I diritti dei minori nell’Italia che invecchia. Unicef, 25 anni di lotte dopo la convenzione Onu

19 novembre 2014, 19:20 100inWeb | di Vito Barresi

di Vito Barresi

Solo per un istante, non si chiede di più, proviamo a pensare se ci fosse stato Unicef dopo le leggi razziali del 1938 in Italia, nell'Europa puntellata di lager in cui persero la vita milioni di innocenti, alle porte del ghetto di Terezin dove fra i prigionieri si contarono 15.000 bambini, e tra loro tanti neonati. Volavano quei giorni sulla storia, e ogni istante che si conservò in memoria portò via la gioia, la felicità, le speranze che stavano infisse, ieri come oggi, a particole d'umanità negli occhi di tutti i bambini del mondo.

Trepidanti di attesa negli sguardi dei figli degli ebrei cechi, i minori deportati a Terezin con le loro famiglie, tutti morti dopo un tragico trasporto durante il 1944 nelle camere a gas di Auschwitz, in quelli attuali dei 'ninos de rua' brasiliani, dei bimbi di una Siria in conflitto, di tanti piccoli africani attaccati da Ebola o altre violenze di quotidiana elencazione. Ma Unicef venne purtroppo solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando dai campi di sterminio tornarono soltanto poche centinaia di quei tanti sommersi, giusti talvolta senza nome, che avevano meno di quattordici anni. Storia, struttura e scopi di quel che un tempo si chiamava Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, alle origini di Unicef, fondato nel 1946 per aiutare più di 31 milioni di bambini europei che nacquero negli anni del tremendo conflitto degli anni Quaranta, proprio quando per loro mancava il minimo vitale per crescere, il latte, il cibo, le medicine, le coperte, la biancheria, le scarpe e tante volte la stessa casa, gli ospedali demoliti senza medici e infermieri, attrezzature e medicine per funzionare.

Di Unicef si torna a parlare sul finire del 2014, non solo perché sono trascorsi quarant’anni dalla nascita ufficiale del Comitato Italiano, avvenuta nel 1974, quanto soprattutto per celebrare degnamente i 25 anni passati in difesa dei diritti infantili, cominciati proprio il 20 novembre del 1989, quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, il trattato sui diritti umani maggiormente ratificato nella storia, con 194 Stati parte. In Italia il Fondo per la tutela dei diritti infantili è ormai una solida rete composta da circa 4.100 volontari che agiscono tramite i Comitati regionali e provinciali con varie iniziative a sostegno dei progetti internazionali e per promuovere i diritti dell’infanzia su tutto il territorio.

Sono proprio questi volontari i protagonisti e gli eredi di un lungo ciclo di impegno, progettualità ampiamente segnato in positivo nei vari ambiti della famiglia, della salute, della lotta alla povertà, della battaglia contro la violenza e la discriminazione di ogni genere, conquiste adesso rimesse in discussione dalla devastante penetrazione della crisi e della recessione economica che sta mettendo a dura prova gli stessi equilibri di un sistema di welfare colpito dalle scelte dei vari governi, solo propagandisticamente attenti alle problematiche sempre più complesse della condizione minorile nella società contemporanea. Tutto questo in un contesto italiano demograficamente sempre più sbilanciato, caratterizzato dal crollo della natalità e dall'allungamento della vita media, dove il cambiamento della morale e dei costumi, specie quelli che riguardano la vita relazionale, di coppia, famiglia e convivenze sta rimettendo in discussione la stessa definizione convenzionale e costituzionale di 'diritti dei bambini'.

Senescit Mundi ammonivano i latini. Più o meno un decennio prima la Convenzione sui diritti dell'infanzia e degli adolescenti, Mogol e i Rokes portavano al successo una popolare strofetta beat. Parole cantate sul pezzo di un ultimo 'baby boom' di crescita e sviluppo economico: 'la notte cade su di noi, la pioggia cade su di noi, la gente non sorride più, vediamo un mondo vecchio che ci sta crollando addosso ormai... ma che colpa abbiamo noi?'. Come dire, mentre l'Italia invecchia precipitosamente sarebbe utile tornare a parlare sia dei giovani senza lavoro che dei bambini ancora non nati.

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