E’ avvenuto, potrebbe avvenire ancora. Intervista a Primo Levi

26 gennaio 2016, 19:29 100inWeb | di Vito Barresi

Primo Levi in un’intervista realizzata nel 1986, da Milva Spadi per il Westdeutscher Rundfund, tornava ripetutamente ad avvertire che ciò che ‘è avvenuto potrebbe avvenire ancora’. L’attualità di questo ammonimento per quanto potente rischia sempre di essere inavvertitamente rimossa e dimenticata anche quando percepiamo in qualche modo che la sensibilità verso chi ha subito un’esperienza disumana tende a scendere fino al limite del tollerabile, a non ritrovarsi più facilmente nel comune sentire e nei valori condivisi dei cittadini, dei popoli, delle democrazie e degli stati. Da qui il significato della Giornata della Memoria nel momento in cui più diluito si va facendo il senso del ricordo, più pervasivo il dissolvimento della storia vera, più preoccupante e pericoloso quel che Levi stesso avvertiva come il possibile, neanche tanto subdolo avvento sebbene non inesorabile e fatale, del ‘fading away’ (dissolvenza, estinzione) della verità e della giustizia. In questa nostra epoca alcuni valori sono definitivamente tramontati, altri sono stati stritolati dal mutamento sociale e tecnologico che ha solo apparentemente raso al suolo alcune vecchie ideologie idolatre e soggioganti che purtroppo, subliminalmente e non solo, continuano a persistere e a giocare un ruolo decisivo in termini di influenza nell’orientamento delle grandi masse nazionali e planetarie. Proprio per questo è più che mai dovere di tutti far scattare la vigilanza, il controllo critico e aperto della libertà e dei diritti, il discernimento e la comprensione contro ogni tentativo di sopprimerle entrambe, ovunque e comunque, dopo la non felice teorizzazione della Fine della Storia e la ripresa strumentale dello Scontro delle Civilità. Se si può dire qualcosa di specifico su questa ricorrenza 2016 forse ci si può riferire al sempre più agognato e diffuso bisogno di orientamento, al disvelamento reale dello scontro in atto tra il predominio dell'ignoranza e la forza liberatrice della conoscenza. Da qui il confronto sempre attivo, suscettibile di continui capovolgimenti tra la valenza umanizzante della Memoria e l’Ungeist (il non-spirito, l’anti spirito), ‘ la forza che ha guidato il Nazismo ed è sfociata nella crudeltà che conosciamo, nel desiderio e nell’attuazione dello sterminio. E da questo che sgorga ancora la palpitante attualità della lezione di Levi, cioè quella di ‘capire e far capire’ al futuro che è sempre ‘molto difficile distinguere tra buoni profeti e falsi profeti. A mio parere i profeti sono falsi tutti. Non credo ai profeti, benchè io (ride…) appartenga ad una stirpe di profeti. E mi è sembrato che l’ammonimento conclusivo sia questo: di conservare rigidamente e intelligentemente il proprio senso politico davanti alle false ideologie.”


INTERVISTA A PRIMO LEVI


Come mai in un momento “antistorico” come questo, in un momento in cui c’è poca voglia di riflessione, Lei ha sentito il bisogno di ritornare sul tema dei campi di sterminio con una nuova riflessione sull’esperienza di quello che è stato?

Mi sono accorto che i miei primi due libri, soprattutto Se questo è un uomo viene molto letto in Italia perché esiste in edizione scolastica annotata. E’ un libro di testo, insomma. Ora devo dire che ogni anno 10-15 mila copie vengono vendute nelle classi, e io vengo invitato sovente a commentare questo libro. E noto spesso anche nelle lettere che ricevo - e ne ricevo molte - commozione, anche partecipazione, ma come se si trattasse di un evento che non ci riguarda più, che non appartiene all’Europa, non al nostro secolo come i fatti, che so io, della guerra d’Indipendenza americana. In più abbiamo assistito a dei tentativi di negare, addirittura l’Olocausto, ad esempio da parte della scuola di Faurricon. Avevo incominciato a percepire questi sintomi, ed avevo scritto uno, due saggi che erano stati pubblicati sparsi. Poi mi è venuto in mente che valeva la pena, siccome si intensificava questa sensazione di dissolvimento, di fading away, di annebbiamento di questi fatti; ho pensato che era il momento di radunarli, o di scrivere altri saggi, su alcuni aspetti che o non erano stati trattati affatto sull’Olocausto… - scusi io uso questo teremine Olocausto malvolentieri, perché non mi piace. Ma lo uso per internderci. Filologicamente è sbagliato. Lo userò in questa conversazione per ragioni semantiche.

