CULTURAL STREET di Patrizia Muzzi | Londra compressa dopo Brexit


Patrizia Muzzi
Cambio Quotidiano Social



È l’alba. Dopo più di venti anni mi ritrovo su un aereo per Londra. Sono talmente assonnata che non vedo l’ora di chiudere gli occhi. Non m’importa delle vostre spiegazioni su come prendere ossigeno o su come scivolare sull’ala in caso di disastro aereo. Voglio solo dormire. Mentre attendo che si sistemi il mio vicino, mi accorgo di una piccola mosca. La scaccio lontano da me. Ritorna. Svolazza attorno al mio compagno di viaggio e poi tenta una fuga attraverso il finestrino. Capisce che non c’è niente da fare. Da quel punto non si passa. L’aria è umida anche all’interno dell’aereo. I portelloni sono ancora aperti. M’interesso a lei, alla mosca, al suo destino. Esci da qui - penso. Sento il rumore metallico della chiusura. La guardo insistere contro l’oblò. È in trappola. Che cosa sarà di lei? Scenderà con noi? Riuscirà a farsi capire? Come la accoglieranno le altre mosche? Ce la farà a sopravvivere? Mi addormento.


Osservo la periferia che da Stansted mi porta a Bloomsbury. Lungo la carreggiata, plastica e cartacce. In lontananza grattacieli. Fabbricati moderni dai colori sgargianti tra le vecchie case inglesi di mattoni scuri. Osservo le persone: grasse sfatte e mal vestite o magre e ricurve. Sembrano ciondolare senza una meta. I negozi hanno insegne tutte uguali e cavi che penzolano da una finestra alla successiva. Ancora sporcizia lungo le strade.

Vicino alla stazione di st Pancras tutti corrono all’unisono. Se spezzi il ritmo, ti travolgono. L’età media è bassa: tra i venti e i quarant’anni. Ognuno con il proprio telefonino in mano o le cuffie. Chinatown è un grande wok umido e untuoso. Davanti al British Museum c’è Starbucks. Prendo un caffè e un panino al tonno. Sento il sapore di un corpo decomposto. Entro al British Museum. Dalla Stele di Rosetta al traduttore di Google.

Rientro a piedi in hotel: l’aria è irrespirabile e puzza solo di smog. Che accade alla mia vecchia amata Londra? Ho bisogno di riposo.

Il giorno successivo uso ‘la tube’. Viaggiare costa caro. Riemergo. Ian McKellen e Patrick Stewart al London Wyndham's Theatre. Al bar ‘Il Padrino’ il cameriere indiano fa passare in radio ‘Il mio canto libero’ di Lucio Battisti. Entro per prima alla National Gallery e mi godo Leonardo Da Vinci in solitudine. Bambini vestiti da Harry Potter seduti di fronte ad ‘Ambasciatori’ di Hans Holbein alzano la mano e fanno domande alla guida.

Mi fermo. ‘Calais Pier: An English Packet Arriving, 1803’ di William Turner. Un peschereccio francese e una barca inglese evitano una collisione durante una tempesta in mare. Marinai tentano di salvare donne e uomini dall’annegamento. Leggo: si basa su un’esperienza vissuta dall’autore durante il suo primo viaggio all’estero via Calais.

Prima che la sindrome di Stendhal prenda il sopravvento, usciamo. A Downing Street i turisti fotografano le guardie a cavallo. Nel parco davanti al Tamigi i bambini in divisa giocano a dare fastidio alle gazze. I bambini sono in prevalenza di origine africana, indiana, cinese. Denti bianchi e tante treccine. Sono i primi visi sorridenti che vedo da due giorni.

In metro gli unici ‘caucasici’ sono in piedi al centro del vagone. Alti e asciutti. Completo scuro, scarpe di pelle nera, orologi di marca. Fanno cerchio tra di loro e parlano a bassa voce.

Scendo a Kensigton, dove ha appena aperto un bar Illy. La barista è italiana e ne va molto fiera, del bar… Al Natural History Museum saluto Darwin. Mi guarda con occhio paterno: un po’ compassionevole e un po’ severo. All’interno di un finto supermercato sperimento la forza del terremoto di Kobe in Giappone del 1995. Penso all’Italia. Terminato il giro, scendo nuovamente nel sottosuolo. In treno non si entra. Il mio compagno fa una foto alle persone schiacciate contro i finestrini che tentano di tornare a casa dopo il lavoro. Una donna con le treccine e tailleur blu, mi dice che è sempre così. Aspettiamo.

Al cambio successivo un ragazzo attacca bottone: è romeno ma parla in romanesco (Un romeno de Roma). Ha vissuto lì due anni. In Italia aggiustava motorini, a Londra fa il cuoco. La città offre lavoro ai giovani, dice. Mentre narra di sé, mi rendo conto che si soffoca di caldo e manca l’aria. Io annaspo e cerco ossigeno. Noi scendiamo. Lui ci saluta come parenti che non rivedrà per molto tempo. Nella ‘City’ i manager hanno una divisa sul grigio chiaro, con cravatta pastello, borse in pelle nera, taglio di capelli disciplinato. Il colpo d’occhio sul Tamigi è notevole, ora ci sono i palazzi moderni che tutto sommato non mi dispiacciono. Sul metrò un ragazzo stringe le mani della sua bionda Amèlie. Sono i secondi esseri umani che vedo sorridere in due giorni. Prima di salire in hotel passo davanti a un pub. La divisa questa volta è: maglietta maniche corte scura, capelli rasati a zero, pinta di birra, qualche chilo di troppo sulla cintura, jeans. Un tipo solitario fissa nel vuoto davanti a sé. Gambe aperte e braccia incrociate. Giubbotto di jeans smanicato. Sulla schiena c’è scritto: Sons of Anarchy. Mi giro per vederlo in faccia. Ha un bel taglio di capelli bianchi. Sorrido.

Il giorno dopo a Camden Town i commercianti parlano tutti italiano. Il vecchio mercatino ora ha prezzi da boutique. Insieme all’intramontabile ‘chiodo’ vanno di moda le T-Shirt di Heisenberg. Passerotti s’azzuffano sulle briciole e cagano dove mangiano i turisti. Sul fiumiciattolo le papere nuotano tra chili di rifiuti.

Saluto Londra dopo avere visto da vicino i diari di Leonardo, gli spartiti di Mozart, la Magna Charta e una mostra dedicata ai Punk, tutti sullo stesso piano della British Library.

Al rientro mi chiedo se scrivere o meno questo pezzo e poi noto un post su Facebook: Michael Wolf – Tokio Compression. Leggo: Wolf ha raccolto decine d’immagini di esseri umani schiacciati nella metro di Tokio, vincolati tra vetro, acciaio e altre persone che rotolano al loro posto di lavoro e tornano a casa sotto la città. Sembrano le foto scattate dal mio compagno sulla metro di Londra. Siamo tutti dentro lo stesso ingranaggio.


http://photomichaelwolf.com/#tokyo-compression/1