Autonomia. La Calabria dà sempre meno al Paese: si rischiano tagli ai servizi e aumento tasse

4 aprile 2019, 14:47 Il Fatto

È negativo il saldo tra le entrate e le spese pubbliche: meno 3 mila euro per abitante quantificabile in 5,7 miliardi di euro in valore assoluto. E, intanto, le Regioni del Centro-Nord hanno ridotto il loro apporto perequativo di oltre 27 miliardi di euro nell’ultimo decennio nei confronti delle realtà “più deboli” del Mezzogiorno


La Calabria registra un residuo fiscale pari a -5.707 milioni di euro corrispondente a -2.896 euro per abitante a fronte di un dato positivo del Nord pari a 4.082 euro pro capite.

È negativo, dunque, il saldo medio riferito al periodo 2007-2016, tra il contributo che ciascun calabrese fornisce al finanziamento dell’azione pubblica attraverso il pagamento delle imposte e il beneficio che ne riceve sotto forma di servizi pubblici.

Ciò significa che un cittadino calabrese riceve in solidarietà dal resto dell’Italia circa 3 mila euro all’anno. Complessivamente, nell’ultimo decennio, il “sistema Calabria” ha beneficiato di entrate pubbliche pari a 155 miliardi di euro attivando una spesa per 212 miliardi di euro prioritariamente nei settori della previdenza, della sanità e dell’istruzione.

La nostra regione, inoltre, ha potuto contare su un minore apporto perequativo dalle realtà regionali del Centro-Nord quantificabile in ben 320 milioni di euro.

Cresce, poi, il divario del sistema calabrese dal Nord rispetto ai principali indicatori macroeconomici: 3,5 punti percentuali per il Pil, 11,5 punti percentuali per i consumi familiari e, addirittura, 15 punti percentuali per il tasso di disoccupazione.

Cosa potrebbe accadere, infine, se il residuo fiscale subisse una contrazione rilevante? Tra i numerosi scenari aperti e non definiti, anche quello in cui la nostra regione potrebbe tagliare i servizi per 1,3 miliardi di euro o aumentare le entrate tributarie.

È quanto si rileva dalla prima inchiesta di Tablog, il format di data journalism sul vissuto dei cittadini ideato dall’Istituto Demoskopika.

DEL RIO: RICHIESTA AUTONOMIA, PAESE SPACCATO IN DUE

“La richiesta di maggiore autonomia rivendicata principalmente da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna – dichiara Raffaele Rio, presidente Demoskopika e autore del format Tablog – ha già spaccato il nostro paese in due: gli autonomisti accaniti e i meridionalisti intransigenti. I primi (autonomisti convinti) quali convinti sostenitori di una richiesta di maggiori competenze e risorse finanziarie in nome di una restituzione al Nord di denaro erogato, per tempo, ad una pubblica amministrazione meridionale spendacciona e inefficiente; i secondi (meridionalisti intransigenti) spesso amplificatori di un sostegno perequativo di risorse in nome di un presunto diritto acquisito, senza valutazioni sugli effetti generati dai flussi redistributivi a favore delle regioni più in difficoltà”.

“Si tratta – aggiunge - di una vera e propria partita a scacchi spesso incentrata sui due criteri da utilizzare per l’assegnazione delle risorse alle regioni: il costo storico e il costo medio nazionale. Il costo storico indica la spesa per abitante che una regione effettua in media per una determinata competenza mentre il costo medio nazionale indica il costo medio pro-capite di quella competenza a livello nazionale. La differenza è fondamentale”.

“Utilizzando il primo criterio, - precisa Raffaele Rio - l’autonomia sarebbe a saldo zero, senza risorse aggiuntive per lo Stato; il secondo criterio, comporterebbe risorse aggiuntive che potrebbero intaccare gli attuali residui fiscali. Cosa potrebbe accadere se il residuo fiscale subisse una contrazione rilevante o addirittura un azzeramento? Nel Mezzogiorno potrebbe essere necessario aumentare le entrate fiscali (imposte dirette e indirette) o tagliare la spesa pubblica mentre al Nord si potrebbe verificare una situazione diametralmente opposta. E ciò potrebbe peggiorare ulteriormente l’attuale divario economico e sociale esistente”.

