Sola davanti al figlio ucciso. Pianto di una madre tra i vicoli ciechi di una vecchia città abbandonata

"Aspettami Giuseppe... non te ne andare..." sono queste le strazianti parole della mamma del ragazzo ucciso a Crotone dopo una lite avvenuta in un ghetto per poveri e diseredati ampollosamente ancora chiamato 'centro storico'. Scrivo da giornalista crotonese, da cronista di una realtà sociale che in Calabria e nel Sud è particolarmente segnata dalle ingiustizie e dalle diseguaglianze di classe, di genere e di ceto sociale, dal divario impressionante tra grandi interessi di pochi ricchi e giganteschi oligopoli pubblici e internazionali, e i tanti sofferenti installati in un fondale di miseria, disoccupazione, povertà, persino come in questo caso disumanità. E resto sgomento, atterrito per l'omicidio di un giovane, per la quasi totale mancanza di sicurezza e ordine pubblico completamente 'sgarantito' dallo Stato centrale, per il dilagare della 'ndrangheta e della criminalità politica. Qui e non altrove, forse neanche per caso o semplice fatalità, è avvenuta la così 'facile' eliminazione di un ragazzo, tra i tanti alla ricerca di una speranza che non sia la fuga, la droga, l'emigrazione, un pezzo di futuro di questa città che va sempre più alla deriva di se stessa. Adesso che il silenzio invoca la sua parte altro non si può fare che immaginare quanto profondo e lancinante sia per la madre di Giuseppe, il diciottenne che lavorava in un noto bar sul lungomare della città jonica, e possa essere questo momento di dolore estremo, per esprimere insieme e uniti cordoglio, vicinanza umana, solidarietà civile a chi come lei paga per tutti e prima di ogni altro l'orrendo e tragico destino, aver visto morire davanti ai propri occhi il suo amore più grande, la vita spezzata dl un figlio innocente...


Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social

Via Ducarne, il luogo dove è stato ucciso il giovane Giuseppe, solo apparentemente è un luogo qualsiasi di una vecchia città degradata e abbandonata da quasi un secolo. L'omicidio si è consumato all'ingresso di un ampio edificio patrimoniale di origine nobiliare denominato Palazzo Caminiti che in questo 2018 avrebbe dovuto avere ben altra inquadratura. Lo squallido scorcio di miseria e dolore, di violenza e criminalità, abbandono e miseria almeno a stare ai soldi che si dovevano spendere doveva altrimenti presentarsi nelle sembianze di un area attrezzata, messa in sicurezza per una fruizione civile e culturale di spazi attrezzati.

Correva l'ormai lontano anno 2007, quando la Presidenza della Provincia di Crotone comunicava che due palazzi di particolare pregio storico, Palazzo Caminiti e Palazzo di via Milone - ex caserma dei Carabinieri, sarebbero stati oggetto di un intervento di restauro conservativo. A darne notizia fu il presidente dell’Ente intermedio, Sergio Iritale, nel corso di una conferenza stampa tenutasi nella mattinata del 10 maggio,sostanziando il tutto con la cifra di 1.000.000 € da spendere a palazzo Caminiti e 1.000.000 € a palazzo via Milone, per ridare vitalità culturale al centro storico del comune capoluogo.

A margine di quella conferenza stampa venne firmato il contratto con la ditta aggiudicataria dei lavori di ristrutturazione di palazzo Caminiti, suscitando speranze e ottimismo tanto che lo stesso Iritale affermava, per come si legge ancora sul sito ufficiale della Provincia, che "i lavori sarebbero stati consegnati nell’estate 2008, rientrando nelle attività programmate dall’Ente ed hanno visto focalizzare l’attenzione su due immobili che, tra l’altro, sono tra i più antichi e i più belli dal punto di vista architettonico del centro storico di Crotone. Restituiamo alla collettività tre opere che non potevano più restare nello stato di abbandono in cui erano".

Parole, promesse, fondi pubblici che evidentemente non hanno raggiunto l'obiettivo che si auspicava. A Palazzo Caminiti Giuseppe il ragazzo ucciso a pistolate da un uomo di 56 anni era di casa perchè figlio di Katia Villirillo, la presidente dell'associazione Libere Donne, da anni impegnata nella lotta alla violenza contro le donne, che ha sede proprio nel Palazzo abbandonato e mai ristrutturato con fondi pubblici.

Era l'unica che aveva tenuto fede all'impegno di non chiudere un presidio di vigilanza e di orientamento in un contesto degradato che nel corso degli ultimi decenni è stato stretto nella morsa dell'immigrazione straniera, della prostituzione, del traffico e consumo di droga, della gentrificazione spesso in forma di selvaggia speculazione edilizia messa in atto da ricchi e facoltosi soggetti e famiglie interessate ad accapparrarsi le sovvenzioni di stato per ristrutturazione sovvenzionate di case d'epoca e antiche dimore storiche.

In questo contrasto di interessi, nel coacervo di strati eterogenei di popolazioni e residenti s'inquadra il delitto del giovane Giuseppe.

Gioverebbe poco aggiungere che lo spiazzo dove è stato ucciso lo sfortunato diciottenne stava davanti allo stemma della prima e avita casa dei nobili Lucifero. Qui vi nacque Falcone Lucifero il Ministro dell'agricoltura e poi della Real Casa. Lo stesso che raccontò il dolore di una mamma, l'indimenticabile popolana Tonna, la cui povera casa stava proprio in via Ducarne. Anche a lei venne ucciso un figlio. La storia dei vinti in qualche modo mestamente e ingiustamente si ripete ancora.