A Praga dove l’amore inciso nel cuore vive per sempre

Ryanair è puntuale e Il Golem è il libro perfetto per la durata del volo. La favola di Singer mi ricorda quella popolare de La bella e la bestia. Qualcosa che non capisco sul momento di quel racconto, fa breccia nella mia fantasia. Al nostro arrivo il cielo di Praga è coperto da grosse nubi in movimento.


Patrizia Muzzi | Cambio Quotidiano Social

Quando in hotel la receptionist legge sulla carta d’identità il nome della via dove abito, si mette le mani tra i capelli e chiede conferma: “Really?”. Per un attimo non capiamo. L’indirizzo è quello vecchio: Vladimir Ilic Ulianov Lenin. Il mio compagno aggiunge che sì, la via si trova accanto a quella dedicata a Marx. Io cerco di spiegarle che a Bologna, un tempo, eravamo tutti comunisti e che da noi, quella roba lì, è stata tutta un’altra storia. La donna accetta la nostra approssimativa spiegazione per dovere e procediamo con il check-in, ma il suo sguardo la tradisce.

Le attese su Praga sono elevate. Le frasi degli amici prima della partenza sono state: ‘seconda solo a Parigi’, ‘una città da favola’, ‘veramente meravigliosa’… Fingo di non aspettarmi nulla e per una volta non cerco troppe informazioni sulle guide. Vediamo dove ci porta la strada. La cosa funziona solo in parte, perché in mezzo al flusso ininterrotto di gente sei costretto a lasciarti governare dalla massa più che dall’istinto. Siamo a due passi dal famoso orologio astronomico che dopo seicento anni di lavoro ininterrotto ha deciso di rifarsi il make-up proprio quando dovevo arrivare io. Pazienza.

Un proiettore simula sulla torre la sfilata degli apostoli. Siamo nel cuore della città vecchia e mi affaccio sulla piazza. Un caldo opprimente mi fa gocciolare la fronte mentre cerco di coprirmi gli occhi con le mani per osservare meglio le facciate dei palazzi. Temo che Praga stia pagando il fatto che poco tempo prima io abbia visitato le piazze di Bruxelles e Bruges. È sicuramente bellissima, ma non come avrei pensato.

Ci lasciamo nuovamente guidare dal flusso di asiatici e finiamo sul Ponte Carlo: la vista è splendida. La Moldava, il castello sulle colline, la città piccola che ci guarda adulatrice, tutto è perfetto. Come primo giro può bastare.

La visiteremo meglio il giorno seguente. Propongo di rientrare a Stare Mesto (la città vecchia). Passeggiando su un altro ponte finiamo diretti nel quartiere ebraico. Facciamo una sosta per berci una birra fresca in santa pace e un signore di una certa età, che mi ricorda molto Ernesto Calindri, chiede di sedersi accanto al nostro tavolino. Deve esser un abitué: ordina un sigaro di ottima qualità e ci osserva sornione. Il mio compagno cerca di innescare una conversazione ma non funziona.

Lui si gode solitario il fumo e la pausa. Dalla cartina scopro che il cimitero di Praga è vicinissimo e decidiamo di visitarlo. Il signore della biglietteria porge la kippah a Germano: ha gli occhi di ghiaccio ma lo sguardo simpatico, ha un testone enorme e i capelli bianchi e lisci fino alle spalle. Sorride e fa una battuta. La cosa mi spiazza, visto il luogo. La prima sinagoga che visitiamo, porta sui muri i nomi di tutti gli ebrei cechi e moravi vittime delle persecuzioni naziste. Uscendo finiamo nel cimitero.

Le lapidi sono incastrate una accanto all’altra, consumate dal tempo e ricoperte di muschio. Su alcune sono ripiegati piccoli fogli di carta fermati da sassolini. Le lapidi sono migliaia ma si suppone che i corpi sepolti siano più del doppio. Al tempo, i Gentili, concessero agli ebrei di poter seppellire i propri cari solo in quello spazio ristretto.

