Una vita altrove, parola agli expat: meglio la Brexit che tornare in Calabria

8 febbraio 2020, 08:35 Imbichi

L’ufficializzazione della Brexit era attesa da molti espatriati, che decideranno ora se rimanere nel Regno Unito o se trasferirsi altrove. C’è chi punta all’Australia, chi all’America, chi vuole rimanere nel vecchio continente… ovunque, fuorché dalla Calabria.


di Francesco Placco

Alla fine la Brexit è arrivata. Non è ancora chiaro come si muoverà il governo inglese, che da una parte ha chiesto frontiere chiuse e “limitate”, e dall’altra pare garantirà la permanenza degli europei già residenti nel regno tramite il Settle Statement (QUI). Entro la fine del 2020 vedremo cosa verrà messo nero su bianco e scopriremo quale sarà la prossima meta degli espatriati in cerca di lavoro.

Chi risiede nel Regno Unito - parliamo di circa 700 mila italiani (QUI) - si trova dunque di fronte ad un bivio: intraprendere il percorso per diventare cittadino britannico (così come già fatto da migliaia di connazionali) o semplicemente cambiare paese. Un dubbio che sta passando per la testa a moltissimi, in questi giorni, compresi ai calabresi che vivono sparsi per le strade della city o nei pittoreschi centri dell’hinterland britannico.

Giovani e meno giovani che, alla ricerca di un’esperienza di lavoro o di una svolta professionale, si ritrovano ad aver investito diversi anni della propria vita altrove. Non bollatela frettolosamente come esterofilia: l’emigrazione è spesso l’unica soluzione percorribile, e rappresenta un’insanabile ferita per l’intero meridione.

Meridione che non dispone di un’attrattiva tale da far considerare un possibile rientro: pochi posti di lavoro, spesso mal retribuiti e privi di stabilità o crescita. Una realtà che fa preferire di gran lunga un nuovo trasloco, piuttosto che un ipotetico “ritorno a casa”, dato che la realtà lasciata anni addietro non sembra essere cambiata.

E basta chiedere le intenzioni dei diretti interessati, dei “crotonesi britannici”, per capire che l’idea di “ritornare”, di investire qui il proprio futuro, è lontana, se non addirittura impensabile. “Chi me lo fa fare?”, mi dice Francesca, che in cinque anni si è trasformata da cameriera a manager di diversi punti vendita. “Qui (a Londra, ndr.) ho una prospettiva, a casa (a Crotone) avrei solo qualche lavoretto estivo pagato poco e a nero”.

Dello stesso avviso è Chiara, che da un paio di anni ha avviato un ristorante in una città costiera con suo marito. “Abbiamo sempre investito i nostri soldi, solo che giù non ci portavano niente. Qui invece riusciamo a campare come si deve, ci siamo reinventati e lavoriamo tutti in famiglia”.

Allo stesso modo la pensa Marco, che da tre anni lavora con dei contratti a tempo determinato presso un istituto di ricerca della UCL: “Anche qui sono una sorta di precario, ma ho studiato per fare questo. In Calabria non avevo opportunità del genere… dovessi tornare proverei a Milano, forse, ma non avrebbe senso perdere questo posto”.

E potrei continuare con altre decine e decine di testimonianze, tra amici e conoscenti lasciati a lavorare tanto nel Regno Unito quanto in Europa. Principalmente ragazzi che spenderanno la loro vita altrove e che guardano alla Calabria, a Crotone, come un luogo dove venire in ferie, giusto per qualche giorno, dove trascorrere “al massimo la vecchiaiao da dimenticare del tutto.

Considerazioni attuali, che spesso dimentichiamo nell’evanescente dibattito politico e nel continuo frastuono dei problemi locali. Considerazioni che ci ricordano un punto di vista esterno, lontano, distante, che per quanto possa essere “viziato” dalla necessità del lavoro o di un ambiente più vivo e stimolante, tendono a rappresentare bene i limiti reali della nostra terra. Limiti apparentemente insormontabili.