La vacanza nuova: “Solo chi sa riposare sa lavorare”

19 luglio 2020, 09:07 Opinioni&Contributi

Nulla di nuovo: il precetto è vecchio quanto il mondo. Risale alla Genesi, al settimo giorno. È dunque un concetto legittimo, benedetto dalle Sacre Scritture, ma forse per la prima volta ha un significato diverso, esso pure segnato dal coronavirus.


di Mons. Vincenzo Bertolone*

Mentre si approssima la stagione delle vacanze, la vita sembra aver ripreso il ritmo di sempre e quasi si vorrebbe dimenticare il dolore di tante vittime (35 mila in Italia), di altrettante persone sole, magari malate, probabilmente in difficoltà economiche, che più degli anni passati ci si lascia dietro imboccando l’autostrada che porta verso il mare calmo o le montagne quiete.

Eppure, diversamente dal solito, ognuno si porta con sé il tarlo di un sentimento che se non è insofferenza è insoddisfazione, di certo amarezza: l’uomo che si riteneva padrone del mondo s’è riscoperto vulnerabile ed impotente davanti ad un minuscolo virus che ha cancellato le sue certezze presenti e, anche peggio, gran parte delle aspettative future.

Ma a guardar bene, proprio nella pienezza che questo vuoto schiude, v’è la radice del cambiamento. Innegabilmente, la pandemia ha insegnato, anche a chi non crede, tante altre cose.

Ha palesato i limiti della scienza; ha ridescritto la scala dei valori, scalzando dalla vetta il denaro ed il potere. Lo stare in casa insieme ha riproposto fatiche e gioie delle relazioni concrete, ha ridimensionato il superfluo e valorizzato l’essenziale. Soprattutto, ci ha costretto a fissare negli occhi dei nostri cari la stessa nostra morte.

In questo, abbiamo ritrovato la comunanza col Cristo in croce.

“Non senti che io, il Signore, sono nel dolore proprio come il mio popolo Israele è nel dolore? Guarda da che luogo io ti parlo: dalle spine” (Esodo Rabbah 2,5).

Questo passo rabbinico restituisce un’immagine di grande forza: il Cristo che soffre rompe la propria apparente alterità ed accetta di condividere il peso del dolore con la sua creatura.

Ci indica, per questa via, un sentiero nuovo: quello in cui l’uomo cammina per ritrovare sé stesso e farsi prossimo al prossimo. Sono i sentieri dell’anima, lungo i quali nelle vacanze si può procedere per respirare aria pura o godersi il meritato riposo dalle fatiche giornaliere, ma pure per avere un orizzonte più libero e largo sulla storia e sul mondo, rifuggendo dalla tentazione di restringere al minimo atti e pensieri o cedere al realismo più disperante.

Vacanza non è una pagina bianca da riempire con la frenesia della quotidianità, e neppure è un’inerzia vuota: è occasione per guardare nel fondo della coscienza e risvegliare il sonno della ragione.

È pure su questo, sull’avventura dello spirito e sulla cura dell’anima, come sul rifiorire della coscienza ed il rinascere del cuore e della mente, che si fonda e si programma il riposo.

Buone vacanze, allora. Che siano cristiane, accompagnate da presenze amiche e momenti lieti, specialmente per coloro che non possono permettersele, e con l’augurio che possano essere tempo da spendere nella ricerca di infinito e di amore.

*Presidente Della Conferenza Episcopale Calabra