“In questa direzione - conclude il presidente di Demoskopica - sarà fondamentale affrontare il regionalismo differenziato abbandonando le partigianerie, mettendo a nudo i punti di forza e di debolezza, quantificando correttamente la dimensione finanziaria del passaggio di competenze dallo Stato alle Regioni, garantendo una solidarietà perequativa e consentendo a tutti di poter ottenere benefici dal cosiddetto “dividendo dell’efficienza”, ossia dalla riduzione della spesa necessaria a svolgere le funzioni trasferite senza dover ricorrere al rischioso proposito di fare leva sui residui fiscali”.

ENTRATE DELLA PA: IN CALABRIA VALORI DOPPI RISPETTO AL NORD

Le entrate pubbliche regionali consolidate della Pubblica Amministrazione (PA), in termini reali in Calabria, riferito al valore medio del periodo 2007-2016, ammontano a 15.486 milioni di euro, pari all’8,5 per cento del Mezzogiorno e all’1,9 per cento dell’Italia.

Il valore delle entrate per abitante, corrispondente a 7.856 euro, risulta il più basso d’Italia presentandosi costantemente al di sotto dei valori di tutte le realtà regionali del Paese. Nel Mezzogiorno il valore è pari a 8.776 euro per abitante mentre al Nord raggiunge un ammontare pari a 16.092 euro pro capite.

Analizzando, inoltre, l’andamento delle entrate nell’ultimo decennio, si osserva una crescita media pari allo 0,8%. In particolare, si assiste ad una continua contrazione fino al 2010, anno di maggiore decrescita (-8,8%), ad un incremento nel biennio successivo con un più 8,5% e un più 7,6% rispettivamente nel 2011 e 2012, per poi registrarsi un nuovo decremento dell’aggregato fino al 2016, ad eccezione del 2015 (+8,0%).

Circoscrivendo l’analisi alle sole entrate tributarie, costituite dalle imposte dirette e indirette, si osserva che la pressione fiscale in Calabria, nell’arco temporale di riferimento, risulta mediamente più bassa di quella meridionale, del dato nazionale e, soprattutto, delle realtà del Nord: 29,8 per cento rispetto al 31,1 per cento del Mezzogiorno, al 31,6 per cento dell’Italia e al 42,8 per cento del Nord. In quest’ultimo confronto, in particolare, la distanza è pari a ben 13 punti percentuali.

Analizzando l’andamento dell’indicatore, infine, il valore più elevato si verifica nel 2012, quando l’incremento dei tributi, pari al 13,1%, si accompagna contemporaneamente alla contrazione del PIL regionale, pari all’1,9%, che portano la pressione tributaria nella regione al 32,8 per cento.

SPESE DELLA PA: GENERATI 212 MILIARDI DI EURO IN 10 ANNI

Le spese pubbliche regionali consolidate della Pubblica Amministrazione (PA), in termini reali in Calabria, riferito al valore medio del periodo 2007-2016, ammontano a 21.192 milioni di euro, pari al 9,9 per cento del Mezzogiorno e al 3,1 per cento dell’Italia, corrispondenti a 10.755 euro pro capite: si va dai 10.456 euro del 2007 ai 10.737 euro del 2016 con una crescita, nel periodo considerato, pari al 2,7 per cento.

Nel Mezzogiorno il valore è pari a 10.262 euro per abitante mentre al Nord raggiunge un ammontare pari a 12.010 euro pro capite. Complessivamente nell’ultimo decennio, la Calabria ha generato una spesa pubblica per 212 miliardi di euro.

Con riferimento alla natura della spesa analizzata, le spese correnti rappresentano mediamente in Calabria l’85,3 per cento del totale, quelle in conto capitale il restante 14,7 per cento.

Spostando l’analisi sui settori di attività della spesa pubblica nella regione, l’elaborazione dei dati ottenuta dall’analisi della classificazione delle voci presenti nel sistema dei Conti Pubblici Territoriali per il 2016 (ultimo anno disponibile), mostra che i capitoli principali sono rappresentati dalle spese nel settore “Previdenza e Integrazione salariali” con risorse utilizzate pari a 7.876 milioni di euro (37,2% del totale) e nella “Sanità” con un ammontare di 3.107 milioni di euro spesi, pari al 14,7 per cento del dato complessivo.

