La Quaresima al tempo del Covid-19: l’uso distorto dei media e il trionfo della chiacchiera

1 marzo 2020, 08:21 Opinioni&Contributi

«Quanto lontano riuscirai ad arrivare nella vita dipende da come hai saputo trattare con delicatezza i piccoli, con comprensione gli anziani, con partecipazione i sofferenti, con pazienza deboli e forti. Perché un giorno tu sarai stato un po' di tutto ciò».


di Mons. Vincenzo Bertolone*

Suona lontana e pure involontariamente stonata la riflessione dell’educatore statunitense George Washington Carver in giorni in cui, con la preoccupante diffusione del coronavirus e l’impazzare di un incontrollato profluvio di notizie, si è portati quasi a tirare un sospiro di sollievo di fronte alla constatazione che la malattia che s’avanza, alla fine, provocherà il decesso di anziani già seriamente ammalati, fino quasi a considerarlo un sacrificio accettabile.

Piuttosto, quel che accade è solo l’ennesimo segno del germe dell’individualismo, dal quale nascono i frutti dell’egoismo. Pure per questo, mai come quest’anno, la Quaresima che oggi inizia pare più che altro un tempo di quarantena, in cui all’unione si privilegia - pure simbolicamente - la separazione: gli unti, gli infermi e le prede della nuova peste da una parte, tutti gli altri sulla sponda opposta.

Accade questo, e molto di più: l’uso distorto dei mezzi di comunicazione scaccia le parole di verità ed esalta il trionfo della chiacchiera. La sacralità della vita umana diventa un valore di mercato, come una qualunque merce. La politica cede il passo ai litigi di basso profilo e alle demagogie del capro espiatorio, dell’untore occulto, della vittima predestinata.

È il sintomo della vulnerabilità e fragilità della natura umana che, paradossalmente, smentisce l’assunto sul quale la società contemporanea - che si crede invincibile, ricca di arsenali militari, con l’illusione di essere signora assoluta della vita - si ritrova impotente di fronte all’attacco di un virus invisibile, e certifica che l’assuefazione al pensiero di una visione tecnica assolutistica dell’esistenza (come se l’immunità dalla malattia e dalla morte fosse soltanto questione di tempo e di mezzi) ci rende ogni giorno più indifesi nel corpo e nello spirito.

Il trapasso del principio di responsabilità solidale, insomma, porta a varcare il confine con l’indifferenza irresponsabile, anticamera della paura ingestibile che in queste ore ha intaccato le certezze di ognuno. Per fortuna, c’è la Quaresima, che invita ad incontrare Cristo che illumina le menti degli uomini e dà senso e pace al loro cuore smarrito: il suo esempio può tornare utile nella lotta contro gli idoli, per provare a smettere di fare il male e tornare a seminare il bene che non si fa.

Per il mondo intero è la differenza che può fare la differenza. Per i cristiani, è un modo per ricordarsi di essere davvero tali perché, in fondo, richiamando Jean Jacques Rousseau, fare del bene «è la vera felicità di cui il cuore umano può godere».

*Presidente della Conferenza Episcopale Calabra