La Nuova Italia tra Liberazione Democratica del Sud e Resistenza Antifascista del Nord

Si riascoltano e ritrovano echi d’attualità nel riprendere una riflessione di Riccardo Chiaberge, giornalista puntale e scrittore colto, pubblicata sulle pagine di “Domenica” (Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2005, “La memoria salvata dalla ragazze”), e per il vero tutt'altro che datata, in cui si riproponeva l’impropria dicotomia di un Paese dai valori spezzati, dove a un Nord liberatore, gigante orgoglioso delle proprie memorie resistenziali, fa da contrappasso un Sud, smemorato e neghittoso, raccontato come una zattera mediterranea, atavicamente sospesa tra la “marcia su Roma” e lo swing al cioccolato delle truppe anglo-americane. Si tratterebbe di un Sud “costituzionalmente” minorato, in quanto liberato e subitaneamente “colonizzato” da forze esterne e transatlantiche, una congerie di comunità retrive, chiuse, arcaiche, di fatto incapace d’interne propulsioni antifasciste, socialmente alieno dalla passione civile e dal riscatto democratico.


Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social

Di certo si trattava di impressioni stilate a caldo, dopo un incontro a viva voce con i liceali dello Scientifico “Enrico Fermi” di Bagnara Calabra. In ogni caso e comunque, considerazioni che portano in risalto sentimenti e pregiudizi sotto traccia, persistenti e radicati nella coscienza civile tutt'altro che unitaria del Paese, che pure non si lasciano facilmente rubricare nell’occasionale “svista” di una compiaciuta suggestione.

“Quanti di Voi hanno sentito parlare della Resistenza, in famiglia?”, domandò Chiaberge agli sprovveduti giovani riuniti nella sala parrocchiale, per annotare che il panico serpeggiava in platea, lo stupore si leggeva sui volti a vuoto d’orientamenti, quanto e tanto da far chiosare in sospeso, “Possibile?” che poi, tradotto nell’asciutta constatazione verbale, si stagliava come un “possibilissimo, perché qui, in fondo allo stivale, la Resistenza non c’è mai stata. Siamo in una terra di marinai, non di alpini ribelli.”

Così, tra stupore e dissapunto, ancora si leggeva più lapidario l’assunto toponomastico che rogita Bagnara e la Calabria nel più fondo smarrimento della storia patria: ”nessuna lapide di partigiani, agli angoli delle strade: in compenso in piazza, una stele di marmo con su scritto ‘Audere semper’ ricorda l’eroe cittadino, un temerario di nome Vincenzo Fondacaro che nel 1880 attraversò l’Atlantico su una goletta di nove metri”.

Ora si dirà che tutto ciò non onora né la verità né la storia.

Anzi proprio questo ingrandisce a lacuna argomenti storici già passati al primo scandaglio e ora più profusamente rivalutati (si confrontino i lavori della storica Gloria Chianese, le ricostruzioni minuziose di una mappa dell’antifascismo e della Resistenza nel Mezzogiorno, a suo tempo proposta dalla rivista Nord-Sud, le memorialistiche di Giorgio Spini sulla “strada della Liberazione”) anche in forma di genere letterario, come attestano sia i classici dei confinati (Levi e Pavese non solo e tra gli altri), le diaristiche di statisti illustri (Ingrao, Gullo, Dorso, La Malfa, Rossi Doria, e in specie la nutrita corrente intellettuale azionista e meridionalista), le storie di vita di antifascisti luminosi, somma quella del Salvemini, la riscoperta di eventi esemplari come l’eccidio di Barletta e persino le narrazioni cinematografiche (Nanni Loy, 1962) che con le fiction televisive sulle “quattro giornate” di Napoli e su Salvo D’Acquisto hanno espanso verso il grande pubblico la vicenda ancora complessa e carsica di una “Resistenza” antifascista nelle terre del sud.

Tuttavia qui non si intende sperdere il punto sul vellutato tappeto dei medaglieri resistenziali quanto ribadire che occorre definitivamente infrangere quel mito di una Resistenza esclusivamente settentrionale, spesso fonte inquinante (e ideologicamente inquinata) di un subdolo negazionismo (anche di sinistra,) che assegnerebbe alla Liberazione l’ambigua e duplice valenza di una guerra civile in campo nordista e di un invasione straniera nel latifondo meridionale.

Per cui non si potrà cogliere il carattere unitario e nazionale della Liberazione della Patria finchè non si darà atto che proprio nel Mezzogiorno si determinarono le premesse politico-istituzionali (il Regno del Sud, la tregua istituzionale, l’ingresso del PCI nel governo, il ritorno di Togliatti e la “svolta di Salerno”, la prima articolazione di un tessuto democratico dei partiti uniti nei Cln locali, la questione della defascistizzazione dell’apparto dello stato, la gestione delle emergenze sociali, prima di tutto le lotte contadine e bracciantili in Calabria) e le condizioni logistico-militari (la presenza militare degli alleati, il ruolo geopolitico del mezzogiorno nello scacchiere europeo e mediterraneo, quale propaggine della linea continentale anticomunista) per dar vita e radicare lo stesso movimento della Resistenza in Alta Italia.

Consentiranno allora certi narratori di una storia, altrimenti tutta da ricostruire, che le questioni che restano ancora aperte sono altre e molteplici.

Chè a pesare infatti è non solo la memoria dispersa e i racconti dimenticati (anche dei tanti soldati del sud coraggiosamente divenuti partigiani nelle valli del nord) quanto la ricostruzione critica di una più ampia e pluralistica storia della Resistenza italiana, dove il posto che spetta al Mezzogiorno, ieri come oggi, è ancora quello di una Liberazione intesa come punto di crisi di vecchi assetti sociali conservatori, passaggio obbligato verso la modernizzazione dei rapporti sociali, primo varco all'avvento della nuova democrazia repubblicana.

Dove persino l'anelito di una parte della Casa Reale con in testa gli uomini e le donne del Re di Maggio, cioè farsi parte promotrice di una discontinuità istituzionale e dinastica, proponendo una monarchia democratica, progressista, moderna e funzionale, in stile britannico, anche come sfumato antidoto all'egemonia politica americana tramite gran parte della Democrazia Cristiana, giocò un ruolo attrattivo anche verso i comunisti.

In breve, la sintesi di quella congerie di motivi che resero debole il vento del sud e più forte il vento del nord, cioè i motivi tra l'altro ancora validi di quella “Rivoluzione meridionale”purtroppo sempre sognata ma tante volte mancata.