La Grande Russia Portatile. Nuovo romanzo di Paolo Nori

La Grande Russia Portatile non è una guida Lonely Planet e questa non è una recensione. Era per mettere subito in chiaro le cose. Scriverò invece alcuni appunti in libertà.Sergej Dovlatov, che era uno che i libri li scriveva, diceva che «il ruolo e la sfera d’azione dello scrittore, in Russia, sono sempre stati molto rispettati», perciò dire di sé «Io sono uno scrittore» è sempre stato considerato, in Russia, una cosa indecente, come dire di sé «Io sono bellissimo».


di Patrizia Muzzi

Bene. Quando ho letto questa cosa, ho pensato a quante volte mi hanno detto che dovrei dire che sono una “scrittrice” e non ci riesco, proprio non mi viene, e non credo che sia perché qui in Italia il ruolo e la sfera d’azione dello scrittore siano così rispettati, ora so che non riesco a dirlo perché in Russia, il ruolo e la sfera d’azione dello scrittore, sono sempre stati molto rispettati.

Quando compri un uccello, guarda se ci sono i denti o se non ci sono. Se ci sono i denti, non è un uccello. Daniil Charms

Mi è sembrato un ottimo consiglio.

Quando stanno morendo, i cavalli respirano, Quando stanno morendo, le erbe si seccano, Quando stanno morendo, i soli si bruciano, Quando stanno morendo, gli uomini cantano delle canzoni. Velimir Chlebnikov

Tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni ottanta, i russi leggevano più letteratura non pubblicata (samizdat) che pubblicata. Circolavano dattiloscritti clandestini battuti a macchina passati tra amici, e man mano che la qualità della carta si riduceva, si imparavano a memoria.

“…un periodo in cui leggere testi pubblicati, testi cioè per i quali c’era stato il consenso della censura, era considerato di cattivo gusto…”.

E a me è venuto il pensiero che anche qui in Italia, ora, facciamo la stessa cosa con la musica.

“… Il fatto di conoscere bene l’italiano, in Italia, non era una cosa normale che succedeva a tutti i madrelingua, era una cosa speciale che succedeva a chi aveva avuto la possibilità di studiare, e mia nonna, per dire, che veniva da una famiglia povera, e che erano diciassette fratelli e sorelle, era andata a lavorare, a servizio da un generale, che aveva nove anni, per aiutare in famiglia, e per quello non era riuscita a studiare, aveva fatto la seconda elementare, e quando sentiva, per radio, per televisione, qualcuno che faceva un discorso difficile, con un lessico complicato e una sintassi articolata che lei non capiva molto bene, la sua reazione, di solito, era ammirata, diceva: «Ha parlato come un libro stampato», perché i libri stampati, secondo lei, erano scritti da quelli che avevano studiato e erano da ammirare, perché sapere l’italiano era un segno distintivo, voleva dire avere studiato e esser stati bravi a scuola, questo in Italia all’epoca di mia nonna, dagli anni dieci agli anni novanta del Novecento…”

Mentre leggevo, pensavo alla mia, di nonna, e alle sue lettere d’amore che avevo appena trovato in cantina. Aveva sei fratelli e da bambina era arrivata da Rocca San Casciano a Bologna a servizio da un medico per aiutare la famiglia e non era riuscita a studiare e le sue lettere d’amore le scriveva per lei un’amica.

“… e nei teatri, di Mosca, le donne entravano con gli stivali di gomma e in una borsa di plastica avevano le scarpe coi tacchi, e si cambiavano le scarpe nella hall e mettevano gli stivali di gomma nella borsa di plastica e li lasciavano in guardaroba..”

Che non mi ha fatto venire in mente niente ma mi è sembrata un’immagine così commovente da doverla condividere.

“… e gli uomini giravano sempre con un pettinino in tasca…”

Anche mio nonno girava con un pettinino in tasca e forse anche mio padre, almeno fino alla fine degli anni ’70.

L’insalata russa, in Russia, la chiamano Olivier.

D’ora in poi proverò a chiamarla così anche io.

(Una volta conobbi un manager che organizzava concerti in Russia e in altri Paesi dell’est. Mentre faceva bancomat, mi accorsi che aveva almeno una decina di carte di credito e gli domandai se era una spia. Poi è morto. Non so perché io ci abbia pensato.)

“Il poeta, secondo Šklovskij, è quello che sposta le insegne, è quello che istiga la rivolta delle cose.”

Ho pensato al mio compagno. Magari un giorno, in un qualche paese sperduto del mondo, dove le persone soffrono davvero come hanno sofferto in Russia, scatterà una rivolta grazie alle sue canzoni tradotte clandestinamente. Sarebbe bello. Sarebbe bellissimo.

A proposito di posto fisso. Dipendente, part pass. di dipendere, dal latino depèndere: «pendere da»

«E tu vuoi che io penda da?» mi chiede spesso il mio compagno. Ora che ci penso, il mio compagno e Palo Nori hanno molte idee in comune.

Tratto da Auschwitz

“E allora bisogna poi stare attenti, ho detto in Polonia nel 2009. Cioè secondo me il rischio è di trasformarci tutti in strumenti. Delle belle vanghe. Belle luccicanti. Son molto utili, le vanghe.

Che adesso io non lo so, ma pensateci, ho detto, c’è qualcuno di voi che nel 1940 si sarebbe preoccupato degli ebrei? Ecco, quei due o tre che se ne sarebbero preoccupati, ma preoccupati veramente, dico, son le persone, gli altri, che siamo qui, siamo tutti delle vanghe.

Perché quello che ci muove a andare a visitare i campi di concentramento oggi, quella cosa che sta in alto, e che ha istituito il giorno della memoria, nel 1940 ci avrebbe mosso in una direzione opposta e contraria e noi, esclusi due o tre avremmo ubbidito.

Tra le braccia della Storia, avremmo fatto il nostro lavoro docili e utili come delle vanghe. Mi dispiace, ho detto, ma avremmo fatto così, secondo me.”