seria opera di riforma della risorsa forestale calabrese.

Non più da considerare un settore dell'economia del sottosviluppo ma l’architrave della riconversione climatica della Calabria, non già un mero segmento del mercato del lavoro, ma una vera e propria ricchezza collettiva, un bene comune transregionale, mediterraneo, transnazionale.

Dicono che c’è poco da fare in questa terra. Boh... Si cominci, invece, a rompere le vecchie logiche dei padroni del bosco, a liberare le energie positive ed ecologiche dell’antropocene boschivo.

Oltre alle fondazioni private, quelle dei bilanci fai da te, pronte come gli inglesi della Brexit a sparticchiarsi qualche lussuoso investimento patinato e immobiliare, ci sono anche i fondi pubblici europei da destinare al riordino e al rilancio facendo buon uso delle trascorse esperienze.

Va individuato un unico strumento di governo e gestione per tutti i boschi del territorio, un unico parco regionale che programma, progetta e realizza, mettendo a freno i monopoli, le avidità e le ingordigie antiche e moderne dei veri sfruttatori del bosco, della 'ndrangheta collusa con marchi d'impresa prestigiosi.

Togliamo le nostre foreste dalle mani colonialistiche degli oligopoli privati ed ex statali e dal parassitismo di scambio di certe ben note associazioni ambientaliste storiche.

Ridiamo ai calabresi la propria riccchezza, quella che è fatta di sale, terra, origano e zafferano, che cresce vispo e prezioso sulle più sconosciute vette della Sila.