Crotone assetata per due giorni: ma cosa aspetta la Procura a muoversi?

5 aprile 2018, 15:53 Il Fatto

Aver lasciato per oltre un giorno e mezzo un’intera città senza un goccio d’acqua è a nostro avviso non solo malvagio quanto anche disonesto.

Se un cittadino comune si fosse permesso di impedire ad un altro - per lo più pagante - di usufruire di un qualsiasi bene di prima necessità, su di lui si sarebbe senza dubbio scagliata la scure del Codice penale, con quell’accusa grave (art. 340) che passa per la definizione di “interruzione di un pubblico servizio”.

Per questo, ritenendo che l’acqua sia talmente importante - più di un autobus o della monnezza - e che la sua assenza possa configurare non solo un’emergenza sanitaria quanto anche sociale, la domanda è perché una massima autorità come la Procura della Repubblica di Crotone non si sia già attivata vergando un fascicolo per fare chiarezza - e una volta per tutte - se il reiterarsi della carenza idrica nella città che fu di Pitagora (ed apparentemente ancora ferma a quell’epoca!) sia o meno configurabile con l’inettitudine o l’ignavia, l’inconcludenza o la superficialità, l’incompetenza o forse - e perché no? - il dolo da parte di chi è demandato a occuparsi della sua gestione ed erogazione.

Senza contare come si potrebbe anche configurare, in questi casi, una grave inadempienza contrattuale tra chi - gli utenti - paga e profumatamente questa specie di “oro liquido” che sgorga dai rubinetti, e chi incassa delle laute fatture per fa sì che non solo il prezioso prodotto raggiunga i fruitori, ma anche per la manutenzione e l’implementazione di un’infrastruttura colabrodo.

Non scansino in tal senso le loro responsabilità i soloni della Congesi, così come i loro “padroni” di Piazza della Resistenza.

Se la Sorical o l’ex Corap, così come il Consorzio di Bonifica o mettiamoci anche l’Ogopogo ed il Calamaro gigante, possano avere delle loro responsabilità, all’utente gliene frega proprio niente: il dealer, ovvero e terra terra il fornitore finale ai cittadini sono pur sempre loro, quelli della Congesi, che non credano poi di lavarsi la coscienza per una “misera gestione dell’emergenza” con quello scarno comunicato stampa che diceva tutto e non diceva niente, frettolosamente integrato in corso d’opera ed a frittata già fatta.

Un’incapacità gestionale, dunque, che ha fatto il paio pure con quella comunicativa. Basta aver provato come noi a digitare e ripetutamente il numero dell’azienda: ma “è inutile bussare, lì non vi risponderà nessuno”.

Una sola vocina suadente che ti annuncia la risposta di un fantomatico operatore e ti rimanda ad informarti meglio su un sito internet dove l’ultima comunicazione per gli utenti risale addirittura al luglio dell’anno scorso. E giù la linea: una, due, dieci volte.

Se questo è il metodo di gestire la Cosa pubblica da parte di dirigenti e politicanti di casa nostra, è il caso forse che qualcuno di loro si reciti un mea culpa e verghi egli qualche parola coincisa e definitiva; magari su una bella carta bianca patinata con scritto in oggetto: “dimissioni”, e la consegni direttamente nelle mani del sindaco della città.

Perché nelle aziende private, dove si fanno profitti ed il mercato domina, dove conta l’efficienza e la soddisfazione del cliente, si fa proprio così: chi sbaglia paga, senza se e senza ma. E se ci riesce s'accasa altrove.

Farebbe di certo una bella figura ma caso vuole che la Congesi abbia sede in via Antonio De Curtis, ovvero il mitico Totò il che fa scorrere inevitabilmente sulla (mala)lingua una battuta del principe della risata: Signori si nasce, e io lo nacqui” ma senz’acqua.

V.R.