Corbyn Ulisse laburista che guida il Gran Ritorno del Regno nell’UE

Doveva essere Grexit e invece fu Brexit. Incredibile, impressionante, inimmaginabile. Un vero e proprio trauma profondo, diffuso, sconcertante. L’uscita consapevole, consensuale e civile dall’Unione Europea, da molti vissuto come un lutto storico, un abbandono sotto il segno della sofferenza e del dolore non solo dell’abdicazione ma anche di una feroce orfananza, di una divaricazione apocalittica dal cordone ombelicale che lega il Regno Unito all'Europa, ha sconquassato la psiche nazionale, sbilanciato l’io profondo e la coscienza pubblica britannica, più prosaicamente e complessivamente il sistema di bilanciamento dell’economia, della società, delle istituzioni, persino della common law e ovviamente della politica e dei suoi sottili quanto sensibili equilibri che governano la Gran Bretagna.


Vito Barresi | Cambio Quotidiano Social


Il mutamento di scenario, l’atteggiamento quasi distaccato e freddo da parte dei leader europei nei confronti del dramma che la Brexit ha generato tra gli inglesi, ha acuito ancora di più i contrasti e le crisi, tanto da devastare e travolgere il campo stesso della democrazia parlamentare e del governo, prima costretto a subire le dimissioni di Cameron e ora imponendo alla May di chiamare alle urne il popolo.

In sintesi la Brexit è stato un fatto politico talmente apocalittico per i partiti da cui non sanno come uscirne. In breve gli elettori potrebbero sovvertire lo stesso indirizzo del referendum. Annullare la Brexit con una decisione eclatante e ancor più sovrana e, dunque, più rafforzata e contrastante ancora della prima consultazione.

E tutto questo dopo che i britannici hanno dovuto prendere atto quanto sia costoso e scomodo lasciare l'Unione, tipo trovarsi, un bel mattino al risveglio da un incubo, ancora nel suo sequel, immaginate una squadretta di calcio che milita dell’ultima serie greca in testa al loro blasonato, unico e inimitabile campionato di Premier League. Insomma,sono saltate le marcature e con esse anche la panchina.

Con il voto dell'8 giugno le cose potrebbero radicalmente cambiare a favore dei laburisti. Gli inglesi che hanno preso atto di essersi cacciati in un vicolo cieco potrebbero approfittare di questa unica occasione per uscirne e riprendere il proprio posto di prestigio e di grande peso nell'Unione Europea.

Sarebbe un vero e proprio cambio di tendenza, un ribaltamento che metterebbe di nuovo in crisi la stessa Unione Europea, forse troppo velocemente riformulata in chiave 27. Anche se adesso la posta in gioco non è più quello classico tra laburisti e conservatori, bensì il riaggancio di quella navicella alla deriva nel cosmo della geopolitica contemporanea in cui si è ridotto il satellite Gb definitivamente condannato a girare nell’orbita degli Usa.

Lo stesso Jeremy Corbyn, l’orgoglioso e tenace leader del Labour Party, potrebbe trovarsi non più nel ruolo di perdente, ma in quello di challenger, pronto a sfidare i numeri dei sondaggi, improvvisamente rafforzato tra gli inglesi, da quello che un famoso viaggiatore inglese definì il vantaggio di Ulisse, cioè ‘l’interesse (il vantaggio di Ulisse) divenuto perentoriamente ed impellentemente il principale movente della loro azione’. Secondo la May ‘la Brexit è nell'interesse nazionale ma gli altri partiti si oppongono’, per giustificare l'annuncio delle elezioni anticipate che a suo parere, sono ‘l'unico modo per garantire certezza’ al Paese e condurre in porto l’uscita dalla Ue.

La stessa May ha sostenuto che il voto si impone per far fronte al clima di "divisione" seminato dalle opposizioni laburista, libdem e indipendentista scozzese a Westminster che rischiano di indebolire il Paese nel negoziato.

Jeremy Corbyn ha annunciato di voler offrire al suo paese una ‘valida alternativa’ a un governo conservatore che non è riuscito a ricostruire l'economia, che ha contribuito al calo impressionante del tenore di vita della popolazione e dei ceti medi con tagli dannosi allo stato sociale, specie nel settore scolastico e sanitario, che non ha saputo fronteggiare la micidiale aggressione del cosiddetto terrorismo cellulare.