Exbo 2015. Un banchetto al ristoro dei ricchi per nutrire i poveri e i derelitti

20 gennaio 2015, 12:58 100inWeb | di Vito Barresi

di Vito Barresi

Al debutto sulla sontuosa tavola dei primi in società, ecco in fila per il 'pass' gli invitati all'annuale pranzo della solidarietà, nello spazio cult del buon cibo bolognese, all'insegna del Diana ristorante doc, fondato nel 1909, nella dotta e grassa Bologna di un tempo con vista, sogno e bisogno di un tempo ormai perduto.

Nei bei locali di proprietà salumi Alcisa, stemma storico della mortadella emiliana, esatto alla mezza dell'asta urbana che lega la Garisenda con la ferrovia, aspettando il banchetto dell'equo e solidale, una folla variegata si ferma confusa, come sospesa tra anoressia sociale e bulimia politica, in quel solco di via Indipendenza, dove arrivano i vip col loro vistoso stile unlooked, in più piccolo borghese si fa per dire, per stare insieme al desco con gli occasionali delegati di un popolo sommerso che qui dicono in città sia in rapida crescita e costante sviluppo.

Oltre i vetri delle finestre ecco le facce che ricalcano un bel quadro alla Carracci, quei mangiatori di fagioli messi davanti al loro caldo piatto di lenticchie senza zampone, dopo una notte passata tra i gli umori e miasmi, raccolti in letti di freddo cartone, dietro i cancelli del Dall'Ara, lungo le rampe che salgono a San Luca, tra scorci e angoli poi non tanto diversi da quei tratteggiati in saggio dal classico storico Carlo Cipolla.

Nell'epoca dei social-point, dove chi ha già avuto in pegno sicurezze e garanzie a volte apprezza qualche buena vista di zingari felici, anche gli altri, gli ultimi, gli invisibili, sono pronti ad avere un proprio selfie, almeno un lampo di stampa sia pur senza memoria. Così si è presentato puntuale anche quest'anno, dopo le feste comandate, il drappello in 3D di chi non ha neanche un cavolo pro-capite da mangiare. Un gruppo da cui emerge il ritratto, sebbene tutt'altro che corale, di un popolo a marca 'ExBo' 2015, insomma un'anteprima concreta, nella piccola patria dei grandi imperialisti del food experience italiano, dello slogan Expo, quello autentico, 'nutrire il pianeta, energia per la vita'.

Un paniere tutt'altro che meticcio o multiculturale quanto abbastanza casareccio, suggellato in accoglienza da un sindaco, amministrativamente un po’ impinguito, dal nome neo melodico di Merola, nel caso specifico a merenda.

Al 'gate' tra gli altri il top symbol felsineo, dopo Lucio Dalla, Don Marella e lo sfortunato Maurizio Cevenini, quel Granarolo ad honorem, l'evergreen di una generazione baby boom, Gianni Morandi, partito in mattinata da San Lazzaro di Savena (il mitico paese dell'antica fiera di prodotti ortofrutticoli, oilì, oilà).

E qualcuno si chiede chissà se in jogging è passato per i portici di via Guerrazzi, dove il vecchio padre gesuita Anselmo Perri ha messo in mostra una splendida, solitaria e dolente vetrina di arte e di vita vissuta. Ritagli di cronaca e storia, un volantino a inchiostro d'epoca, impresso con un ciclostile Gestetner d'antiquaria ideologia, la scritta in testa che narra vaga amarezza, 'Caro (ma non troppo) Renzi, amico di noi gesuiti', riflesso scettico di un mondo locale che non sa più piangere davanti ai naufragi dei migranti, non sa abbracciare né accogliere il grido di rivolta dei morti di fame di oggi, i clandestini che bussano alle porte.

I pranzi passano, i problemi restano. Respirare nel ventre di una Bologna ruvida e tramortita dal freddo e dall'abbandono giovanile, attraversare a solchi le sue leggendarie zone oggi striate dall'odore dei flussi migratori asiatici, africani e balcanici non è soltanto un bozzetto neo realista dell'Italia in crisi ma il dipinto ad ombre di un nuovo stato comunale, il 'real-islam' di un borgo mentalmente, culturalmente, antropologicamente spaccato e diviso al proprio interno.

Dentro e fuori le mura la recessione economica, la crisi industriale, il collasso del commercio, evidenziano e marcano la decadenza e il declino di un modello municipale definitivamente decotto e tramontato.

Ovunque si avverte e si ascolta la difficoltà sociale ed economica, istituzionale e politica, la paura di essersi smarriti dentro qualcosa di arcaico e miserevole, l'impossibilità a trovare una risposta collettiva e progettuale, e dunque, convincente che possa metter freno alle forze disgregative che assaltano la capitale padana. Rischiando di ridurre un luogo e il suo carattere che un tempo guardava all'Est, al modello socialista e pianificato di Mosca, nel passato indottrinata nell'ostpolitik di stampo tedesco, offrendosi all'Europa come snodo e crocevia nel interscambio economico con i paesi del Comecon, in un brutale aggregato alla Bilal. Tutta segmentata e scomposta in realtà tra loro separate e autonome. Micro repubbliche senza bandiere in una città ormai priva di coesione e identità.

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