Leggendo sotto un Faro del Mediterraneo il Breviario di Predrag Matvejević | Patrizia Muzzi

Erano diversi anni che desideravo leggere Breviario mediterraneo di Predrag Matvejević (Garzanti, 2006) e finalmente la biblioteca di Corticella di Bologna mi ha regalato questa opportunità. Ci sono stati momenti in cui pensando all’Europa mi sono domandata se io mi sentissi davvero cittadina europea. Cosa significava per me essere europea? Parlare una lingua comune? Avere una moneta comune? Condividere una stessa fede religiosa? Possedere una formazione culturale comune? Ero davvero più simile a un polacco, a un danese, a un estone che a un cinese? Seduta accanto a loro, li avrei percepiti assonanti? Calpestando la loro terra, mi sarei sentita come a casa?


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Erano domande un po’ ingenue e allora non avevo trovato una risposta vera e propria. Pensandoci un po’ su, mi sentivo parte di un’altra ‘famiglia’, quella del mediterraneo. Forse era questo il motivo per cui avevo bisogno di leggere Matvejević: per capire se nel suo saggio, avrei trovato un’origine, la mia, la risposta al perché io mi sentivo di appartenere a una civiltà diversa da quella a cui per decreto appartengo, fatta soprattutto di mare, separata e unita da un elemento liquido.

La prefazione di Claudio Magris vale di per sé la lettura. Quando conobbi il mio compagno cantautore, conobbi anche la parola ‘portolano’ che si trova in uno dei suoi testi. Portolano, secondo Treccani, significa elencazione metodica dei porti di una determinata regione, contenente la descrizione minuta dei fondali, delle coste, delle correnti, delle maree, dei venti, dei segnali, ecc. Altra magia che mi lega al mare quella delle antiche mappe nautiche, di cui narra ampiamente Matvejević poiché, dice, la storia dei viaggi non può essere separata da quella delle carte.

Ti senti stupido e gretto nel leggere il suo saggio, acquisti consapevolezza della tua ignoranza, di quanto la narrazione attuale ci voglia divisi, crei il nemico, il diverso, l’immigrato, l’extracomunitario. Abbiamo davvero aperto i confini o vi abbiamo costruito sopra barriere ancora più grandi e inaccessibili? Immigrato è un termine che ha acquistato col tempo una accezione negativa (come ‘compagno’ e ‘anarchico’). Forse dovremmo parlare di viaggiatori, persone che da sempre si sono messe in cammino per i motivi più disparati: scappare da una guerra, dalla carestia, per migliorare le proprie condizioni di vita, per il commercio, per conquistare, per cercare sé stesse… evidentemente il numero ha fatto la differenza e ci spaventa.

Non si può riassumere un libro come questo, sarebbe riduttivo, come lo sarebbe un’unica definizione di Mediterraneo. Quante lingue (in nessun altro luogo al mondo abbiamo tanti alfabeti), quanti mestieri scomparsi legati alla navigazione, quanti modi diversi di dire la stessa cosa, quante cose diverse il cui nome ha origine dalla stessa parola, quante vite perse nelle profondità ora come allora (forse ci sono più navi sepolte nelle profondità che in superficie).

L’ulivo, il fico, il carrubo, il mandorlo, l’arancio, il limone, la lavanda, il rosmarino, gli oleandri, le agavi, il melograno, la salvia, le tamerici, il mirto, le palme, la cipolla e l’aglio, i pomodori, la ginestra, l’alloro, la vite, la mandragora, il basilico… dove cessa una specie, inizia l’altra e a volte convivono. L’olio, il vino, il pane, l’aceto, anche questo è il Mediterraneo.

“Volevo cogliere pure la rosa di Gerico, dagli Arabi detta zaharat ariha. È quasi sempre nascosta. Il sole la secca. Il vento la fa sparire. Il deserto la espone al sole e al vento salvandola dall’uno e dall’altro. Essa si trasforma in una briciola simile a un insetto morto; e così, a dispetto di tutto, riesce a sopravvivere. Talvolta vive per una decina di anni. I Beduini la riconoscono tra i granellini di sabbia, la estraggono e la conservano. Senza di loro non l’avrei mai vista. Quando finalmente viene a trovarsi in vicinanza dell’acqua, si disseta e si gonfia. Diventa allora turgida e piena, simile alle nascoste pudende di una nera bellezza africana. La rosa di Gerico e il suo vagabondare dimostrano che il nomadismo sta nella stessa natura. Non è solo una chimera del Mediterraneo.”

Vent’anni fa, un vecchio beduino seduto in mezzo alla sabbia davanti al mare mi regalò una strana radice rinsecchita. Senza sapere bene di cosa si trattasse, nonostante molti mi abbiano poi domandato che cosa me ne facessi di un insulso pezzo di legno sulla libreria, la conservai per anni. Ora so che si trattava di una rosa di Gerico e capisco perché sentivo di doverla tenere con me.

I mercati, i suk, le pescherie come teatri, mercati al dettaglio (kapeleia) o all’ingrosso (emporio), mercati riservati alle donne (agorà gynaikeia), le vie della seta e dei profumi, il commercio del marmo, i bazar e il loro legame con le fiabe… costituiscono l’essenza stessa del Mediterraneo, spiega Matvejević.

La cosa che mi impressiona di più ora che scrivo e che siamo nel 2018 in Italia, è la netta percezione di come stiamo rinnegando il nostro passato arabo, forse perché alla parola arabo associamo la parola islam, e alla parola islam associamo la parola nemico.

“È possibile – indipendentemente dal luogo di nascita o di residenza – diventare mediterranei. La mediterraneità non si eredita, ma si consegue. È una decisone, non un vantaggio. Dicono che di veri mediterranei ce ne siano sempre meno. Non c’entrano solo la storia o la tradizione, il passato o la geografia, la memoria o la fede: il Mediterraneo è anche destino.”

Ecco, io non vivo sul mare, non provengo da una genia di marinai, non so se i miei avi lontani fossero fenici o vichinghi, ma sento un legame profondo con il Mediterraneo e credo di avere scelto.