A seguire, altre cinque voci che presentano livelli di spesa rilevanti: “Istruzione” con 1.863 milioni di euro (12,0%), “Interventi in campo sociale” con 1.632 milioni di euro (8,8%), “Viabilità” con 1.023 milioni di euro (4,8%) e “Sicurezza pubblica” con 563 milioni di euro (2,7%).

Nelle rimanenti 21 voci, comprendenti, tra le tante, i settori giustizia, ambiente, smaltimento rifiuti, turismo, agricoltura, servizio idrico integrato, etc., la spesa pubblica registrata è stata complessivamente pari a 2.526 milioni di euro.

STIME: A RISCHIO SERVIZI PER 1,3 MILIARDI

Cosa potrebbe accadere se il residuo fiscale subisse una contrazione rilevante o addirittura un azzeramento nel quadro della spesa pubblica regionale consolidata?

La stima di Demoskopika, senza voler avere alcuna pretesa di esaustività considerata l’assoluta complessità della materia, simula una sforbiciata lineare al ribasso per tutte le voci di spesa in Calabria pari al 6 per cento, ipotizzando che il decremento dei settori della spesa pubblica coincida con la riduzione percentuale del residuo fiscale che si è registrata in Calabria dal 2007 al 2016.

La contrazione complessiva sarebbe di 1.269 milioni di euro. Tra i settori di attività a subire il maggiore contraccolpo “Previdenza e Integrazione salariali” (-473 milioni di euro), “Sanità” (-186 milioni di euro), “Istruzione” (112 milioni di euro), “Interventi in campo sociale” (98 milioni di euro) e “Viabilità” (61 milioni di euro).

Trattasi ovviamente di una stima che non ha alcuna pretesa di esaustività considerato il perimetro ancora molto incerto in cui si sta sviluppando il regionalismo differenziato.

RICCHEZZA: PIL PER ABITANTE PIÙ BASSO D’ITALIA

Il Prodotto Interno Lordo della Calabria nel 2017 è pari a 33.435 milioni di euro (valore corrente) e corrisponde all’8,7 per cento del PIL dell’intero Mezzogiorno e all’1,9 per cento dell’Italia.

In termini reali, nel 2017, il Pil per abitante nella regione è di 15.677 euro, contro i 17.355 del Mezzogiorno e pari alla metà della ricchezza pro capite prodotta nelle regioni del Nord, di ben 32.194 euro.

Anche in relazione alla ricchezza prodotta, la Calabria si colloca in fondo alla classifica italiana. Al di sopra del Pil regionale, calcolato a valori concatenati con anno di riferimento 2010 per disporre di una misura dell'aggregato economico di interesse in termini di volume ossia al netto della dinamica dei prezzi ad esso sottostanti, si posizionano, infatti, tutte le altre regioni italiane: dalla Sicilia con un prodotto interno lordo pari a 16.336 euro alla Lombardia che presenta una ricchezza prodotta per abitante pari a oltre il doppio di quella calabrese, ossia ben 35.234 euro pro capite.

Come se non bastasse, l’analisi storica del prodotto interno lordo mette in evidenza che il divario tra la Calabria e il resto dell’Italia si è accentuato invece di ridursi.

Nel 2007, in particolare, la ricchezza pro capite calabrese rappresentava, in termini percentuali, il 91,8 per cento, il 52,2 per cento e il 62,1 per cento rispettivamente del Mezzogiorno, del Nord e dell’Italia. Dopo un decennio, nel 2017, il peso del Pil pro capite della Calabria si è ridotto in rapporto a tutti gli ambiti territoriali osservatori: 53,9 per cento rispetto al Mezzogiorno, 48,7 per cento rispetto al Nord e, infine, 90,3 per cento rispetto all’Italia.

CALABRIA IN “ROSSO”, MENO 2.896 EURO PER ABITANTE

Secondo il dato medio riferito al periodo 2007-2016, la Calabria registra un residuo fiscale pari a -5.707 milioni di euro, vale a dire a -2.896 euro per abitante rispetto ad un altro dato negativo, ma più basso, del Mezzogiorno (-1.487 euro pro capite) e a valori positivi per il Nord (4.082 euro pro capite).

