Il silenzio di Roberto Fico di fronte al devastante intreccio tra ‘Ndrangheta e Razzismo

12 giugno 2018, 14:57 100inWeb | di Vito Barresi

“Io non sono un membro del Governo, io sono la terza carica dello Stato e porto la solidarietà dello Stato Italiano alla famiglia di Soumalja...” Un messaggio preciso, istituzionale, pronunciato da Roberto Fico senza mai dire la parola Razzismo.Una riserva, un Tabù, un ossequio al politically correct di questo governo che vede sicuro sulla plancia di comando il vice presidente Matteo Salvini, il conducator, che tutti chiamano il 'Pescecane', lo Squalo mangia migranti? Eppure Fico non stava né su Marte né sulla Luna ma a San Ferdinando, nel luogo simbolo dell’Apartheid italiano Sud Italia, boccaporto d’ingresso di un flusso continuo di migranti africani e asiatici, avamposto interetnico tra i più grandi ed emblematici dell’intera Europa Mediterranea. Come si sa dai manuali la comunicazione si realizza in eventi che hanno luogo in un contesto situazionale. Ecco perché, qui e non altrove, più forte avrebbe potuto riecheggiare, non la voce roboante e antitetica di Salvini, ma il logos della solidarietà, della libertà e della fratellanza. Il suono e non il silenzio dei lemmi assoluti e prioritari contro i preconcetti razziali, le prenozioni xenofobe, le distorsioni delle post politiche dei governi contemporanei, ivi compreso quello italiano.


Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social

Figura politica di primo piano del nuovo sistema di potere emerso immediatamente dopo il voto plebiscitario di marzo 2018, Fico ha fatto visita in Calabria senza mai pronunciare una sola parola di condanna, denuncia e vigilanza contro il razzismo e la xenofobia.

Proprio qui in terra di ‘ndrangheta, omertà, mafia imprenditrice e caporalato agrario, si attendeva, comunque, un pronunciamento più connotato e significativo su un tema sempre più rovente e prioritario. Non fosse altro per restare sulla stessa lunghezza d’onda tracciata dal Presidente del Consiglio Conte con lo slogan (pur discutibile) “siamo populisti ma non razzisti”.

Ma Fico non lo ha fatto. Una rimozione la sua, una scelta comunicativa studiata e deliberata per real politik, politique d’abord, convenienze ed equilibrismi tra poteri dello Stato?

Oppure, e questo sarebbe ben più preoccupante, l’assenza in lui e nella sua forza politica di appartenenza di un tema dirimente nelle basi politiche di questa sagomata e qualificata a destra coalizione di governo?

Il discorso di un politico ha sempre un valore ben preciso. Sopratutto nelle nostre democrazie che richiedono nell’esercizio di ogni pubblica comunicazione il rispetto delle regole del politically correct.

Per cui anche il tacere sul pericolo del razzismo, il denunciare, il condannare e lo stigmatizzare il deprecabile fenomeno, rischia di mettere in evidenza, anche enfaticamente, un silenzio eloquente, un’obliterazione che altro sarebbe un’artificio retorico utilizzato per non dire, non incorrere in errori, non sbagliare bersaglio, raggiungere effetti pragmatici e obiettivi tattici pre delineati.

Ancor di più, nella patria di Tommaso Campanella, dove il bel Fico avrebbe dovuto riprendere il biblico urlo Propter Sion Non Tacebo, delimitare l’emergenza di San Ferdinando ai soli diritti sindacali, glissando del tutto sul pericoloso intreccio tra violenza ‘ndranghetistica e pogrom razzistico, per come si è manifestato a San Calogero con l’assassinio di Sacky Soumalja, appare ancor più preoccupante, in quanto potrebbe adombra un riscontroconcettuale non solo di un vuoto mentale ma anche di un sottostante paradigma ideologico.

Fico si è esclusivamente e diffusamente soffermato sulle arance affermando testualmente che“qua parliamo dei diritti dei lavoratori, è una questione assoluta di diritti dei lavoratori, perché noi siamo in una Piana che produce agrumi, che produce delle arance che sono meravigliose durante l’inverno e quindi le aziende agricole devono avere i braccianti per il lavoro. Ma i braccianti, che siano migranti col permesso di soggiorno o italiani, devono essere garantiti al cento per cento nei loro diritti e quindi nelle paghe”.

Il suo silenzio sulla parola Razzismo rischia di assume il vago senso di un vero e proprio tabù linguistico, che nel linguaggio della politica potrebbe altrimenti essere un pudore, una censura, una cautela, un tatticismo, un opportunismo, una mancanza di collegamento, una sospensione concettuale del principio, cioè avere un determinato altro senso.

Tutto ciò potrebbe anche voler dire che il Presidente della Camera abbia volutamente ricercato questa elisione dal discorso sul razzismo, ciò per Ragion di Stato, non solo astenendosi dall’esprimere la sua posizione sui nuovi pescecani della politica che infestano le acque del Mediterraneo, ma parlando d’altro, di arance. Sminuendo e negando importanza, priorità, eclatanza e visibilità, al più grave e pericoloso rigurgito di un dilagante razzismo in terra di ‘ndrangheta.