L’africanizzazione delle Ferrovie italiane. Un giorno di viaggio tra Milano centrale e il passaggio a livello di Ventimiglia

16 giugno 2015, 13:31 100inWeb | di Vito Barresi

di Vito Barresi

Signori in carrozza, da Milano a Ventimiglia la nostra compagnia vi offre un viaggio speciale nell’africanizzazione delle ferrovie italiane. L’annuncio di una fiction depositata presso un'importante agenzia pubblicitaria nazionale? No di certo, anzi possibile, puro reality.

Tra la Val di Susa e la Riviera di Ponente, ecco la foto-press che sintetizza tutte le contraddizioni salienti che contrassegnano Matteo Renzi in un interno giorno davanti alla questione degli sbarchi.

Chi sia veramente l’attuale primo ministro di fronte all’emergenza epocale dei flussi migratori, un evento metabolizzato con enorme difficoltà, che sta scuotendo alle radici la società e il sistema relazionale italiano, se cioè esso sia un vero statista o soltanto un fine artista della comunicazione politica, questo ancora non si sa.

Un fatto sembra certo. Dopo la sua personale dichiarazione non dei diritti ma dell’uomo solo al comando (che non è Coppi sul traguardo della Milano-San Remo) si vedrà se la sua capacità di governare i problemi è solo un gioco di specchi oppure il progetto giusto di un autorevole play maker capace di imporsi sui rigidi equilibri del potere eurocratico.

Dunque, il titolo è come affrontare la questione dello status di centinaia, migliaia di persone, i nuovi sans-papier in versione italiana, forse cugini o nipoti, discendenti generazionali, di quelli che un tempo a Parigi si vantava solidarietà, con la tromba marsigliese della ‘fraternitè’?

Identicamente a quelli che occupavano i sagrati delle Chiese, calpestando i basoli di Place de Vendome, adesso gli ultimi arrivati hanno pacificamente preso d’assalto non la Bastiglia prima del 14 luglio ma la Rete Ferroviaria Italiana prima della stagione turistica estiva. Minacciando non solo di sporcare, molto più di qualche writers con bomboletta spray, la fiammante e patinata, lucida e sinuosa avveniristica carrozzeria dei comodissimi vagoni di Italo sempre brillanti in corsa sui binari, e quelli delle velocissime e spettacolari Frecce Rosse.

Tra storie di machete e aggressioni quotidiane, stazioni devastate e degradate, fatti ed episodi quasi sempre obliterati dai mass media come cronaca della marginalità, costantemente oscurati dai giornali del regime pubblicitario, snobbati dalle Sky a pagamento e dai mezzibusti in quota parte delle tv di stato, quanto avvenuto in questi anni, senza neanche provare a progettare una risposta intelligente, si può descrivere come un gigantesco fenomeno di africanizzazione delle ferrovie italiane.

Dopo l’abbandono delle piccole e periferiche stazioncine da parte di Trenitalia, la strada ferrata che va da Reggio Calabria fino a Taranto, la lunga strada di sabbia rimasta incustodita sulle coste del Mar Jonio, è la porta d’ingresso rimasta incustodita, aperta agli sbarchi clandestini che si susseguono ogni notte nell’oscurità e nel silenzio, suscitando meno scalpore e interesse dello storico contrabbando degli anni sessanta. Quasi tutte le fermate sono bivacchi provvisori ma anche accampamenti vasti e stabili dove vivono sotto il sole cocente e le piogge stagionali gruppi etnici e nazionali provenienti da ogni parte dell’Africa e dell’Asia.

Un territorio insediativo, di fatto aggregato ai limes dei centri d’accoglienza, giustapposto alle dogane marine senza guardia da dove l’onda migratoria che nei prossimi mesi raggiungerà il Sud, la Calabria, la Sicilia, la Puglia, si muoverà per spostarsi direttamente, nelle grandi e centrali stazioni del Paese, aggredendo, com’è accaduto forse non a caso proprio nella Milano dell’Expo 2015, i nodi nevralgici e strategici dei trasporti e delle comunicazioni civili nazionali.

Un pressing sempre più ravvicinato che mette in forte evidenza le mappe, i tracciati, le linee diagonali che collegano non solo idealmente ma anche politicamente e finanziariamente, le scelte politiche del governo Renzi sul problema dell’Alta Velocità in Val di Susa, con la frontiera chiusa ai profughi, l’off limits imposta dalla Francia a Ventimiglia, ai dannati di una catena migratoria strutturale e anelastica, migliaia di uomini, donne e bambini costantemente a rischio tra il naufragio senza spettatori nel Mare Meditteraneo e l’espulsione apolide dalla terra promessa dell’Unione Europea.

Bisognerebbe far rileggere a Renzi la sua dichiarazione congiunta con il Presidente Francois Holland, quando mesi addietro Italia e Francia esprimevano la propria soddisfazione per i progressi decisivi compiuti a favore del progetto Torino-Lione. Una tappa fondamentale per la realizzazione del tunnel binazionale. Anche se quei lavori nel frattempo si potrebbero inaspettatamente fermare, magari davanti al passaggio a livello di Ventimiglia.

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