Matteo Salvini. Il Ragazzo della Via Gluck alla Testa di una Lega Vintage

VITO BARRESI
CAMBIO QUOTIDIANO SOCIAL



Nei tempi in cui i nuovi leader della ‘post-politica’ rischiano sempre di fare la stessa fine di un titolo quotato pronto a crollare da un momento all’altro in borsa valori, il paradosso del ‘padrone’ della Lega Nord, Matteo Salvini, potrebbe essere non tanto quello di farsi un’assicurazione sulla carriera quanto di non sapere che farsene del suo vecchio partito, almeno così com’è finora. Cioè di un partito come la Lega con tutta la sua memoria storica di ampolle, fiume Po, terra Padania, Pontida, Ponte di Legno, Terroni, Roma Ladrona, secessione e ‘celodurismo’, comunque una comunità del puro e semplice, un concentramento elettorale ‘vintage’ e un pò sprezzante, un ceto dirigente appassionato ma non travolgente, un modello unico ma alquanto obsoleto, una pancia militante brontolona ma senza fantasia, un partito che sa di poco-poco e che sta ai margini ma che sopra-sopra e sotto-sotto se ne sta pure sul ponte di comando dell’ammiraglia dei land regionali europei, con vista panoramica dal Pirellone della Regione Lombardia. E tutto ciò per domandarsi da dove ricomincerà la sua prossima stagione politica ed elettorale un Salvini in riserva estiva, chiuso in rigoroso ritiro con il suo nutrito gruppo di proseliti e seguaci a studiare tattiche e strategie di un campionato che si annuncia con le luci accese in cabina di regia molto prima della pausa panettone. Già… da dove ricomincerà la ‘maschera’ di Matteo il Cattivo, visto che l’altro, Matteo il buono ha già piazzato e vincolato l’agenda dell’imminente ripresa autunnale, inchiodando tutto il sistema politico parlamentare attorno all’appuntamento del suo referendum costituzionale? Va de sé che se nel mozartiano libretto d’opera scritto da un’anonimo Da Ponte del Duemila c’è un Matteo Buono e uno Cattivo come non aspettarsi che da qualche parte sarebbe infine apparso, ma ovviamente è solo ‘un si fa per dire’, un così fan tutti, quello brutto che stavamo aspettando? Infatti, eccolo il terzo Matteo, far breccia sul palcoscenico editoriale, in nome e per conto dei tipi Feltrinelli, Matteo Pucciarelli, con il suo nuovissimo libro “Anatomia di un Populista. La vera storia di Matteo Salvini”. Che abbiamo letto e condiviso.


La storia di vita di un leader politico, specie di uno come Matteo Salvini, praticamente cresciuto e formato lungo il contorto filo steso tra la Secessione di Gianfranco Miglio e la Successione a Umberto Bossi non è mai identica a un normale profilo di un uomo qualunque. Anche quando dismesso l’aggettivo qualunquista adesso va di moda quello populista.

Questo perché in qualche modo il sistema e la rappresentazione della politica ha già lavorato il pezzo, sagomata la parte attoriale, intermediato il suo linguaggio, creandone i segni di riconoscibilità, l’impronta culturale, il vecchio conio tra la lira e l’euro, quasi una cifra rapida, automatica, quella stessa del famoso risultato uguale a un prefisso telefonico con cui Bossi liquidò in un istante la storia secolare del Partito Socialista Italiano, di facile riconoscibilità e immediata fruibilità.


Si va bé ma poi Salvini è una cosa di Milano. Una di quelle figure che solo ai ‘lumbard’ riescono bene. Vale a dire l’esatto opposto dello schivo Roberto Casaleggio che andava a Cernobbio ai Forum Ambrosetti mentre lui rimaneva l’icona più lo stigma del piccolo politico di periferia, materiale umano da paesaggio urbano con un sound che riecheggia Io e te di Jannacci.


Comunque due volti del ‘populismo’ meneghino, entrambi espressione di un consenso ormai elettoralmente consolidato, la cui identificazione formale è ampiamente esterna agli statuti delle tradizionali famiglie in decadenza della partitocrazia italiana.


Questi due volti della nuova politica milanese, la stessa che ha sempre la forza di dettare la linea all’intero Paese, sono tra loro interconnessi e separati come l’acqua e il fuoco, la passione e l’interesse, entrambi venuti fuori dalla crisi del berlusconismo e della sinistra storica, fino a formare un diverso e sconosciuto continente di idee e programmi, in larga parte costretti nell’eterno limbo dello stato nascente di un ancora non sondato populismo di marca milanese la cui modulazione oscilla tra le passioni e le invettive ruspanti, nel senso letterale della ruspa, del 'salvinismo-leninismo' e la fredda persino gelida spiritualità tecnocratica della democrazia informatica di Casaleggio.
Forse Pucciarelli, che pure fa richiamo al parallelismo tra Lega e M5S, avrà modo in avanti di dettagliare la comparazione tra le due forme anatomiche del cosiddetto ‘populismo’ italiano, entrambe e molto connotativamente ‘Made in Milan’.


Per cui se fosse vero che Salvini, a giudizio del suo Casaleggio in house, “non aderisce alla ritualità del palazzo perché ha un’anima grillina ben sviluppata” (p.60), i problemi davanti a lui sarebbero quelli di sviluppare o far regredire la sua attuale sintesi politica per molti versi divenuta inattuale, in quanto superata dalle contraddizioni della geopolitica, logorata dalle contraddizioni di struttura del mondo attuale, in evidente bisogno di costante aggiornamento non solo strategico ma valoriale.

Alla ricerca di contenuti nuovi che vadano oltre ogni nominalismo, che fa da titolo ma non da risposta (tipo prima la sicurezza o l’immigrazione, prima la tecnologia o il lavoro antico con i benefici del welfare, prima la moneta elettronica o l’euro banconota nazionale nello scenario globale?), Salvini sa che non potrà uscire dal vicolo cieco in cui si trova la Lega, dopo il naufragio del centrodestra, se non inventa un nuovo modello politico più compatto e meno frammentato, in grado di rompere con la sua stessa storia, con i caminetti, i fuochi e le comunità di un bel tempo andato. Per vestire un diverso look di relazionalità, affidabilità e attendibilità, forte di un progetto integrato per il Paese e per l’Europa.


Nel suo viaggio all’interno della nuova geografia post-leghista, Pucciarelli disegna la cartografia della fragilità e delle incoerenze della meta-ideologia salvinista, soprattutto quando questa si evidenzia nella carenza propulsiva di superare le macerie del berlusconismo e del bossismo della prima Lega.


Dal ritratto di Pucciarelli emerge il profilo di un Salvini ‘sdemonizzato’ su uno sfondo di aporie e contraddizioni che attanagliano un capo partito.


Una forza politica ‘adialettica’ che deve velocemente prendere consapevolezza delle proprie tare e criticità, cercando un varco per uscire da una marginalità orgogliosa ma autoreferenziale, che rischia di sospingerlo definitivamente fuori dal territorio della governabilità del Paese.