Il furto delle Sette Bare. Misterioso colpo della Banda dei Sepolcri

18 febbraio 2019, 15:38 100inWeb | di Vito Barresi

Una tipica scena da capolavoro della grande letteratura Horror? Il ritorno della spaventosa setta dei Resurrezionisti? O soltanto più spregevoli ladri di cadaveri? E se, invece, si trattasse di misteriosi trafugatori di salme che circolano liberamente nell’ormai abbandonato territorio del sacro dove non vi è alcuna vigilanza nè sicurezza pubblica? Intorno all’abile e preciso furto della Banda dei Sepolcri che ha estumulato sette salme in un sol colpo, agendo indisturbata nel ‘silenzioso’ cimitero di Vibo Valentia, si infittiscono gli interrogativi. Al vaglio tante ipotesi sul quanto meno ‘stranissimo’ furto avvenuto non nel cimitero di Praga, memorabile narrativa firmata Umberto Eco, neanche nell’Umile Cimitero, bel racconto di epoca sovietica di Sergeji Kaledin, ma nel più marino, tirrenico, mediterraneo camposanto di Vibo Valentia. Quanto accaduto è noto. Sono state trafugate non una ma ben sette bare dalla cappella gentilizia di una storica famiglia del vibonese. Non una sola salma bensì uno stock di ben sette feretri, un cospicuo ‘corpus’ genealogico che lascia pensare non ad una ma a molte piste.


di Vito Barresi


Non è ver che sia la Mafia? E allora, se si esclude la ‘ndrangheta dei loculi, se si elimina il traffico ‘anatomopatologo’, cosa resta dei resti trafugati, se non la nebbia oscura di un mistero che si infittisce e tinge di nero ancor di più questa strana vicenda?

Perchè ciò che desta sorpresa, davanti alle prime indagini degli investigatori di provincia, sarebbe la sommaria ricostruzione dell’atto sacrilego, stabilire se lo scempio è stato consumato con il facile favore della notte, su cui si solleva la logica obiezione della mancanza di una adeguata illuminazione per centrare le picconate, smontare i marmi, scaricare a parte il materiale lapideo, a meno che tutto si sia svolto al chiarore di una luna piena, che come da copione ha sempre brillantemente cosparso di luce soffusa le più classiche scene ossianico e sepolcrali.

E se l’estumulazione plurima non è avvenuta di notte, questo potrebbe significare che il crimine è stato commesso in tempo diurno, complice per qualche via invisibile chi ha dato una mano in pieno giorno e che certo per agire avrebbe avuto bisogno di appositi filtri, sia della vista che dell’udito, mascherando il tutto nel tumulto di lavori di ordinaria manutenzione, sotto gli occhi distratti dei fruitori quotidiani dell’ombra silente dei freddi cipressi.

Tanto che la manovra di cantiere si concludeva in ‘sicurezza’ con la definitiva rimozione dei nomi dei defunti dalla lapide e l'offuscamento del cancello gentilizio in ferro battuto coperto da un telo che nascondeva, elemento non di poco conto, persino un nuovo lucchetto.

Si indaga con procedura riservata e persino felpata, per gli innesti di privacy e pubblicità, che la faccenda potrebbe serbare, sulla concatenazione dei passi effettuati dai malviventi.

Cioè le tracce lasciate ‘in loculi’, le impronte su cui gli investigatori stanno riflettendo come davanti alle caselle vuote di un cruciverba funerario.

Tutti applicati alla soluzione di un rebus che rivendica la rilettura critica de ‘a Livella’ di Antonio De Curtis, per suggerire percorsi e modalità, in breve, lo studio della ‘meccanica’ del misfatto, trattandosi di un’azione articolata e complessa, una vera e propria estumulazione plurima che richiede tecniche specifiche e braccia robuste, un certo numero di addetti al lavoro, molto specialistico, per altro effettuato non grossolanamente nè in maniera rozza e distruttiva, ma con vari mezzi e strumenti di edilizia.

Vi è poi da esaminare la fase finale del delitto, ai sensi del codice penale e dei regolamenti di polizia funeraria, se e come dopo la sottrazione e il vilipendio della salme, si è dato luogo ad un trasporto furgonato, in tal caso in forma di vero e proprio convoglio funebre clandestino trattandosi non già di una bensì di sette bare.

Non vogliamo esagerare ma cosa aggiungere ulteriormente a questa ennesima conferma che in Calabria, nel vibonese, lo Stato non controlla più il territorio, nemmeno quello ‘sacro’?

Senza alcuna enfasi additiva, non fosse altro perché si rischia di debordare in quel genere immenso che si chiama Horror, siamo di fronte ad una notizia che mette in evidenza la condizione di abbandono in cui ‘giace’ una regione completamente sbandata, dove tutte le marcature pubbliche sono saltate, in cui non vi è più alcun controllo integrale volto a prevenire atti illeciti di simile portata.

Aspettiamo per questo le pennellate di un immaginifico gotico mediterraneo a firma di Camilleri che certo ambienterebbe in quel camposanto un bel romanzo per il suo straordinario detective, Commissario Montalbano.

Anche se in questo caso a mettere la parola requiem sull’enigma sono impegnati i solerti militi della locale compagnia dei Carabinieri di Vibo Valentia, guidati dal capitano Gianfranco Pino e quelli della Stazione agli ordini del maresciallo Riccardo Astorina.