Un saldo negativo per la Calabria, quindi, che la posiziona al primo posto nella graduatoria delle regioni in disavanzo finanziario pro capite, prima della Sardegna (-2.430 euro), Sicilia (-1.935 euro), Molise (-1.702 euro), Basilicata (-1.399 euro). E, ancora, Puglia con -1.197 euro pro capite, Campania (-809 euro), Valle d’Aosta (-734 euro) e Abruzzo (-368 euro).

Il residuo fiscale è il saldo tra il contributo che ciascun individuo fornisce al finanziamento dell’azione pubblica attraverso il pagamento delle imposte e il beneficio che ne riceve sotto forma di servizi pubblici.

Il quadro che emerge, eccezion fatta per la Valle d’Aosta, è che a registrare un residuo fiscale negativo sono tutte le regioni del Mezzogiorno che disponendo di una capacità contributiva minore e, di conseguenza, di una base imponibile più contenuta presentano saldi negativi.

Sul versante opposto, sono le realtà regionali del Centro-Nord a contribuire positivamente alla perequazione territoriale.

Nel dettaglio, a guidare il gruppo delle regioni che contribuiscono al ripianamento dei conti pubblici delle regioni in disavanzo, la Lombardia con un residuo fiscale positivo per abitante pari a 6.301 euro, davanti all’Emilia Romagna con 4.286 euro, al Veneto con 3.791 euro e al Piemonte con 2.330 euro.

Seguono, con un saldo positivo tra il contributo che ciascun individuo fornisce al finanziamento dell’azione pubblica attraverso il pagamento delle imposte e il beneficio che ne riceve sotto forma di servizi pubblici, Toscana (2.099 euro pro capite), Lazio (1.473 euro pro capite), Marche (1.437 euro pro capite), Trentino Alto Adige (803 euro pro capite), Liguria (740 euro pro capite), Umbria (335 euro pro capite) e, infine, Friuli Venezia Giulia (277 euro pro capite).

“SOLIDARIETÀ A PICCO”, OLTRE 27 MILIARDI IN MENO AL MEZZOGIORNO

Per le Regioni che chiedono l’applicazione dell’art. 116, comma 3, della Costituzione, la riduzione del residuo fiscale è rilevante: in Lombardia la differenza tra entrate ed uscite, che nell’anno 2007 superava i 75 miliardi di euro, diventa pari a 60 miliardi nel 2016, riducendosi di quasi il 20 per cento; il residuo fiscale del Veneto si riduce del 20,9 per cento, da 22 a 17,3 miliardi; quello della Regione Emilia Romagna si riduce di dell’8 per cento da poco più di 20 a 18,5 miliardi.

Ciascuna delle tre Regioni, quindi, vede ridimensionato il proprio apporto alla perequazione interregionale rispetto a quello esistente negli anni precedenti alla crisi economica. In generale, per l’insieme delle Regioni del Nord la riduzione del residuo fiscale è pari al 16,5 per cento, per le realtà del Centro è superiore di poco al 20 per cento. Complessivamente le Regioni del Centro-Nord hanno ridotto il loro apporto perequativo di oltre 27 miliardi di euro nell’ultimo decennio.

Sul versante opposto, le Regioni del Mezzogiorno godono di un altalenante intervento redistributivo operato dallo Stato a loro favore dal 2007 al 2016.

Nell’ultimo biennio, ad esempio, il valore negativo del residuo fiscale si è ridotto di oltre 2 miliardi di euro. L’impatto della recessione ha provocato conseguenze, oltre che sul PIL, sull’occupazione e sui consumi, anche sulla diminuzione dell’apporto alla perequazione dato dai cittadini delle Regioni più ricche verso quelli con più basso reddito.

Nel caso specifico, la Calabria ha ricevuto un minore apporto perequativo dalle realtà regionali del Centro-Nord: dal 2007 al 2016, nel dettaglio, la contrazione del residuo fiscale è stata pari a circa 320 milioni di euro.

D’altro canto, inoltre, la perequazione territoriale di cui ha beneficiato il “sistema Calabria” nell’ultimo decennio, pari a circa 57 miliardi, non ha sortito particolari effetti positivi per lo sviluppo economico regionale.

Il divario tra Calabria e regioni del Nord, nello specifico, nell’ultimo decennio è aumentato anziché diminuire: nel 2007, il Prodotto interno lordo calabrese per abitante rappresentava, in termini percentuali, il 52,2 per cento della ricchezza del Nord mentre, nel 2017, lo stesso peso è ridotto di ben 3,5 punti percentuali passando al 48,7 per cento.

