La pandemia, il rischio per le libertà personali e il coraggio di ricominciare

7 giugno 2020, 08:32 Il Fatto

«La paura è umana, ma combattetela con il coraggio». Il coraggio, però manca, come manca la forza di indignarsi, ed ancor più quella di sognare. E l’invito che Paolo Borsellino rivolgeva ai siciliani (e non solo a loro) prima d’essere ammazzato dalla mafia, lo conferma. Del resto, se quell’appello avesse trovato orecchie attente e cuori palpitanti, non soltanto le cosche avrebbero trovato strade in salita, ma oggi l’umanità non si ripiegherebbe su sé stessa di fronte al virus.


di Mons. Vincenzo Bertolone*

C’è una sottile linea che lega le varie situazioni in cui la paura domina perché a farle da contraltare manca il coraggio. È la paura che i tempi presenti evidenziano, in un contagio che non è esclusivamente di carattere sanitario, ma anche sociale e culturale, con conseguenze potenzialmente devastanti.

La pretesa esplosa con la pandemia di mettere in sicurezza ogni aspetto della vita, è il sintomo evidente di una debolezza che mina la libertà personale, stretta nel corpo a corpo tra la vita e l’umano: nell’ostinazione di garantire la salute ed il benessere collettivo sterilizzandoli da ogni possibile infezione umana, è insito il pericolo di rovinarsi l’esistenza e minare la società.

Nella cieca competizione all’ultimo decimale, in politica come nella vita quotidiana, si è persa di vista la vera sfida, che non è tra noi e gli altri, ma nell’affrontare e comprendere questioni fondamentali che essendo universali non possono essere affrontate e risolte senza un impegno comune: diritti umani, clima, istruzione, giusto per fare qualche esempio.

Ecco la lezione, colta, solo in parte, che ci proviene dalla diffusione mondiale del Covid 19 e rimanda alle parole di Borsellino: occorre coraggio.


Abbandonare

un sistema

asfitticamente

competitivo

in favore di un

approccio

cooperativo

e d’un impegno

coeso


Non c’è più spazio per distinzioni geografiche e temporali che invece d’esser scudo contro i timori e le ansie, finiscono con l’amplificare il divario tra chi sta bene e chi sta male.

Serve abbandonare un sistema asfitticamente competitivo in favore di un approccio cooperativo e d’un impegno coeso, nella consapevolezza che le grandi questioni dell’umanità sono, per loro natura, un problema di tutti e di ciascuno.

Per questo adesso è tempo di ripensare tanti aspetti del nostro vivere insieme, a cominciare dalla coscienza di ciò che più vale e le dà significato.

Se il Coronavirus ha evidenziato tante situazioni di vuoto culturale, di mancanza di punti di riferimento e di ingiustizia che occorre superare, come scrivono i Vescovi italiani nel messaggio per la prossima giornata nazionale per la custodia del Creato, pur «in un contesto di incertezza e fragilità, diventa fondamentale ricostruire un sistema fondato sulla centralità della persona e non sull’interesse economico».

Vale, ora e sempre, l’insegnamento di papa Francesco, racchiuso nell’omelia per l’inizio del ministero petrino: «Custodire ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza».

* Presidente della Conferenza Episcopale Calabra