La Lezione di Antonino Scopelliti ‘Giudice Nuovo’ tra fede professionale e fulgido martirio

24 marzo 2019, 08:07 100inWeb | di Vito Barresi
Antonino Scopelliti

Fu magistrato integerrimo, scrupoloso, uomo di grande serietà il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di Cassazione Antonino Scopelliti che venne ucciso barbaramente in un feroce agguato, un accecante mattino d'agosto del 1991. L’omicidio torna in primo piano per via dell’azione giudiziaria portata avanti dalla Procura antimafia di Reggio Calabria, dove il procuratore distrettuale Giovanni Bombardieri e gli aggiunti Gaetano Calogero Paci e Giuseppe Lombardo, svolgono le indagini sui risvolti inediti ed eclatanti di un delitto eseguito su ordine di Cosa Nostra, struttura criminale in accordo con la 'ndrangheta.


di Vito Barresi

Ma in questo articolo, anche in forza di un anelito di verità e giustizia che mai si spegne, intenderò seguire un approccio diverso, riprendere alcuni spunti di riflessione critica e di robusto pensiero che formano il nucleo centrale del lascito intellettuale e morale di un giudice di straordinaria preparazione e acume giuridico, costantemente attento all’evoluzione sociale e istituzionale della figura professionale del magistrato, del suo ruolo istituzionale e della funzione pubblica di orientamento, di quello che lui stesso ebbe a definire come ‘giudice nuovo’.

Vita e pensiero di Antonino Scopelliti costituiscono una sempre ‘commovente’ scoperta di un patrimonio umano e professionale che fa onore alla cultura giuridica italiana. Scopelliti è una di quelle figure che non con grande prestigio e autorevolezza entra per qualità e valore nel Pantheon ‘immortale’ degli uomini illustri calabresi del ‘900, vuoi per la generosità del suo cuore, vuoi per la schietta e scientifica intelligenza della legge e delle sue norme sociali, vuoi per la testimonianza fino all’olocausto personale di un giudice di elevatissima preparazione forense.

In un tempo in cui è affannosa quanto nevrotica la ricerca di un leader comunque sia fatto, ecco irrompere il suo esempio che si propone a mo’ di spunto per una riflessione alta. Quello del giudice Scopelliti è un vissuto che si staglia in forma di memoria condivisa, in forma di eredità etica densa non solo di una filosofia della vita ma anche di una avanzata e precisa metodologia di indagine giuridica.

Dai suoi scritti, dalle sue presenze in aula, da alcuni tra i più importanti processi che segnarono la storia giudiziaria italiana del secondo Novecento, emerge in rilievo non già il narcisismo del magistrato star, simile alla rockstar e all’archistar, non il profilo di un giudice leader, essenzialmente perché il ‘magistar’ non potrebbe esistere se non a rischio della stessa nozione di giustizia.

A tal punto da fargli esclamare: “Guai se ci fosse un depositario della verità il quale si sveglia una mattina, va nei Tribunali e dice: io sono la verità verità! Venite da me e vi dico io come si risolve il caso. Guai!”

A meno che, osservava Scopelliti, per individuare e definire un leader nella magistratura non s’intenda con esso il magistrato guida, che ascolta tutti, il giudice che cerca di trovare anche nel criminale più protervo un briciolo di umanità, il magistrato che sa ascoltare l'avvocato difensore senza mai dire: “avvocato stia zitto, ho già capito".

A quasi trent’anni dalla sua scomparsa si scorge, ancor di più nella sua terra di Calabria, quanto il significato della scelta di essere e ‘sognare’, impegnandosi e studiando, di diventare magistrato sia di fondamentale importanza per la trasformazione e il progresso sociale di questa regione.

Ciò a mente di tante, troppe logiche vetuste del passato, alle prassi e ai comportamenti che hanno stilizzato, forse fin troppo caricaturalmente e folkloristicamente, questa figura giudiziaria apicale, il suo vasto se non 'immenso' potere, talvolta persino violento, impressionante, pervasivo nel contesto delle società agrarie dei secoli scorsi.

Ecco allora che la biografia di Scopelliti si propone come un racconto di mobilità e trasformazione sociale non solo individuale, della persona in carriera, ma anche come rifiuto e superamento ‘sociologico’ di una struttura sociale e classista in cui si era cristallizzato il potere 'costituito' nel Sud, in Calabria, nel Mezzogiorno tra il fascismo e il secondo dopoguerra.

Ma anche come netto distacco, ripudio educativo e formativo, dell’ambiguo e simbiotico legame di una sub cultura della società agraria, contadina, ruralista, dalle sue più distorte e inquietante espressioni, in cui il ‘comando’ giuridico sull’ordine sociale si manifestava tramite un certo tipo di ‘diritto egemone’, la cui valenza orale e quasi mai scritta trovava spazio tra le marginalità di gruppi svantaggiati, nei bacini della povertà e dell’ignoranza, spesso nella falsa narrazione mafiosa dell’Onorata Società.

Tutto ciò, insegna il martirio di Scopelliti, richiedeva e richiama a tutt’oggi, la spinta e l’anelito a un autentico superamento, a partire proprio dalla scelta, dal comportamento e persino dallo stile di vita stesso del magistrato che deve saper rompere con ogni ‘pomposo privilegio’ per porsi al servizio dei cittadini eguali, dello Stato e della società, non assecondando ma interpretando il cambiamento alla luce della Costituzione, dei progressi e della partecipazione democratica.

L'idea del ‘nuovo giudice’ proposta da Antonino Scopelliti desta e suscita interesse ed attenzione contemporanea alla luce di quanto in questi decenni di transizione tra il vecchio e nuovo secolo, è avvenuto nei rapporti tra magistratura e società nell'Italia contemporanea.

Se si vuole un giudice nuovo, era questo il suo ragionamento, “un giudice che non sia scelto secondo logiche ed interessi, ma che venga precostituito per legge, un giudice che abbia competenza ed eserciti il suo ministero su tutto il territorio nazionale, un giudice che disponga di strumenti e di una normativa processuale agile e moderna, occorrerà formare un giudice il quale al di là di ogni nuova formula e articolazione sappia illuminare il suo sapere, la sua intelligenza con il senso della consapevole e responsabile partecipazione al proprio tempo.”

Leggere i suoi scritti, in una prospettiva storica e nella griglia di un' indagine comparativa, metterennao in una nuova luce testi talvolta giudicati apparentemente estemporanei, dettati dall’immediatezza del fatto o reattive a una polemica, inserirli nella più ampia intelaiatura del lavoro processuale, nell’istruzione, elaborazione e formalizzazione delle sue sentenze, contribuirà a coglierne tutto il valore letterario, giuridico e 'scientifico' ne farà apprezzare l’esattezza formale di uno stile che è la più ampia, progettuale e fertile lezione di vita, di fede di appassionata testimonianza, per amore e solo per amore, verso la Legge e la Giustizia.