Falcone Lucifero il ‘marchesino rosso’ che divenne Ministro dell’ultimo Re d’Italia

Nato a Crotone il 3 gennaio 1898, Falcone Lucifero, fu certamente tra l’estate del 1943 e quella del 1946, un protagonista di primo piano della nuova democrazia italiana scaturita dalla Liberazione. Discendente da una illustre famiglia della nobiltà calabrese, laureato in Giurisprudenza all’università di Torino, era entrato nel PSI dopo la scissione comunista di Livorno, eletto nel 1921 a soli 23 anni nel Consiglio comunale della sua città guidata dal sindaco Enrico Mastracchi. Oggi nessuno tra i consiglieri crotonesi pare ricordi il concittadino e la bella pagina di storia da lui scritta in densa biografia politica e umana. Tutto ciò nonostante la molto discutibile voga municipalista di intitolare strade e monumenti anche a dubbiose quanto ambigue periodizzazioni storiche. A meno di essere con soddisfazione smentiti dalle locali autorità amministrative, lo stradario attuale non segnalerebbe neanche un vicolo a sua memoria. A Catanzaro, invece, dove Falcone Lucifero, è stato primo prefetto dopo la caduta del fascismo, si trova a lui intitolato addirittura un ingresso principale del capoluogo. Le sue spoglie riposano nella cappella privata del proprio casato, proprio davanti al mare pitagorico che aveva sempre amato.


Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social

Satanasso di un Lucifero, verrebbe da esclamare! Puntuali con il revival neomonarchico, custoditi per decenni senza mai cedere alle ricorrenti lusinghe editoriali, immaginate con un più shakespeariano titolo di “Nella Tempesta”, ecco per Mondadori “L’ultimo Re”, il libro che raccoglie i diari inediti appuntati, tra il 1944 e il 1946, da Falcone Lucifero, Ministro della Real Casa sotto il regno spezzato di Umberto II di Savoia.

Da qui, per estratto, un florilegio di caustici giudizi sui padri fondatori della Repubblica, quasi un’inedita navicella prima che si insedi il Parlamento che non dileggia né dissacra, eccezionalmente annotata da un monarchico che amava aggettivarsi, senza vezzo né leziosità, comunque “contingente”.

Il padre del socialismo italico, Pietro Nenni? Un uomo che ha l’aspetto di un poveretto, modestissimo maestro elementare. L’austero segretario generale del Partito Comunista più forte d’Europa, Palmiro Togliatti? Un gesuita, compito, antipatico, evidentemente ipocrita. Il primo laico presidente del consiglio, Ferruccio Parri? Uomo torbido, settario detto Fessuccio Parmi. Il bieco cavaliere della Repubblica del Nord, Benito Mussolini? Un volgare delinquente. L’illustre e riverito grande scrittore di Calabria, Leonida Repaci? Un conterraneo che mangiò tranquillamente sotto il fascismo. Il presidente della neonata Repubblica, Enrico De Nicola? Un isterico nato, un vigliacco, bisognerebbe squalificarlo. Il fondatore del movimento dell’Uomo Qualunque, Umberto Giannini? Un massiccio e odioso ricattatore, un lestofante. Il capo carismatico del Partito Repubblicano, Ugo La Malfa? L’azionista dalla faccia più antipatica. Lo statista in odor di santità, Alcide De Gasperi? Un piccolo prete che vive nella paura che qualcuno spifferi che si servivano di lui contro Battisti. L’insigne avvocato, Fausto Gullo ? Un ministro di cui si dice non sa nulla di agricoltura. Il padre di Giacomino, Pietro Mancini? Un altro ministro di cui si sparla non sappia nulla di lavori pubblici.

Ritagli di conversazioni, frammenti di dialoghi, scampoli di storia patria foglio dopo foglio, nel perdere la forma di un inventario di personali momenti di vita vissuta si compaginano in una testimonianza autonoma e originale di alto valore umano, storico e politico, illuminando fasi sconosciute e inedite della delicata transizione istituzionale che nel giro di pochi anni liquidò la monarchia per imboccare la strada nuova stagione dello stato repubblicano.

Così tra boccascena e platea, oltre ogni storiografica fumisteria, Lucifero traccia con pastosi ricalchi e più densi ritocchi morali un’immenso affresco, quadro autentico e senza cornici del nascente “quarto stato” nazionale e democratico, che si accingeva ad assumere un definitivo e più stabile profilo ideologico costituzionale.

Affollatissimo già nel proscenio di rampanti e strafottenti, belli e perdenti, mestatori e malfattori , santi e profeti della vita pubblica, raccontati con solida tessitura letteraria da un ‘cronista’ che riesce a coglie, talvolta con arguzia, tal altra con mesta malinconia, la più giusta dimensione della piccola saga politica e in essa il timbro travolgere del destino umano, sfumato nell’ironico ‘non sense’ con cui registra i retorici minuetti dei cerimoniali di stato.

Fitta agenda di giornate epocali, in cui nella notte o all’alba s’acquietano i contrastati sentimenti di giornate campali, in questi preziosi bloc-notes si racchiude un lungo e complesso racconto in presa diretta del tramonto di una dinastia che dilapidò tutti i pezzi dello straordinario patrimonio risorgimentale nazionale.

In queste pagine intense, intessute di trame e sottotesti, si staglia in filigrana il profilo evanescente e diafano, di un principe aitante, pallido, con gli occhi vivaci e dolci, che Lucifero incontrato a Ravello, subendone tutto il fascino, il 6 marzo del 1944.

Personalità per molti aspetti ancora non sondata, Umberto II, rimasto re soltanto sull’omonima “avenida” portoghese di Cascais, riassunse nella parabola del re spodestato tutta l’ambigua “novella” del cosidetto “re di maggio” e al contempo il groviglio di una contradditoria passione popolare verso l’ultimo ma anche primo sovrano dell’Italia antifascista.

Sullo sfondo della “notte monarchica” risalta l’architettura sgangherata di un teatro istituzionale, abbandonato in fretta dal fascismo in rotta, in cui vibrano gli echi di antichi rancori ideologici, le voci di nuovi aneliti di libertà, le scosse di energici rivolgimenti politici di massa, compiegate nei sussurri delle più prosaiche contese per prebende e potere della vecchia classe dirigente di stampo liberale.

Non si pensi, comunque, che questo memoriale sia un concentrato di rivelazioni e sensazionalismi antirepubblicani o il resoconto acidulo di un nostalgico delle insegne savoiarde.

Che, al contrario e come saggiamente avvertono i due curatori dell’edizione, Alfredo Lucifero e lo storico Francesco Perfetti, quest’uomo di vaste letture e di posata intelligenza diplomatica e politica , ha saputo serbare per i regesti di storia nazionale, materiali e notule mai piegate allo stampo partigiano, sempre pure da mende soggettive, mai inficiate né intaccate dal basso conio del revisionismo postfascista.

Senza abiurare alla proverbiale vitalità del nobiluomo cresciuto tra gli atavici sentimenti del blasone e la scelta razionale e laica di una cultura giuridica democratico-borghese diritto, per come egli stesso si biografa, il senso dello stato e la passione civile, memore del suo passato di socialista e democratico, quel che un tempo nel latifondo calabrese nominavano il “marchesino rosso” di Cotrone.