40anni fa la strage di Ustica: Castelsilano e la memoria non ‘offuscata’ di chi vide e soccorse il Mig libico precipitato

2 luglio 2020, 09:27 Imbichi

L’evento che ha scosso il piccolo centro montano portandolo agli onori delle cronache ed al centro di un intrigo internazionale sembra oggi un ricordo sbiadito e lontano. A distanza di quarant’anni è opportuno dare spazio alle (poche) voci rimaste andando oltre ogni congettura e teoria, per salvaguardare la loro memoria in merito ad una vicenda volutamente poco chiara.


di Francesco Placco

Un aereo che vola a bassa quota. La sua scia densa e scura che macchia il cielo limpido di inizio estate. Il rumore di uno schianto, assordante, e poi una colonna di fumo che si alza da una delle tante scarpate che contraddistinguono le verdeggianti e rigogliose vallate della presila.

Era il 18 luglio 1980, quando alcuni abitanti del comune di Castelsilano riportarono alle autorità un incidente aereo. Un velivolo si era schiantato dopo aver colpito diversi alberi. Ne era scaturito un incendio, subito domato dalla squadra forestale del posto accorsa in massa sul luogo.

In quel momento, la priorità fu il fuoco: spegnere l’incendio, evitare che si propagasse, che colpisse i campi e le abitazioni nelle vicinanze. Nessuno si aspettava, in quegli attimi concitati, di trovarsi all’inizio di una sceneggiatura degna dei migliori film di azione.

Iniziava così uno dei grandi misteri italiani degli anni ‘80: l’incidente aereo di Castelsilano (QUI), piccolo e tranquillo comune calabrese che all’epoca arrivava a contare circa 1500 abitanti. Oggi questi sono poco più di 900, e trovare testimoni oculari, a distanza di quarant’anni dall’incidente, è quasi impossibile.

Nel corso degli anni si è detto e scritto di tutto, su quell’aereo. La stampa nazionale prima, e numerosi scrittori e saggisti poi, hanno cercato in tutti i modi di collegare il fatto con l’evento ben più drammatico di qualche settimana prima, la strage di Ustica (QUI).

Quel Mig c’entrava qualcosa? Non lo sapremo mai e le diverse decine di “piste” seguite non hanno mai prodotto risultati soddisfacenti, tanto da far chiudere la vicenda come incidente aereo avvenuto nel corso di un’esercitazione, a causa di un malore del pilota.

Una storia fatta di colpi di scena, di rivelazioni rese anche dopo decenni dal fatto, di depistaggi e forzature, di elementi aggiunti e ritrattati di volta in volta.


C’è chi ancora

custodisce

preziosi ricordi

di quel giorno

e di quel luogo

difficilmente

individuabile

su una mappa


Una “scena del crimine” inquinata e torbida, dove si è dato molto spazio alle ricostruzioni “esterne e fin troppo poco spazio alle dichiarazioni dei residenti.

Residenti che andavano e che vanno ascoltati, dato che dopo tutti questi anni custodiscono preziosi ricordi di quel giorno, e soprattutto di quel luogo difficilmente individuabile su una mappa.

A portarmi ai margini della località Colimìti di Castelsilano infatti non è un avanzato navigatore GPS, ma Giuseppe Marano, storico appartenente del corpo forestale locale che ricorda perfettamente le fiamme che si trovò a spegnere in quel luglio dell’80.

La lunga strada stretta e scoscesa si interrompe in una piccola piazzola dove c’è a malapena lo spazio per fare inversione. Di fronte a noi sono ben visibili le rovine di Acerenthia, distanti “appena” una scarpata profonda almeno trecento metri.

È la Timpa delle Magare: l’ultimo sopralluogo a valle venne eseguito da Rosario Priore nel 1990, noi ci limitiamo ad osservare il posto dall’alto.

Marano, contattato grazie all’aiuto di Francesca Ferraro, presidentessa della Pro Loco Castelsilano-Terrazza della Provincia (QUI), conosce perfettamente il territorio: punta il dito, ci indica un luogo, ed inizia a spiegare:

Vedete quella strada che si intravede tra gli alberi? La fece costruire la baronessa delle miniere, che aveva acquisito il terreno e cercava minerali. Nessuno sapeva il suo nome, sapevamo solo che era di Bari. I rottami dell’aereo vennero trasportati lungo quella strada”.

Il costone roccioso ha ceduto nel corso degli anni, e continuerà a franare:

“Non era così all’epoca, c’era più terra, ma a mano a mano questa va giù”.

Un’erosione costante e lenta che ti pone di fronte allo strapiombo senza alcuna protezione o appiglio. Tante le domande, e per ognuna una risposta.