Mentre cammino, mi accorgo che un uomo è appoggiato a una lapide, forse sta recitando il kaddish, la preghiera dei morti. Porta i payot, i boccoli che scendono dalla sua kippah. Indossa un gilet nero e una camicia bianca.

Riesce quasi a ignorare il gruppo di turisti che si ferma con l’immancabile guida, proprio davanti a lui. Mi domando se sia un rabbino o un semplice credente. Capisco che dell’ebraismo non so nulla. Sembra molto compreso in sé stesso. Era da molto tempo che non vedevo qualcuno pregare con quella intensità.

Per un istante mi fa tenerezza, rivedo in lui la me stessa che credeva in dio e che pregava con la stessa intensità nella Basilica di Assisi. Come per altre città, la notte premia il paesaggio e tutto acquista un’aura fiabesca. ‘Non credo che digerirò mai la cotoletta di formaggio ricoperta di salsa speciale preparata da Lokal’ penso mentre una tipa di sessant’anni si fa una canna seduta accanto a me.

La giornata successiva è molto impegnativa: visitiamo il complesso di Mala Strana (la città piccola) da cui si domina la città. Il cielo è azzurro e il panorama ti strega. Gli asiatici sono in fila a centinaia. Tra di loro, molti giovani sono lì per il servizio fotografico matrimoniale. I look sono tra il punk e il gotico, il classico da principessa e quello da protagonista di soap opera (esistono ancora?).

Non so se apprezzare il coraggio o farmi prendere dallo sconforto. Bellissima l’antica libreria di Strahov all’interno dell’omonimo monastero. Mi piace questa parte della città meno assaltata dai barbari, più luminosa e più accogliente. L’aria qui è di tipo andaluso. Proseguiamo il percorso nel parco nel quale hanno deciso di riprodurre una piccola tour Eiffel di dubbio gusto.

Ridiscesi a Stare Mesto ci infiliamo in una bottega per mangiare un panino. Il tizio ha il solito modo dei praghesi: prima serio poi si lascia scappare un sorriso. Forse siamo noi due a spaventare i cechi o forse è il loro stile, chi lo sa.

La sinagoga spagnola ci attende. Il caso vuole che l’ebreo incontrato al cimitero il giorno prima sia nuovamente con noi. Domanda al mio compagno di fargli una foto davanti all’altare. Io l’ho appena fotografato di nascosto mentre guardava serio verso il soffitto come a cercare qualcosa o qualcuno, forse una speranza o forse, come noi, osservava semplicemente la bellezza. Parla francese, ha le movenze di un ballerino, sembra a casa sua e in fondo lo è. Domina lo spazio come se quello fosse il suo spazio mentre noi turisti siamo tutti impacciati.

Piazza Venceslao è il luogo per chi ama fare shopping e ricca di immense librerie. Entro in una di queste e mi domando quanto ancora riusciranno a resistere. Tra gli scaffali svettano i volumi di Paolo Coehlo e il libro delle famigerate ‘Bambine Ribelli’ che, visto il successo planetario, evidentemente sono represse a tutte le latitudini.

Ci concediamo una pizza in un ottimo ristorante gestito da italiani. Uno dei camerieri è di Bologna e abbiamo amici in comune. La Terra è così piccola, la malinconia è così grande. A volte si decide di restare lontani da chi non ha saputo offrire quello che cercavamo.

Una ragazza rotola dentro una sfera di plastica sulla Moldava assieme al suo fidanzato, un uomo fa esercizi in mutande sotto a un monumento, un gruppo di ragazzi ubriachi festeggia la vittoria della propria nazionale, un’altra coppia di sposi asiatici si fa fotografare sul Ponte Carlo, una vecchia indiana mi sorride seduta su una panchina.

Il tempo cambia mentre ripercorriamo la via del rientro: da 35 a 15 gradi.

Dove sarà l’ebreo? Starà ancora pregando in sinagoga? Starà danzando davanti al suo dio o, come il Golem, starà cercando la sua Miriam?

“L’amore, una volta inciso nel cuore, non può più essere cancellato. Vive per sempre.” (Il Golem, Isaac B. Singer)


Foto di GERMANO BONAVERI