Combattere il Covid-19 in camice bianco. Medici contro il virus tra professione e missione speciale

25 marzo 2020, 11:03 100inWeb | di Vito Barresi

Chi sia veramente un medico oggi lo si capisce in frangenti come questi. Guardando all’improvviso nello specchietto retrovisore di questo vero e proprio inferno in corsia che si chiama Coronavirus. Tra reparti di rianimazione intensiva e scivoli di pronto soccorso rimbombano comandi scanditi al netto di un plotone militare.


di Vito Barresi

Questo e non altro nella storia è stato il momento in cui tutti i medici in azione sul fronte della pandemia italiana hanno intuito a pelle che il vecchio modo di fare medicina, con le linee guida in mano, in base ai protocolli confezionati in dall’Evidence Based Medicine (EBM), la “Medicina fondata sulle prove di efficacia”, purtroppo non serviva più.

Il mondo medico italiano è più che mai consapevole che l’equilibrio tra società, scienza e salute è stato prepotentemente infranto, profondamente alterato dall’epidemia di Covid-19, che ha messo sotto attacco ogni protocollo di guarigione, ogni sicurezza sanitaria consolidata.

Come avvertono le autorità politiche al governo del Paese, questo grave turbamento dell’equilibrio socio-sanitario della Nazione può e deve essere superato con l’aiuto e il concorso di tutti mettendo all’angolo inutili polemiche e pericolose distrazioni.

Se c’è una cosa che sembra emergere con nettezza da questa battaglia collettiva, ormai in corso da oltre un mese, è l’indicazione molto chiara che insieme all’Esercito, accanto alla spada e alla moneta, la democrazia e l’identità istituzionale del Paese per salvarsi hanno necessariamente bisogno di un sistema sanitario nazionale pubblico, in cui spicca la centralità del ruolo “universale e di servizio del comparto medico, chiamato ad attuare, mai supinamente, una valida e condivisa politica della sanità.

Un popolo senza un apparato sanitario efficiente ed efficace, senza medici motivati e responsabili del proprio ruolo professionale è già sconfitto in partenza, sia in tempo di guerra che di pace. Ciò che in questo durissimo combattimento contro il virus, questi veri “Medici del Popolo”, i medici italiani, ci insegnano è che è possibile poter dare risposte alle domande poste dall’emergenza pandemica senza cadere mai nella trappola della disperazione, nella tentazione del cedimento, nella rassegnazione della sconfitta.

Anche a memoria di epoche e passaggi epocali, che vanno dalla peste del Trecento all’Aids degli anni Ottanta, da Ebola alla Sars, fino a questa terribile epidemia che sta mettendo sotto scacco l’intero impianto medico e umano della sicurezza e della salvaguardia sanitaria mondiale, nessuno conosce ancora quale sarà l’unico modo per domare questa bestia virale, contro cui si è avviata la battaglia senza sosta della scienza applicata per decifrarne la perversa complessità.

Negli ospedali in prima linea il tempo si è accelerato a una velocità pazzesca.

Mentre sui monitor elettronici ogni cosa compare a rapidi flash, a flussi d’istanti infiniti e rapidi, quel riflesso condizionato che è l’attenzione selettiva del medico, è diventato la sola scelta nuda e cruda che viene fuori dalla storia di una professione antichissima, da tempo immemore sempre alle prese con i drammi eterni delle malattie misteriose, in un misto di professionalità ad alta specializzazione umana e missione morale salvavita, per cui tutto ciò che conta sta unicamente in cima ai sacri articoli del giuramento d'Ippocrate.

Il loro monito è che la drammaticità della crisi epidemica può essere affrontata anche con un semplice strumento, una bussola il cui l’ago e l’angolatura restano sempre ben orientati alla salvezza della vita umana, sulla tenuta del tessuto sociale, sulla connettività dell’organismo comunitario, tra un dentro e un fuori, un esterno e un interno, volto al recupero possibile di un nuovo equilibrio nel rispetto della patologia e della fisiologia dei pazienti.

Perché ciò che conta di più per i medici, gli infermieri, tutto il personale sanitario, è mantenere costantemente attivo il collegamento tra società e salute, tra ambiente e guarigione, guardando in faccia l’ammalato che invoca la sua più giusta terapia.

Senza che per questo il ‘dottore’ sia tentato di utilizzare la facile leva del proprio prestigio, o quella del sensazionalismo del guaritore, ma puntando direttamente sul valore della sua stessa professione che si disvela come una missione con il solo principale obiettivo di rispettare tutta la reale dignità umana degli infetti, dei malati, della società. Che invoca in coro protezione e salvezza.