La ‘Mattanza’ degli Allevatori nel Crotonese. Da Pallagorio a Petilia Policastro il feroce ritorno delle ‘Piccole Mafie’

25 aprile 2019, 19:00 100inWeb | di Vito Barresi

C’è un orrendo nodo scorsoio che sta soffocando con secca, rapida, implacabile determinazione chirurgica il respiro tranquillo delle popolazioni, uomini, donne, vecchi e bambini, quel che è rimasto sul territorio, in questi devastanti venti anni del primo Duemila, pezzi sconnessi di Stato e Istituzioni, Diritto e Società, Comunità e Tradizioni, usi, costumi, consuetudini nell'amministrazione locale della Legge, tra i monti e le vallate, le colline e le campagne del mondo chiuso e instabile che, perpetuo ed eterno, riproduce miseria e marginalità nel crotonese.


di Vito Barresi

Sono ormai passate tre notti e un mezzo giorno, quando a sera, dopo i primi accertamenti per la scomparsa di due persone senza precedenti di giustizia, padre e figlio, Rosario e Salvatore Manfreda, 69 e 34 anni (LEGGI), usciti all'improvviso dal box di una immaginaria 'google maps' della propria sicurezza personale, probabilmente messi a terra del loro fuoristrada, poi ritrovato bruciato, da quando, sondata immediatamente la cerchia familiare, la ricerca di indizi si è fatta più selettiva e raffinata, tanto che per gli inquirenti, accanto al semplice mistero dell’assenza occasionale o fortuita, ha cominciato ad agitarsi, far capolino, il fantasma di qualche cauta ipotesi delittuosa, oltre la bozza delle prime impressioni e suggestioni investigative.

E fra queste prende largo e tambureggia in testa una domanda, un ritornello che suona a brandelli di sospetti, uno di quei pensieri un poco d'istinto che quasi si vorrebbe ricacciare indietro in un vuoto di memoria cache, il rovello inquietante sul quel che lega fatti forse avvenuti non per caso, ma nemmeno non per nulla, d'acchito apparentemente distanti, cioè e in modo che se rifletti su un aspetto, il cosa lega a qualcosa, in questa strana presa alla gola che strangola, spezza il ritmo del cuore di questi impauriti e insicuri paesi della Calabria interna, in cotanta angosciante morsa asfissiante, i due doppi, possibili, i "delitti" di Pallagorio nell'alto crotonese (LEGGI) e di Petilia Policastro quasi nella Pre Sila catanzarese.

Entrambi cronologicamente avvenuti nel tempo festivo del Natale il primo, e in quello della Pasqua, se dovesse accadere che alla scomparsa segua il ritrovamento, il secondo.

Così come pure appare evidente che ad accomunare la materia, a spingere fino ad osare la comparazione tra i pur diversi episodi, sono le copiose similitudini dei due ‘missing’, le analogie tecniche dell’uscita di scena, quasi da ‘kidnapping’, di entrambi gli incidenti, persino lo stesso paesaggio rurale e montano che fa da sfondo, da quinta scenica ai due ‘delitti’ in un esterno da pascolo e agricoltura.

Ma è vi di più, e d’oltre, a combinare, meticciare, intricare, intrecciare e ‘confondere’ su un piano comune di criminologia i due casi di Petilia e Pallagorio, due comuni spettralmente immiseriti, ridotti all’osso dopo che la crisi economica devastante ha squagliato la polpa, ha spolpato ogni risorsa, fino a incenerirne le sinapsi dei circuiti economici locali.

C’è la sostanza umana degli uccisi e fino adesso degli scomparsi, la loro specifica fisionomia, le mansioni e il lavoro, le classi e gruppi sociali di appartenenza, in un colpo il profilo e l’attività produttiva dei quattro soggetti coinvolti nei due casi.

Così come nell'omicidio plurimo di Pallagorio, su cui ancora la Legge non è riuscita a venire a capo degli assassini, in cui restarono uccisi di notte due allevatori, anche a Petilia scompaiono due uomini del mondo del bestiame, uomini delle mandrie e della transumanza, delle fiere e degli abigeati, sia ben inteso non loro, non i coinvolti, che qui si parla in generale di un ambiente, fatto di soggetti costantemente in cammino tra la marina e la montagna, tra il latifondo jonico e la Sila Regia, tratturi e sentieri della foresta e dei foraggi freschi.

