Napoli, Calabria e Mezzogiorno tra don Mimmo Battaglia e Luigi De Magistris

20 gennaio 2021, 15:25 100inWeb | di Vito Barresi
Mons. Mimmo Battaglia e Luigi De Magistris

Sarà pure quel che gli appassionati di profezie chiamano un segno dei tempi. Magari anche quella che gli esperti di psicologia definiscono una suggestione collettiva. Sta di fatto che, ora per la cronaca e non sappiamo domani se per la storia, tra Napoli e Catanzaro potrebbe avvenire un ‘miracoloso’ quanto appassionante passaggio di 'consegne', uno scambio del testimone, tra l’attuale Sindaco partenopeo, in pectore candidato alla Presidenza della Regione Calabria, e il nuovo arcivescovo, il cinquantasettenne calabrese Don Mimmo Battaglia, pronto a entrare nel bellissimo Duomo di San Gennaro, il prossimo 2 febbraio, festa della Candelora.


di Vito Barresi

Cosa poi potrà mai legare il sindaco di una grande metropoli mediterranea tentacolare e suggestiva, ammaliante e complessa e il neo-arcivescovo della sua arcidiocesi, chiesa ricca di storia, tradizioni, fede popolare, con ogni carico di superstizioni, usi e consuetudini demo-antropologiche, alla testa di un esercito di sacerdoti e laici tra i più imponenti del Mezzogiorno continentale, simbolo e specchio della cattolicità sudista, poi non è difficile capire.

Specialmente in questo caso, vista e considerata l'importanza di quel pezzo di percorso sperimentato 'insieme' sul suolo e nel contesto di una Catanzaro tradizionale, paciosa e provinciale.

E' in tale quadro, un capoluogo calabro cerniera tra i due mari Jonio e Tirreno, verticalmente trasformato nelle sua stessa identità dall'avvento dell'ente regionale, dall'imperante burocrazia e dal ceto politico, travolto da nuove ricchezze pubbliche e private, scaturite da tale primato benefattore, che Don Mimmo, conosciuto come il 'prete di strada', si mise al servizio di quanti, travolti dalla società affluente e dai suoi rischi, erano caduti prigionieri nel baratro del mercato della droga.

Lo stesso ambiente sociale e istituzionale in cui arrivò il giovane giudice De Magistris, cresciuto al Vomero e tra i colli Aminei, che trova un clima solo apparentemente congeniale al suo ufficio, ben presto disvelatosi infestato di radicate connivenze e collusioni tra le varie e grifagne èlites del potere, qualcosa di più di stratificate abitudini che sussurrano al neofita di rispettare il quieto vivere, non far saltare le marcature, sorvolare con lo sguardo su un sistema omogeneo di vere e proprie inquietanti deviazioni.

Osservazione che presto lo indurranno a determinarsi, o la legge o la carriera, a intonare non il suo canto libero ma l'inno gagliardo della giustizia e dell'imparzialità, proprio nella città delle arroccate clientele e delle spericolate fortune, tra la simonia delle cariche pubbliche e l'avidità d'impresa, tra i vizi privati e le pubbliche virtù, che "du gabbi nun si mora ma sinni mala campa".

Con questa premessa apparirà, pertanto, d'uopo poter fare richiamo alle molte similitudini tra i due personaggi.

Che per questo si prestano, comunque, a un rimbalzo narrativo a partire dal loro vissuto nei giorni infuocati di una Catanzaro messa in fermento da un sacerdote impegnato nella combattiva opera di soccorso verso i ragazzi falcidiati dalla droga, e un magistrato che aveva clamorosamente denudato gli intrecci e gli interessi tra il granitico potere delle caste e i gruppi di dominio politico locale e nazionale, gli stessi che tenevano sotto il tallone di ferro una regione povera, immiserita, costretta a un indegno servaggio morale e civile.

C'è, dunque, non esclusivamente il retaggio culturale dell’identità, il rispetto dei valori, il culto dinastico della memoria, cioè lo sfondo antico e millenario in cui Chiesa e Campanile, ecclesia e legge, potere temporale e potere spirituale hanno segnato nel profondo con solchi di lunga durata, rughe impietose e cicatrici devastanti, le vicende di una grande città-mondo, la capitale del Regno delle Due Sicilie, ma anche tutto il volto immemmorabile dell’intero Mezzogiorno.

Per cui ciò che accosta in un’unica, rapida intuizione le figure di Don Mimmo Battaglia e Luigi De Magistris, in questa contingente attualità, la fase in cui può realizzarsi una saldatura geo-politica tra Napoli, le Calabrie e il Meridione nella luce nuova di una crisi 'epistemica', non solo sanitaria ma politica, economica, ormai essenzialmente esistenziale, è dentro questa drammatica trasversalità, la condivisione di quel forte, persino risentito, sentimento di giustizia che si fa largo, inappagato, in mezzo ai cittadini, alle popolazioni di grandi città e piccoli paesi, che trova nell’uno il suo naturale e titolato portabandiera e nell’altro il suo araldo spirituale, emotivo, il pastore che spicca tra le Cattedrali del Sud, scelto dallo stesso Papa Francesco.

Si obietterà che sarà pure metafora scontata, rinviare simile coincidenza a un fatidico e cinematografico attimo fuggente.

Tuttavia poche volte nella storia del Mezzogiorno si sono presentate migliori auspici e giuste pre-condizioni come queste che mettono in primo piano la forza sinergica potenziale per rilanciare un’area strategica dello scacchiere euro-mediterraneo e globale, forze in tensione che sono il cambio del ceto politico, spirituale e intellettuale, accanto agli strumenti concreti e materiali che farebbero nuova civiltà, diversi orizzonti ecologici e solidali per lo sviluppo economico, già disposti con il Recovery Fund dall'Unione Europea.

Perché, a parte ogni diverso schematismo e pregiudizio ideologico, solo da uomini che hanno una biografia sapiente ed esperenziale, come quella che si legge nel curriculum di Don Mimmo Battaglia (e con lui tanti altri straordinari vescovi dell’Italia Meridionale) e di Luigi De Magistris (e con lui tanti altri competenti presidenti di regione) è possibile tornare a coltivare la speranza che le catene del dualismo Nord/Sud possano essere finalmente spezzate.

Lumeggiando con tale 'fine della storia' anche nuovi orizzonti per quest'ultima Calabria di ieri e oggi, che si auspica non sarà più eguale a quella del domani.