Una “mancata crescita” rispetto al Nord anche se si confrontano i tassi di disoccupazione: nel 2007 la distanza, in negativo, tra quello calabrese rispetto alle regioni del Nord era di 8 punti percentuali, nel 2017 è quasi raddoppiata, passando a 15 punti percentuali.

Da ultimo, anche l’analisi della spesa media mensile familiare non lascia spazio a dubbi. Per questo indicatore macroeconomico, il divario tra Calabria e Nord, nell’arco temporale considerato, è aumentato di 11,5 punti percentuali.

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Aspetti metodologici.

Nell'attuale regime le fonti di finanziamento delle regioni a statuto ordinario sono costituite dai tributi propri, dalla compartecipazione al gettito dell'IVA, dalle entrate proprie (quelle derivanti da beni, attività economiche della regione e rendite patrimoniali), dai trasferimenti perequativi per i territori con minore capacità fiscale per abitante e, infine, dalle entrate da indebitamento, che sono però riservate a spese di investimento (art. 119, Cost.).

Il punto di partenza della ricostruzione di valori regionali impiegati per le stima è la banca dati dei “Conti Pubblici Territoriali” dell’Agenzia per la Coesione Territoriale sia per le entrate che per le spese pubbliche regionali consolidate della Pubblica Amministrazione. Il periodo di riferimento riguarda l’andamento storico dal 2007 al 2016 (ultimo anno disponibile).

Nella nostra ricostruzione si è deciso di: a) escludere dal totale delle entrate da ripartire i trasferimenti in conto corrente e in conto caitale da UE e altre istituzioni estere, perché si tratta di risorse non prelevate sul territorio; l’alienazione di beni patrimoniali e la riscossione di crediti; b) escludere dal totale delle spese da ripartire i flussi verso l’estero perché si tratta di risorse che non vanno a beneficio del territorio, le partecipazione azionarie, i conferimenti, gli interessi passivi per le difficoltà concettuali di interpretare la distribuzione territoriale dei benefici connessi con questa tipologia di spesa.

Ottenute le due macro voci, si è proceduto a calcolare il residuo fiscale per regione quale differenza tra le entrate e le spese pubbliche. È bene precisare che stimare esattamente l’ammontare del residuo fiscale è assai complesso poiché, a monte, andrebbero chiariti alcuni problemi teorici di attribuzione ai territori di tutte le entrate e le uscite pubbliche e di una mole di dati enorme, con un livello di dettaglio statistico molto spinto.

Pertanto la presente analisi non ha alcuna pretesa esaustiva ma indicativa della ricostruzione dei flussi di entrata e di uscita nella pubblica amministrazione per regione nell’ottica di una maggiore comprensione dei contenuti in discussione del cosiddetto “federalismo differenziato”.

I valori per le entrate, spese e residui fiscali sono stati calcolati come media del periodo 2007-2016 per attenuare eventuali variazioni anomale da un anno ad un altro.

Per l’analisi del prodotto interno lordo, sia in valore assoluto che pro capite, inoltre, la fonte utilizzata è l’Istat. L’andamento ha riguardato il periodo che va dal 2007 al 2017. Per i dati riferiti a ciascun anno si è preferito utilizzare i valori concatenati con anno di riferimento 2010 per disporre di tassi di crescita più accurati rispetto ai valori deflazionati con indici a base fissa, in grado di cogliere meglio le dinamiche della realtà economica.

La pressione tributaria per regione è calcolata come rapporto tra entrate tributarie, costiuite dalle imposte dirette e indirette, e PIL regionale.

Per i settori di attività delle spese pubbliche consolidate della Pubblica amministrazione per regione, infine, sono stati utilizzati i dati rilevabili (in milioni di euro) dalla costruzione dei Conti Pubblici Territoriali che viene effettuata secondo una classificazione settoriale a 30 voci in coerenza con il sistema di classificazione adottato nella Contabilità Pubblica e, quindi, con il sistema di classificazione delle funzioni delle Amministrazioni Pubbliche (COFOG).

La suddetta ripartizione, utilizzata per classificare la spesa pubblica, non può però essere adottata per la classificazione dei flussi di entrata, dal momento che la maggior parte di essi non è vincolata in origine a specifici settori d'intervento.