Il mistero del

“cadavere fresco” e la

tesi del pilota morto

conservato nel freezer

di una base militare


Ad esempio, sulla questione del “cadavere fresco” che finì per alimentare la tesi del morto conservato in freezer in una base militare.

Colpa – si fa per dire – del medico condotto del paese, tale Don Ciccio, che ripeté più volte che il morto era fresco.

“Si ma il dottore era un tipo che parlava come noi, in maniera semplice. Quando diceva che il morto era fresco non intendeva che era freddo, ma che era morto da poco”.

A tal proposito, lo stesso medico avrebbe “aggiustatola mandibola del pilota libico. Un dettaglio mai letto in nessun documento, ma che mi viene confermato con un aneddoto sulla personalità del frate:

“Pensa che quando gli aggiustò la bocca, che era storta, disse: non sia mai che Mustafà venga sepolto senza un bel sorriso”.

Ma allora, com’era questo cadavere? Era “fresco”, cioè morto da poco, o in avanzato (avanzatissimo, come scritto poi) stato di decomposizione?

Era morto quel giorno. Poi è rimasto a valle cinque, sei e più ore sotto al sole, è normale che il corpo si gonfia”.

E la decisione, reputata frettolosa, di seppellirlo nel cimitero?

“E dove lo dovevamo mettere? Lo dovevamo lasciare lì? Lo abbiamo portato sopra e lo abbiamo messo nel cimitero, se lo volevano avrebbero dovuto mandare qualcuno. Noi non potevamo fare altro”.

Da qui in poi la storia la conosciamo bene: l’autopsia, autorizzata solo il 23 luglio e realizzata nella camera mortuaria di Castelsilano dal dottor Zurlo e dal dottor Rondanelli, avrà due esiti differenti, parlando dapprima di una compatibilità con il decesso avvenuto il 18 luglio, per poi retrodatare l’evento di giorni. Iniziarono così i collegamenti con Ustica.

Il corpo venne rispedito in Libia, mentre a Castelsilano si bruciava la bara che lo aveva custodito di fronte alle porte del cimitero. Per il trasporto della salma, oramai liquefatta ed irriconoscibile, fu necessario far arrivare una ditta esperta da Roma.

Di quel corpo, ufficialmente appartenuto a tale Khalil Ezzeden non ne sapremo mai più nulla.


Quell’aereo

“senza rumore”

che girava in tondo,

perdendosi

dietrole le alture

per poi ricomparire

e riscomparire


La commissione d’inchiesta guidata dall’Italia e dalla Libia concordò nel definire il tutto un mero incidente. Il pilota, accusato un malore in volo, attivò il pilota automatico per poi perdere conoscenza.

L’aereo si schiantò in quanto finì il carburante. E chi l’ha visto volare a bassa quota, afferma di un aereo “senza rumore”, che girava in tondo, perdendosi dietro le alture per poi ricomparire e riscomparire fino all’impatto.

Di una cosa, però, sembrano essere tutti certi:

“L’aereo cadde il 18 luglio. Non è caduto la notte di Ustica, assolutamente. L’avremmo sentito, e qualcuno l’avrebbe sicuramente visto”.

Non ci sono infatti testimoni di una caduta antecedente al ritrovamento, né testimonianze di rumori o eventi sospetti. Le uniche dichiarazioni riguardanti un presunto scontro aereo, rese da persone sparse in tutta la Calabria, emersero solo a partire dalla fine degli anni ‘80.

In una tale condizione fare congetture è difficile e pericoloso. Negli anni si è cercato di battere ogni pista, al fine di dimostrare questa o quella teoria: guerra aerea, incidente, tentativo di uccidere Gheddafi, copertura per il trasporto di armamenti a paesi dell’est, dimostrazione di forza degli USA, depistaggi da parte dei servizi segreti… tante teorie, tante parole, che ancora oggi dividono l’opinione pubblica.

Quello che resta, dopo tutto questo tempo, è un ricordo flebile dei pochi testimoni rimasti o comunque di quelli che hanno ancora voglia di parlare dell’accaduto.

Perché a fronte di quanto scritto e detto, i grandi esclusi dalla memoria collettiva dell’evento sono proprio gli abitanti di Castelsilano, che nonostante le loro dichiarazioni e la loro collaborazione spontanea sono spesso scavalcati e dimenticati.

A distanza di quarant’anni, tentare di risolvere il “mistero” è impossibile. La quotidianità avanza, la vita va avanti e porta con se nuovi problemi e sfide, ed il rischio è quello di perdere le memorie storiche, i dettagli, le chiacchierate con quelle donne e quegli uomini che c’erano.

Della caduta del Mig libico a Castelsilano, probabilmente, importa sempre meno, e sempre meno importerà in futuro. Eppure, era necessario e doveroso tentare un contatto con quelle memorie storiche tanto bistrattate in tutti questi anni.