Ovunque, in queste sconosciute ‘enclave’ isolate, coperte e distanti dal chiasso della civiltà, silenziose di loro nicchia e natura, che incide persino sugli uomini e sulla loro ecologia della mente, talvolta anche ambientalmente e geograficamente irraggiungibili, insomma qui dove vivono e intraprendono gli allevatori in Calabria, specie in provincia di Crotone, forse qualcuno ha dimenticato che là vi è anche e ancora intatto, impenterabile, gelosamente custodito e sorvegliato giorno e notte, il confine, la linea d'ombra che divide e congiunge il mondo legale e normale con il territorio ultra e rude, dove vige la norma del rischio, la legge impronunciabile delle antiche ‘ndrine calabresi.

Strutture elementari, persino primitive ancora in vita, che mantengono intatti gergalità e segreti d’iniziazione ai bordi della società liquida che sta in città, lungo l’autostrada, tra le banchine dei porti alla riviera, custodi di saperi criminali archeologici ossimoricamente postmodernisti, pronti a dare un segno di valore all'utilizzo del metodo mafioso in altri nuovi territori.

Questi misteriosi santuari delle "altre associazioni comunque localmente denominate" sono più vecchie e più profondamente radicate dello Stato che rispetto a loro ha molto meno di duecento anni di storia.

E in questi due decenni del nuovo secolo a molti è sembrato illusoriamente che in quei lontanti e abbandonati distretti agro-silvo-pastorali, dove la demografia e lo spopolamento, l’invecchiamento della popolazione e l’emigrazione delle nuove generazioni avessero, come dire, sterilizzato il ceppo, deballato il batterio, sconfitto il virus, sconfitta per sempre l’infezione malarica che si chiama eziologia, causa endogena della ‘ndrangheta e della criminalità.

In realtà, per riprendere una metafora, l’immagine a noi fornita dal grande storico Fernand Braudel, mai come per nessun altro archetipo socio psicologico della criminalità, per la ‘ndrangheta si può dire con certezza che essa è una ‘struttura di lunga durata’, una associazione delinquenziale provvista di interessi, valori e scopi lungo l’arco secolare di tempo, affari, società, politica e istituzioni.

Sarà anche per questo che nelle retrovie di un territorio abbandonato in cui si trova ridotto l’intera ex provincia di Crotone, riemergono virulenti modelli inediti di organizzazioni criminali che segnalano l’insorgere di una vera e propria emergenza più complessiva nell’intera Calabria.

Anzi proprio il suo imprevedibile e sottovalutato risorgere, il riorganizzarsi di tante piccole mafie, locali, sub provinciali e territoriali, in qualche modo alternative al vecchio assetto cupolare della ‘ndrangheta di fine novecento messa in crisi dall’azione repressiva, potrebbe sconvolgere gli assetti di potere, non solo nel mondo del crimine ma anche in quello parallelo della legalità e della vita civile.

Seppure qualcuno lo avesse fin troppo 'spocchiosamente' dimenticato questi episodi evidenziano non solo il ritardo delle istituzioni preposte, vale a dire apparati dello stato afferenti al Ministero degli Interni e della Giustizia, ma riaprono bruscamente la questione delle cosiddette ‘piccole mafie’ che, più che altrove, sembrano ancora germogliare e pullulare proprio in questa regione del sud, dove appare abbastanza semplice riattivare la riproduzione di modelli criminali che si pensava fossero ormai desueti, o caduti nella parte più buia ed ancestrale del tradizionalismo, nell'es profondo dell'inconscio collettivo e storico, in un girone quasi folklorico, delle ‘ndrine del passato.

Invece ‘nuove ‘ndrine’ a noi sconosciute e ‘nuove ‘ndranghete’ in rapida formazione e riproduzione, ritornano sulla scena come attori sociali del crimine con tutto il carico del loro spaventoso e minaccioso sottotesto culturale e contaminante.

Confermando purtroppo che la saccente incomprensione di un fenomeno da parte di certi giornalisti di regime e analisti parastatali, mafiologi e tuttologi della 'ndranghetologia a dispense sul internet, insomma il caravanserraglio accademico e comunicativo della mafiologia di stato, che l’impianto e l’ideologia atavica della ‘ndrangheta resistono e reagiscono alla sfida omologante e secolarizzante. A tal punto che la nuova 'ndrangheta sfuggente ha già imparato a nuotare come un pesce d'altura nel mare liquido ma non limpido delle società globali e post moderne.