Un nuovo giornalismo tra credibilità, fiducia e relazionalità. Riflessioni e note sulla Lettera di Mons.Savino

28 gennaio 2020, 18:20 100inWeb | di Vito Barresi
Mns. Francesco Savino

C’è, nella lettera indirizzata ai giornalisti calabresi da Mons. Francesco Savino (“Rimettere al centro il sostantivo al posto dell’aggettivo”, Cassano all’Jonio, 24 Gennaio 2020, Memoria di San Francesco di Sales patrono dei giornalisti), non solo e prima di tutto un’esortazione a scrivere e “comporre” un nuovo giornalismo seguendo le regole di una diversa “grammatica della vita”, ma anche un ponderato ragionamento sugli sviluppi evolutivi di un giornalismo profondamente trasformato nella genetica del proprio “lexikon”, dai grandi mutamenti comunicativi e produttivi da un lato e dalle diverse esigenze della domanda da parte di un pubblico sempre più interessato, per non dire a volte “patologicamente” dipendente, all’uso di strumenti informativi più immediati ed efficaci, puntuali ed affidabili, autentici ed attendibili, sul piano della verità o contro-verità e dei contenuti o della vacuità.


di Vito Barresi

Mors et vita duello conflixere mirando”, poiché comunque, e ovunque, si affrontano i problemi, dalla scienza all’arte, dalla medicina alle guerre, dalla pace all’energia, dall’economia all’ecologia, dalla politica al turismo, dalla cultura al sistema bancario, nel mondo attuale la comunicazione sociale e l’informazione sono stabilmente “in media res”, cioè al centro delle cose e delle relazioni personali, collettive, internazionali, ecc.

Nelle sequenze e nei “frame” emessi e propagati nel sociale, informazione e comunicazione sono divenuti la fabbrica aperta del discorso pubblico e privato, ne costituiscono il tessuto, la texture, la sindone, il lembo e il mantello, il monologo o il dialogo tra popolo e potere, quasi fossero la costante materializzazione/immaterializzazione iconica della biblica “cruna dell’ago”, il luogo di passaggio strategico e complementare dei “messaggi”, merce prodotto e scambio più che mai decisivo nella condivisione partecipata o nell’accettazione subalterna delle scelte generali e particolari, globali e locali.

È su questo piano, talvolta anche esclusivamente, che si svolge una inesauribile lotta di potere attorno alla proprietà e al controllo dei mezzi di produzione e di riproduzione della sempre più gigantesca e globale “industria culturale della comunicazione dell’informazione”, che è divenuta l’asse centrale di una mediazione politica planetaria ininterrotta, che si svolge a tutto campo, a tempo pieno e indeterminato, in quanto infrastruttura sovrana e sovranazionale che detta il tempo del mondo, ne certifica l’orario e le “meteorologie”, dunque i cambiamenti anche climatici, costruendo e garantendone il grado di consenso, la soglia di difesa e di tollerabilità civili e militari, sia nelle democrazie che nei totalitarismi.


Dalla “journalism reliability”

alla “Journalism credibility”


Per cui appare ben messa a fuoco l’inquadratura offerta da Mons. Savino allorquando ci offre la citazione profetica e illuminata di un grande politico, Giorgio La Pira, il sindaco santo di Firenze,

“che ripeteva che il cristiano deve pregare contemplando il mappamondo sul comodino. È l’asse della umanità vissuta sul quale anche voi vi giocate la vostra professione, i due poli tra cui esercitate il vostro diritto di informare. Dio, il cielo, la Bibbia da una parte. L’uomo, la terra, dall’altra. Per chi non crede in Dio potremmo dire: il senso globale delle cose, la visione metastorica, l’orizzonte complessivo da una parte. La concretezza, il mappamondo, il giornale dall’altra. Chi non fa sintesi partendo da questi due punti di fuga, non potrà essere un ‘uomo di misericordia’ e quindi un buon giornalista”.

Sicché è abbastanza chiaro che la “Journalism credibility”, la credibilità di un nuovo giornalismo, che viene dopo che quello ha perso molti punti nella scala della fiducia e dell’affidabilità, è la sfida più forte concretamente di fronte e in avanti, tale da richiedere una ripartenza etica e valoriale, dunque, un orientamento prioritario, un’attenzione preliminare ai modi e ai luoghi della conversazione pubblica, attuando specifiche azioni di “journalism reliability”.

Credibilità e affidabilità sono quanto mai necessarie al giornalismo, specie in Calabria, ancor più nell'epoca delle “fake news”, dell’hate speech, dinnanzi alla capillare diffusione, attraverso vari mezzi di comunicazione e in particolare sul web, di parole, atti, gesti e comportamenti offensivi e di disprezzo di persone o di gruppi che assumono la forma di un incitamento all’odio, in particolare verso le minoranze.

