Sylvia Beach l’avventura intellettuale di una fascinosa libraia nella Parigi degli Anni Venti

Mentre in bus supero le due torri, termino Shakespeare and Company di Sylvia Beach (Neri Pozza, tradotto da Elena Spagnol Vaccari, 282 pagine, 14,50 euro). Le ultime scene narrate dall’autrice non le dimenticherò mai. Racconto ad amici che lavorano in centro che sono commossa perché ho appena finito un bel libro e mi domandano il titolo. Ne avevano già sentito parlare, era già stato consigliato. Il passaparola è un metodo tra i più efficaci per promuovere i libri.


diPatrizia Muzzi

Mi chiedo se tra le “bambine ribelli” ci sia anche lei. Perché la vita di Sylvia Beach non è stata solo incredibilmente ricca di incontri straordinari, ma anche di disavventure e di grandi sofferenze affrontate con un coraggio di cui pochi esseri umani sono dotati.

Parigi negli anni venti è una sorta di avamposto culturale americano in Europa. Il proibizionismo negli states fa la fortuna della capitale europea: gli intellettuali americani (anche gli inglesi e gli irlandesi) fuggono tutti lì. Sylvia Beach apre una libreria inglese sulla riva sinistra della Senna, prima in rue Dupuytren 8, poi al numero 12 di rue de l’Odeon. In breve tempo quel luogo diventa un vero e proprio punto d’incontro per scrittori, poeti, pittori, fotografi, sceneggiatori, registi. Ernest Hemingway, Ezra Pound, Gertrude Stein, Scott Fitzgerald, Mina Loy, Sherwood Anderson, John Dos Passos ma sopra tutti James Joyce.

Sono quelli che Sylvia stessa nel tempo definirà come la “ghenga”. Quelli con cui girerà per caffè, teatri, cinema e frequenterà i ring di Parigi. Dai suoi racconti, si evince la grande generosità con cui la maggior parte di questi intellettuali ed artisti si sono aiutati e sostenuti quando era necessario promuovere le proprie opere, un altruismo che ai giorni nostri pare quasi irreale.

Questo non è solo il racconto di una libraia, ma di una donna controcorrente (anche nella vita privata) che decide di pubblicare l’Ulisse, opera avversa e controversa, di cui nessuno si sente in grado di sostenere il peso. Perché è il rapporto che Beach ebbe con Joyce, la parte preponderante di questo libro. Sylvia si trasformerà in qualcosa che definirei come un vero e proprio impresario di Joyce, supportando lui e la sua famiglia anche a livello economico “perché era giusto così”.

Sotto il suo sguardo di giovane americana a Parigi, i grandi mostri sacri della letteratura si trasformano da figurine in bianco e nero in persone reali, con tutte le loro ansie, tic, cortesie, esplosioni di gioia, problemi di salute, ingenuità. Non spicca solo il rapporto che Beach ebbe con Joyce ma anche con altri autori come Hemingway di cui fu la prima editrice.

Durante la seconda guerra mondiale, Sylvia decide di rimanere a Parigi invece di fuggire come la maggior parte delle persone. Racconta della Parigi deserta, dell’occupazione dei tedeschi e della strenua difesa del suo negozio di libri e delle opere più importanti che custodisce. Cita anche la sua deportazione in un campo di concentramento, la attraversa quasi come un episodio di poca importanza, forse per sprezzo o forse per non rievocare il dolore, chi lo sa…

Ripensando alle sue scelte, senza di lei le nostre librerie casalinghe e mentali avrebbero avuto un altro aspetto. Quanto possano incidere, a volte, le nostre decisioni sul corso della storia, forse non se ne è resa conto nemmeno lei, quando ha tenuto tra le mani per la prima volta la copertina verde de l’Ulysses.

In questi giorni leggevo un discorso che Zadie Smith ha scritto in occasione del Festival delle Letterature di Roma nel 2013 intitolato Creatività e rifiuto:

A mio parere, un vero «Creativo» non dovrebbe accontentarsi di soddisfare una domanda preesistente, ma dovrebbe modificare la nostra idea di ciò che desideriamo. Un’opera d’arte forma il pubblico che le è necessario, crea un gusto per se stessa. In questo senso, al cuore della creatività si trova il rifiuto. Perché un’opera veramente creativa evita sempre di vedere il mondo come lo vedono gli altri, o come viene generalmente descritto.”

Molti degli autori proposti da Sylvia Beach, dunque, potremmo definirli Creativi con la C maiuscola. Senza la sua lungimiranza e capacità di imporli sul mercato però, chissà dove sarebbero ora le loro parole scritte.

Forse in pochi sanno che l’attuale Shakespeare and Company situata al 37 di rue de la Bûcherie, appartiene alla sua omonima Sylvia Beach Whitman, figlia di George Whitman che ha voluto fare rivivere quel luogo leggendario in uno degli angoli più belli di Parigi.

Ci sono tante piccole storie in questo libro che scorre veloce, storie di resistenza e di lotta, ma soprattutto la storia di quella Parigi che rimarrà per sempre scolpita nell’immaginario collettivo, fatta di arte e di grandi speranze.