Martin Scorsese nella Nuova Luce del Cinema Ritrovato a Bologna

Suscita molti rimbalzi e più di una rifrazione interiore, inseguire le visioni e la riflessione di un grande cineasta, Martin Scorsese, su quel che era Manhattan, tra immaginazione e realtà, prima del terribile caos terroristico dell’11 settembre. Da che le “Phantom Towers” più non sono, nell’immenso squarcio di ansia e spaesamento che si è aperto nella psiche collettiva americana, tornano a rifluire le immagini perdute di un tempo mitologico, quasi l’originario contro piano ad un gigantismo urbano, da sempre, nell’immaginario filmico, automaticamente evocativo d’ogni profezia di catastrofe e annientamento.Scorsese a Bologna il 23 luglio 2018 in Piazza Maggiore apre, presentando la proiezione di Enamorada, il film di Emilio Fernandez del 1946, la rassegna felsinea "Il Cinema Ritrovato".


Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social


Nel suo film, Gangs of New York, girato prima del ‘Ground Zero’, Scorsese, ci raccontava la storia della sua città, con sguardo incantato e mente staccata, per come era alle origini ottocentesche.

Cioè quando ancora Manhattan era un luogo vergine e lo skiline dei grattacieli neanche un sogno di un anonima folla solitaria. Dove le bande dei nativi, i WASP protestanti e anglosassoni, erano dedite a fronteggiare con violenza le ondate migratorie dei cattolici irlandesi, poveri e analfabeti.

Le intuizioni storiche del cineasta italo-americano apparvero fulminanti. A tal punto convincenti da ricolmare, e non solo per tutta la durata del film, quel vuoto simbolico, infarto al cuore della Grande Mela, dove ancora non si è dissolta l’ombra di un mondo che più non tornerà innocente.

Ecco, adesso che Martin Scorsese arriva a Bologna per aprire la rassegna estiva Cinema Ritrovato è il caso di rileggere più volte il monologo “Filmare New York” che, filo tesissimo, rilega ogni parte di un densissimo saggio di scritti sul cinema, “Il bello del mio mestiere”.

Il regista di un opera cult, “New York, New York”, straordinariamente interpretato da Liza Minnelli e Robert De Niro, è forse stato uno dei pochi intellettuali critici che ci ha aiutato a sorprendere la vita americana nella prospettiva di una nuova luce, mentre da quelle parti il cielo blu terso (“severely clear”, nel gergo aeronautico) diventava di giorno in giorno goticamente più opprimente.

Nato a ‘Little Italy’, tra gli operai e i piccoli borghesi di questo tipico quartiere di immigrati mediterranei, Scorsese ha riassunto ogni sequenza autobiografica del proprio vissuto esistenzialista. Non per studio filosofico, e neanche per scelte ideologiche. Chè lui crede nei sentimenti degli uomini, forte di una radicale convinzione, per cui tra società e vita, cinema e realtà non c’è iato, quanto una corrente continua che si avviluppa ad intreccio, un cordone ombelicale perennemente autenticato dall’incessante vitalità dei personaggi dei suoi racconti.

Costantemente in cerca di un’autentica narrativa filmica, Scorsese fa leva essenzialmente sulla forza stessa di una storia. La rottura con le convenzioni letterarie del vecchio secolo, che spaccavano un film in tre atti, si consuma attraverso la scelta di protagonisti stagliati, con volti e sagome potentemente espressivi, anche se mai neorealisti.

Sul vagotonico confine tra amicizia e lavoro, ammirazione e professionalità, Scorsese affidò a Robert De Niro il titanico ruolo d’infrangere ogni linearità, sabotare nelle trame, le ragioni imperialiste del tempo e dello spazio, l’illogica di uno ‘star-sistem’ in cui vige la regola di sovrappore la faccia alla sostanza, la finzione alla verità.

Composta secondo una tecnica sequenziale, ma non per questo disorganica, in un saggio originariamente apparso in Francia per “Edition Cahier du cinéma”, si presenta in tre scansioni (Scorsese privato, Scorsese cinefilo, Scorsese al lavoro) l’intera opera cinematografica di un talento originale e vigoroso.

Ripassata al setaccio, la sua biografia si fissa alla moviola, oltre ogni incoerenza stilistica, una personale, tormentata e appassionata visione del mondo. Colpisce, il dialogo diretto e talvolta introverso con più di una generazione del cinema americano ed europeo.

Stupisce, per tasso di spettacolarità l’agendina delle molteplici relazioni, le amicizie dirette incise in un circolo virtuoso in cui ha coltivato un’indomita e mai sopita genialità.

Forse proprio perché cresciuto in una casa dove non c’erano libri e in cui i genitori non parlavano di politica, l’intero opus cinematografico di Scorsese ha un timbro fortemente sociale, senza per altro scadere in trappole moralisteggianti.

Tutte le sue storie (Taxi Driver, Mean Streets, Toro Scatenato, L’ultima tentazione, ecc.) esplicitano la forte inclinazione ad inquadrare il campo proprio come nella ripresa dal vivo di un inchiesta sociale.

Raccontando se stesso, Scorsese ci incanta attraverso risonanze infantili, la sensazione di penetrare un mondo magico, un luogo che dilatò gli orizzonti della sua immaginazione. Quanto è bastato per segnare il destino di un’autore, il cui merito è di aver tracciato un solco di innovativa asciuttezza nel cinema americano.