Fatti, tendenze, derive che mescolandosi con la “crisi di fiducia” verso “il giornalista” e il “giornalismo” costituiscono un pericolo per la democrazia e la convivenza civile.

Per cui se “la fiducia è una relazione, non un fatto”, il giornalista oggi e nel domani deve essere quello che può e deve dare del tu alla realtà sociale, alle persone, ai protagonisti degli eventi pubblici più importanti ed eclatanti, rinnovando con il proprio sguardo il racconto e la dimensione narrativa di una Calabria talvolta disprezzata o rimossa dalla cronaca quotidiana.


Il “giornalista umile”

pellegrino in cammino

sul percorso della

comunicazione sociale


Riscoprire una intimità tra la vita regionale, il territorio, i mondi vitali e il giornalismo non significa giocare ambiguamente su una confusione di ruoli bensì puntare su una connessione tra giornalismo e contesto, persino riscoprendo l’arma non retorica di una compassione con e negli avvenimenti da cui scaturisce lo stile delle “live story”, il colore e il ritratto vero delle “life story”.

Tale “confidenzialità” tra la notizia e la sua narrazione va comunicata, va interpretata empaticamente, rivolgendosi al lettore, invitato e attratto da una lettura critica e che dà un'interpretazione comprensiva e comparativa del reale.

Dalla figura evocata da Papa Francesco del “giornalista umile”, che è il pellegrino in cammino sul percorso della comunicazione sociale, una figura che dà nuova enfasi e importanza a una idea di nuovo giornalismo nel quadro della relazionalità e della connessione ecologica integrale del linguaggio umano, scaturisce la consapevolezza “professionale” di dover lavorare pezzo su pezzo quotidianamente, utilizzando un linguaggio che ha la forza immediata di produrre identità, di specchiarsi e riconoscersi in esso, stabilendo un legame tra i fatti e la loro interpretazione. (Discorso del Santo Padre Francesco ai membri dell’associazione Stampa Estera in Italia, Sala Clementina Sabato, 18 maggio 2019)

Se il “giornalista umile”, secondo Francesco, non è affatto mediocre o di serie B, se al contrario l’umiltà lo spinge a farsi le domande, a non accontentarsi di soluzioni scontate, che “non conoscono la fatica di un’indagine capace di rappresentare la complessità della vita reale”, il giornalismo che bisogna scrivere è un'arte sì di narrazione diretta ma simultaneamente anche un costante esercizio di comprensione, di decostruzione della scena e del retroscena, in tal modo da richiedere, nel controllo dei dati e della veridicità delle fonti, l’uso di una “filologia giornalistica” che nel senso più professionale è lo strumento tecnico essenziale, la metodologia operativa per comprendere e descrivere i fatti che avvengono.

Ciò richiede un lavoro e una preparazione tale da proporsi in quanto modello di relazionalità, quasi si potrebbe dire con più colorita espressione l’ipertesto della relazionalità sociale, personale, amicale, istituzionale, in un insieme di scambi e vedute confliggenti, polemiche accese e analisi retrospettive e previsionali, punti di vista che si incrociano con approfondimenti ampi e comparati di conoscenza più libera e dinamica.


Le “sentinelle” in guardia

di fronte a una prepotente invasione

del virtuale e della finzione


Per il giornalista del futuro è più che mai indispensabile tornare ad apprendere, imparare a descrivere e riportare in cronache e commenti la realtà così come essa si presenta nella multidimensionalità delle contraddizioni sociali ed economiche, dello scetticismo etico, del disincanto politico, della disperazione esistenziale, utilizzando testi, immagini e notizie per capire chi è l’altro, la sua natura umana e sociale, superando la dimensione di un arcaico paternalismo proprio perché la realtà è complessa e tale complessità va comunicata nel modo più semplice possibile.

Ciò che occorre non è solo e “unidimensionalmente” un giornalismo che nel mondo della velocità deve saper dare notizie ma un giornalismo che sappia tornare a nutrire l’immaginazione morale dei territori, della società e del paese, laddove il cinismo postmoderno ha cancellato i confini tra vero, falso e finto, nonostante un certo potere non può che essere inaccettabile.

Per cui serve accogliere positivamente la sollecitazione di Mons. Savino a divenire “sentinelle” in guardia di fronte a questa prepotente invasione del virtuale e della finzione

“sentinelle, dunque, animate da tutte quelle irrinunciabili virtù che ne fanno una presenza e una risorsa preziose per una comunità. Innanzitutto la virtù di stare tra la propria gente, di conoscerla, di ascoltarla, di raccontarla. Poi la virtù del vigilare, di essere svegli, di saper guardare lontano, anche sotto e oltre le coltri del silenzio, dell’indifferenza, della paura, di avvistare i pericoli, di mettere in guardia, di aiutare nel cammino lungo i sentieri di una vita sociale che spesso si inerpica e trova ostacoli”.