Chi pagherà i costi del Virus: Lombardia o Calabria? Le Regioni del Sud tra ‘codardia’ civile e ‘diserzione’ istituzionale

23 marzo 2020, 15:45 100inWeb | di Vito Barresi

Tornerà l'estate, appena sarà sopito o sospinto sotto traccia l’immenso e ormai potenziale focolaio di contagio del Covid 19, e con essa la questione dei costi economici e sanitari di una pandemia che ha praticamente, se non distrutto, completamente destrutturato l’intero sistema economico italiano.


di Vito Barresi

Chi pagherà i danni della crisi sanitaria, economica e sociale provocate dalla devastante diffusione dell’epidemia, propagatasi in maniera incontrollata dal Nord al Sud, in tutto il paese? Sarà la Regione Lombardia, l’Emilia Romagna a contribuire ad affrontare insieme per l’intero Paese un complesso e articolato piano di ricostruzione nazionale, dopo anni e mesi di fumogene, propagandistiche quanto molto ma molto interessate discussioni sul bluff del “regionalismo differenziato?

Domanda per nulla retorica nella misura in cui la malattia globale, il virus Covid 19, avrà effetti locali tra loro molto diversi e pesanti, distruggendo non più a random e in maniera casuale ma ben mirata le filiere produttive e commerciali più deboli e marginali, colpendo mortalmente comunità, territori e istituzioni specialmente quelle del Sud, già fortemente staccati dal gruppo di comando dello sviluppo e dell’economia urbana del benessere.

Il Sud avrebbe avuto bisogno in questi mesi di una leadership politica corale, unita, armonica e determinata a rivedere i rapporti tra le aree svantaggiate del Mezzogiorno e i territori sviluppati del Nord che hanno infettato l’Italia generando molto probabilmente, nell’immediato periodo post-epidemico, nuovi squilibri e diseguaglianze territoriali, urbane, regionali e sub-regionali.


La codardia civile della politica sospinta fino al limite della diserzione istituzionale, evitando di convocare anche le sedute di specifici consigli regionali, nel mentre si vietavano rientri di giovani e ragazze impaurite dal virus.


Tuttavia non sembra affatto anzi è quasi confermato che tra i governatori del Sud vi sia in questo momento la consapevolezza e la capacità, anche personale e morale, di affrontare in un quadro di ricostruzione e coesione nazionale, i nuovi termini di una questione dello sviluppo meridionale che andrebbe da subito impostata in una dimensione di localizzazione e geopolitica sia europea che mediterranea.

I vari Presidenti delle Regioni del sud, al contrario, si sono distinti in queste settimane non solo per i loro atteggiamenti pacchiani e granguignoleschi, con sortite televisive che vanno dalle mascherate di assessori estemporanei fino alle ‘marchette’ in diretta su tv privilegiate e giornalisti selezionati, ma essenzialmente per non essere riusciti a dare alcun serio contributo amministrativo, gestionale e operativo sia al Governo sia alle altre regioni in crisi, in tema di contenimento e lotta all’espandersi dell’epidemia.

Anzi, alcuni hanno mostrato persino dove possa condurre l’egoismo e il narcisismo personale, cioè a quella vera e propria pandemia di codardia civile sospinta fino al limite della diserzione istituzionale, evitando di convocare anche le sedute di specifici consigli regionali (QUI), nel mentre si vietavano rientri di giovani e ragazze impaurite dal virus (QUI), gettando nel panico intere comunità di anziani, donne e famiglie, chiuse d’imperio nella quarantena di Cutro o di Montebello Jonico.


Quale sarà lo scenario reale con il blocco del sistema produttivo, le ripercussioni negative sulla stagionalità dell’agroalimentare, la difficoltà a reperire manodopera, l’andamento dei prezzi al consumo, la crisi di liquidità bancaria e quant’altro?


Se è certo che la Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (Unctad) ha già stimato che entro la fine del 2020 il reddito globale crollerà tra 1 trilione e 2 trilioni di dollari, quale sarà lo scenario reale in Italia, con il blocco del sistema produttivo per oltre un trimestre, le ripercussioni negative sulla stagionalità dell’agroalimentare, la difficoltà a reperire manodopera generica e specializzata, l’andamento dei prezzi al consumo, la crisi di liquidità bancaria e quant’altro?

Non esiste un modello matematico specifico per valutare e misurare econometricamente gli effetti devastanti o meno di questa crisi. Ci sono molti esempi nella storia, non ultimo quello della crisi finanziaria del 2008.

Di certo a pagare i costi della crisi non sono stati i paesi più ricchi, neanche le città e i territori più sviluppati ed economicamente più forti a subire le ricadute negative della stagnazione e della recessione economica, bensì le aree più svantaggiate, le classi socialmente più deboli.

Dopo la crisi del 2008 le cosiddette politiche neo liberiste anche in Italia si sono concentrate sul taglio di molti rami dello stato sociale, puntando sullo smantellamento dei sistemi di sanità pubblica, promuovendo la “medicina just-in-time” che punta sulla privatizzazione e sul profitto d’impresa nei settori prioritari e biologici della vita sociale.

Il crollo improvviso e verticale del sistema sanitario lombardo è sotto gli occhi di tutti gli italiani.

Per la sanità lombarda, decantata come la migliore d’Italia e d’Europa, una apparentemente gestibile influenza stagionale si è trasformata in una cocente disfatta, una Caporetto che ha fatto migliaia di vittime, mettendo in luce una contro-verità di risultati laddove negli ospedali mancano le cose elementari come le mascherine o i posti di emergenza, cioè le cose semplici per combattere il nemico di sempre della medicina, cioè le storiche e periodiche epidemie epocali, anche se in specifici reparti e primariati fanno bella mostra macchinari sofisticati e costosissimi piuttosto acquistati a prezzi iperbolici che non consumati dal reale beneficio dei pazienti.