Che cos’è nella coscienza dell’uomo laico la memoria dell’offesa? Come si riscatta? Il religioso perdona attraverso un sentimento di “pietà”, che aiuta, forse, a riscattare anche chi ci fa del male. Ma per il laico è forse più difficile sviluppare una sensazione, un sentimento di perdono?

Io penso che per l’uomo laico, quale io sono, l’essenziale sia capire e far capire. Sia cercare, appunto, di smitizzare questa rappresentazione manichea del mondo in bianco e nero. Far capire attraverso quali scalini si possa arrivare alla posizione di un Hess. Non so se conosce il libro di Hess. A mio parere è il libro fondamentale sui lager, perché è stato scritto da un comandante dei lager. Hess era il comandante di Auschwitz. Quello che ha introdotto le camere a gas. E’ stato pi catturato dagli inglesi, ceduto ai polacchi, che lo hanno processato e condannato a morte e che gli hanno chiesto di scrivere un suo diario. Ora quest’uomo che aveva sempre detto di sì a tutti, a quelli che li avevano chiesto: “organizzami un campo perfetto”; ha detto di sì anche ai polacchi, e ha scritto un diario che è allucinante. E’ allucinante perché davanti alla forca non aveva ancora capito. Ha detto: ma io ho fatto il mio dovere di SS, di ufficiale; e le cose che ho fatto le ho fatte bene. Quando mi hanno chiesto di organizzare in modo rapido e pulito di sterminare diecimila, quindicimila persone al giorno, io l’ho fatto. C’è qualche parola di pentimento, ma è palesemente falsa. E’ falsificata. Ora io ho fatto la prefazione di questo libro per Einaudi, proprio per far vedere come una personale sostanzialmente “normale” come era Rudolf Hess, che aveva avuto sì un’infanzia difficile ma come tanti; si era poi infilato in un meccanismo che passo passo lo ha trasformato in quello che i miei lettori chiamano un “mostro”. Però un mostro non era neanche lui. Perché non è che gli piacesse particolarmente uccidere la gente, non provava diletto o piacere nello sterminio. Semplicemente era un mestiere, il mestiere che gli avevano assegnato e lui aveva accettato. Io penso che in questo un certo tipo di educazione tedesca abbia giocato. Cioè il fatto della patria avanti a tutto, del dovere avanti a tutto. E infatti, - benché io abbia molti amici tedeschi, conosca abbastanza bene la letteratura tedesca - penso che non sia un caso che in Italia queste cose non siano avvenute, e neanche altrove.

Lei racconta, a proposito del nazismo, della violenza giustificata di un uomo verso l’altro per superiorità. Vorrei sapere che cosa pensa di certe teorie che vedono un parallelo fra questo principio di superiorità nazista e quello ebraico del “popolo eletto”…

Si è parlato molto di concorrenza addirittura fra l’ideologia nazista e la millenaria ideologia ebraica del popolo eletto e si sono dette molte cose approssimative e a mio parere anche molte cose false. E cioè che la Germania nazista e l’ebraismo fossero mutuamente incompatibili perché tutte e due miravano ad una sorta di dominio mondiale. Questa era la tesi nazista. Se noi non sterminiamo loro, loro stermineranno noi. E’ vero che esiste nella cultura ebraica un filone di elitismo, la convinzione di essere il popolo eletto. Ma mi pare del tutto assurdo paragonare Salomone a Hitler. Ci sono appunto tremila anni di mezzo. Certamente il fatto del territorio ha giocato. La Germania si è sentita forte per il suo territorio, ha lottato per estendere il suo territorio. Quanto però alla deportazione è avvenuta non verso la Germania, ma dalla Germania. I tedeschi hanno deportato verso la Polonia i loro ebrei. Perché erano abbastanza sensibili all’opinione pubblica. Sapevano che una strage totale in Germania, sarebb stata vista male. Non dico che sarebbe stata fermata od ostacolata. Lei conosce la storia dell’eutanasia, sa che è stato un programma varato prima della guerra, che ha fatto 40-50mila e poi è stato fermato. Perché il popolo tedesco e le due Chiese lo hanno fortemente contrastato. Per questo motivo tutti i lager di sterminio sono stati costruiti non in Germania, ma in Polonia, proprio per evitare al territorio tedesco questo trauma. Perché trauma era, per tutti, anche per le SS a cui davano alcool in abbondanza quando dovevano sparare sull fosse comuni. A mio parere il problema del territorio in questo non ha contato. Anzi ‘saviamente’ i governanti nazisti hanno cercato di allontanare dai confini tedeschi. Erano cinque i lager di sterminio, erano Chelmno, Sobibor,Treblinka, Majdanek, ed Auschwitz, che però era già un ibrido. Ed erano tutti fuori dal confine tedesco. I lager in territorio tedesco Dachau, Buchenwald, erano campi durissimi ma non di sterminio.