Mons. Staglianò: quel che resta di una Pandemia tra memoria sociale e nuove attese spirituali

L’amarezza che ci sta cogliendo in questi tempi di Coronavirus non deve chiuderci in noi stessi o isolarci ancor di più di quanto le condizioni restrittive del distanziamento sociale già impongano. Restiamo uomini e donne libere, dal cuore allargato dall’empatia che ci fa sentire solidali e condividenti i dolori e le sofferenze di tanti nostri fratelli e sorelle, colpiti dalla malattia e dalla morte.


di Mons. Antonio Staglianò*

Vorrei animare la speranza nella risurrezione della carne soprattutto per le famiglie che hanno perduto i loro cari, con le parole di Sant’Agostino: «Noi non perdiamo mai coloro che amiamo, perché li possiamo amare in Colui che non si perde mai».

Le ricordo a memoria perché sono incise sulla tomba di mio fratello Pino. Come è stato predicato nella Chiesa cattolica, durante il Triduo pasquale, la nostra speranza nella morte non riguarda l’immortalità dell’anima, ma piuttosto la risurrezione dei corpi: il “corpo incorruttibile” dell’amore che abbiamo saputo e potuto realizzare in questa storia si presenterà davanti al Padre eterno e verrà da lui riconosciuto degno del Paradiso, della beatitudine e della pace del suo Amore.

Questo “corpo incorruttibile” – l’Amore eterno di Dio che in noi si costruisce una casa – è visibile, si tocca nelle sue piaghe: proprio la dedizione estrema, anche fino alla morte, di medici, infermieri, volontari della sanità, lo rendono tangibile. Anche noi, però, stiamo donando il nostro contributo, vivendo il “sacrificio” di restare come reclusi nelle nostre case, senza quei necessari contatti che rendevano la nostra vita bella e degna di essere umanamente vissuta.

Esorto tutti a non sprecare tempo e a fare “come le piante” che crescono belle e rigogliose (con i loro colori e i loro fiori), pur dentro uno spazio davvero ristretto. Carissimi, noi siamo esseri umani, cioè “di più, sempre di più”, siamo “vita traboccante”.

Questo davvero conta! Abbiamo i talenti – doni, carismi e ministeri – che possiamo ancora trafficare, senza farci prendere dalla paura: nessuno sotterri le sue grandi capacità di amare e anche tutte le altre competenze acquisite nella sua esistenza, con le quali – oggi e non domani – può aiutare altri a soffrire di meno la solitudine e i tanti disagi esteriori e interiori, che potrebbero portare anche a gesti inconsulti di ogni tipo.

Non si tratta tanto di mantenere la calma, ma di sostenere la pazienza e la compassione. Esprimetevi come sapete e come potete, ma fatelo. In questo momento c’è bisogno di tutti, non solo degli scienziati, ma anche degli artisti; non solo degli amministratori, ma anche dei contemplativi; non solo dei pastori, ma anche dei teologi e si potrebbe continuare.

Nessuno sotterri le proprie capacità e competenze dicendo: “io che ci posso fare”? Tu puoi fare moltissimo, pensaci e vedrai! Nessuno le sotterri, per altro, con la scusa (falsamente spirituale) dell’umiltà o, peggio, ancora per non esporsi alle solite critiche, di quanti sono animati dal “prurito delle orecchie e della lingua” e tornano sempre – come il cane della Scrittura – a “leccare il proprio vomito”.

È tempo di immaginazione creativa! Mentre non possiamo vivere l’Eucarestia, partecipando in Chiesa alla celebrazione rituale, dovremmo trasformare questo “digiuno eucaristico” in un “tempo provvidenziale” (Kairòs, come si dice nel linguaggio tecnico) di creatività eucaristica.

Ecco la domanda: quali sono le forme concrete per me, perché io possa dire come Gesù nell’Eucarestia “ecco il mio corpo lo dono a te, ecco il mio sangue è sparso per te”? E così fare “esistenzialmente” memoria del Signore che si dona alla morte per amore? “Fate questo in memoria di me”.

* Vescovo di Noto