L’Autunno di Alessandro Vanoli che sfuma i suoi contorni tra odori di fumo e foschia in una difficile stagione

2 novembre 2020, 19:45 100inWeb | di Vito Barresi

Difficile parlare d'autunno come una stagione tutta d'un pezzo. Complicato raccontare questo ciclo cosmico in cui tutto si racchiude a guscio e la natura va verso il letargo dopo aver guadato i due poli, prima del caldo e poi del freddo che l'attende, dalle torridi estati ai glaciali inverni, che ne fa insieme alla Primavera una 'tipica' mezza stagione. Lo fa molto 'brillantemente' Alessandro Vanoli, con un saggio di storia, “Autunno Il Tempo del Ritorno”, pubblicato da Il Mulino.


di Vito Barresi

Sarebbe più elegante ed esatto, scrive e dice Alessandro Vanoli, storico, medievista, specialista di storia del Mediterraneo, definire l'autunno una stagione intermedia, quindi molto poliedrica, sfumata, differente, sensibile al foliage, un po’ difficile forse da raccontare.

Poi, questo autunno in particolare, la stagione in cui si rinfocola l’epidemia di coronavirus che sembra annunciare a rullo di tamburi un terribile inverno di paure e tribolazioni.

Autunno in cui c’è un po’ di tutto dentro, tra le foglie che cadono e la nebbia di brughiera, l’odore delle caldarroste e i chicchi rosseggianti del melograno, perché epoca naturale ricchissima di fragranze silvane, ma anche marine, rivierasche e lacustri, periodo in cui s’imbandiscono sontuose tavole con tripudio di funghi e frutti di bosco in cui si celebra il primo assaggio del vino novello.

Una tra le tante tradizioni folkloriche legate alla cultura rurale e contadina, indimenticabile 11 novembre quando a San Martino ogni mosto diventa vino o, per restare sul calendario del bere bene, quando si poteva svolgere, senza paura del virus, l’Oktoberfest a Monaco di Baviera, fiera, festa e mercato che magari si concludeva con un boccale di “Kulminator”, classica doppio malto tra le più potenti al mondo, con fluidità rallentata dalla consistenza senza spuma e un profumo che dà un piacevole sentore di malto fresco, tutto in un sorso che si ferma alla lingua.

Fino ad arrivare, dopo la commemorazione dei Santi e dei defunti, ad affrontare il ciclo celeste e incantevole dell’Avvento cristiano che si affianca storicamente alla Chanukkah ebraica, la festa delle luci che cade durante il mese di Kislev.

In ognuno dei suoi libri dedicati alle stagioni, un intrigante palinsesto che si snoda su quattro “opere”, Vanoli ha priorizzato un carattere, un plot narrativo tale che per la Primavera è stato l’inquietudine, così che ogni volta leggendo tra le pagine c'è una sfumatura, un sentire dell’anima che connota la stagione raccontata di volta in volta, laddove per l’autunno ha prescelto il tema del ritorno, del ritorno a casa, collegato e intrecciato con quello della lentezza.

In questa idea di ritorno, un enorme, lungo, lento ritorno a casa, simile a quello concettualizzato fin nello sguardo stesso del paesaggio nativo che lo circondò nell’infanzia tra i colori del bosco mitteleuropeo, il Nobel Peter Handke, in Langsame Heimkehr, Lento ritorno a casa, l'autunno oltre ad essere la conclusione di un ciclo naturale è anche il passaggio, il tempo dei riti di passaggio, del ciclo della vita, tanto da essere spesso percepito come tale.

L'autunno appare davvero allo storico un tornare a casa andando verso l’inverno, una suggestione, un dipinto che gli è sembrato decisivo per immaginare un racconto popolare di persone e cose, alberi e frutti, animali e nicchie ecologiche, tutti alle prese con un magnifico pellegrinaggio universale verso la casa come tempio di appartenenza e tutela, luogo di calore che protegge e custodisce rispetto alla ruvida inclemenza di un lungo e rigido inverno.

Alessandro Vanoli, soffermandosi sulla più profonda essenzialità la terza fase dell’anno, tra squarci di scene agresti ma anche quinte medievali urbane, in pagine e capitoli sospesi tra le suggestioni di Fernand Braudel e le vivide pennellate dei due Bruegel, è riuscito a distillare anche la filosofia, l’es profondo di una stagione.

Ritrovandola nella propria integralità nel significato stesso della nostra vita che, nel tono e nel suono vivaldiano, simboleggia la terza età dell’uomo, la psicologia complessa della maturità, in cui l’interiorità comincia a prendere sopravvento sul vuoto esistenziale della parte attiva e produttiva che passa, quel prevalere dell’umana indole alla spiritualità che convoca a fare i conti con l’esperienza e la memoria.